De Pasquale non ha un carattere facile: ebbe frizioni con Di Pietro, Robledo e Bruti Liberati
Il pm Fabio De Pasquale in aula il 12 aprile 2010 (Ansa) |
MILANO – Nemmeno con i colleghi ha un carattere facile. Con qualcuno ha avuto anche frizioni, per esempio con l’allora pm Di Pietro nel 1993 su chi dovesse interrogare un indagato, o con il pm Robledo sulla strategia nel processo sui fondi neri Mediaset. E di recente si è confrontato in maniera accesa con il procuratore capo Edmondo Bruti Liberati (che ieri ne ha difeso «l’alto livello di professionalità») sulla tempistica della chiusura dell’ultima indagine su Berlusconi per la frode fiscale Mediatrade. Ma molto prima di uscire un anno fa dalla Cassazione del processo Mills con un verdetto definitivo che insieme alla prescrizione del reato riconosce per la prima volta l’avvenuta corruzione del testimone Mills in due processi di Berlusconi, è pur sempre stato il pm Fabio De Pasquale a ottenere la prima condanna definitiva di Bettino Craxi, nel processo per le tangenti pagate dalla Sai di Salvatore Ligresti per un contratto Eni. Come pure del banchiere di Mani pulite, Pacini Battaglia, sgusciato invece da molte altri indagini. Se a ciò si aggiunge che questo messinese di 53 anni (da 26 in magistratura) è il pm dei tre processi Mills-Mediaset-Mediatrade congelati dalla legge sul legittimo impedimento del premier, si comprende perché gli tocchi lo scomodo ruolo ormai di abbonato agli strali di Berlusconi. Contumelie («pm famigerato», «associati a delinquere») che un vertice dello Stato scaglia a funzionari dello Stato su spartiti ingrigiti, identici da tre lustri.
Così ancora ieri, a 17 anni dalla morte a San Vittore del presidente dell’Eni Gabriele Cagliari, Berlusconi ripropone la tesi che ne addebita al pm De Pasquale il suicidio come reazione a una promessa scarcerazione che nell’estate 1993 il pm si sarebbe rimangiato prima di partire per le ferie. Tutto già detto, ridetto e giudicato almeno sei volte. La prima ispezione ministeriale non ravvisò illeciti disciplinari a carico del pm e trasmise gli atti all’allora Guardasigilli. Neppure Conso mosse contestazioni. Nel 1994 il procuratore generale della Cassazione, Sgroi, non ritenne di promuovere l’azione disciplinare. Nel 1995 il ministro Mancuso riversò le carte sul piano penale, denunciando De Pasquale per abuso d’ufficio e morte (il suicidio di Cagliari) come conseguenza di altro reato (l’abuso del pm): ma Brescia archiviò l’uno (come inesistente) e l’altra (come non configurabile nel nesso di causa con il suicidio). Il caso fu richiamato anche nella prima causa «Craxi contro l’Italia» davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo: ma neppure Strasburgo espresse censure. E quando il parlamentare Vittorio Sgarbi gridò dagli schermi di Domenica In che De Pasquale era «un assassino», fu condannato in appello per diffamazione a 2 mesi e a 100 milioni di lire di risarcimento al pm: ma in Cassazione usufruì dell’insindacabilità, sulla base di un parere nel quale la Giunta della Camera (relatore Gaetano Pecorella) aveva ritenuto che l’epiteto dell’opinionista tv-Sgarbi, pur se insinuante e astrattamente diffamatorio, rientrasse comunque in una battaglia politica del deputato-Sgarbi.
Luigi Ferrarella