La nazionale precipitata al sedicesimo posto del ranking mondiale, le Under fuori da tutto, delusioni in Champions e perderemo un posto. Stadi sempre vuoti: ma nessuno fa nulla
Il calcio italiano è scivolato sempre più giù, sempre più in fondo, e quasi non se n’è accorto. Come un malato che ignora i sintomi e pensa che guarirà comunque, è solo questione di tempo. O, peggio, come gli ex sani convinti che certe sventure possano capitare solo agli altri.
Nell’anno del teorico paradosso di un’ Inter campione d’Europa e che continua a vincere senza neppure un italiano in campo, il nostro calcio è fuori da quasi tutto, e anche un po’ fuori di sè. E’ stato preso a calci ai mondiali, una sconfitta umiliante, ma neppure quell’esperienza è bastata per tornare alla realtà (la nostra nazionale è precipitata al sedicesimo posto nel ranking mondiale). Il nostro calcio è cancellato dall’Europa dei giovani e dalle prossime Olimpiadi: qualcuno aveva scelto Casiraghi come tecnico dell’Under 21, scaricando Claudio Gentile senza nessun motivo, favorendo invece amicizie e rapporti personali. Il risultato l’abbiamo visto, e da ieri (ma sempre troppo tardi) l’inadeguato Casiraghi non è più il tecnico degli azzurrini.
Gli stadi si svuotano, abbiamo inventato la grottesca tessera del tifoso che scheda gli onesti ma facciamo entrare la peggior teppaglia, italiana e straniera, in qualunque stadio. Ultima conferma: Italia-Serbia, una vergogna che in un Paese normale avrebbe fatto saltare un ministro, o almeno un questore, invece qui va sempre tutto bene e la colpa è di un fax serbo.
Se fuori dal campo facciamo pena, e talvolta ridere (abbiamo anche perso l’organizzazione degli Europei: visto cos’è accaduto a Marassi, per fortuna l’abbiamo persa), i nostri club prendono sberle ovunque (le ultime sono ancora stampate sulla pelle di Milan e Roma), c’è un processo (Calciopoli) che invece di chiarire ingarbuglia e confonde, e nella classifica delle nazionali di tutto il mondo siamo precipitati al sedicesimo posto: e non è che si valga molto di più di quella posizione.
Quasi certamente perderemo un posto in Champions League: bene, così eviteremo altre figuracce, però è umiliante essere scivolati tra quelli che contano poco o niente. Questa, grosso modo, la situazione del calcio italiano. Eppure, forse perché siamo in Italia, neanche un dirigente è saltato, neanche uno ha avuto il buongusto di dimettersi. Il primo che dovrebbe farlo è proprio il presidente federale Abete, ma questi sono politici e non li schioda neppure un terremoto. La base, come si dice, viene sconfitta, umiliata e offesa, ma il vertice è molto più giù di quel sedicesimo posto. Cambiare davvero, magari?
MAURIZIO CROSETTI
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