La donna iraniana condannata per adulterio, secondo una Ong, sarà giustiziata tra poche ore. Nel pomeriggio, a Parigi, manifestazione di protesta davanti all’ambasciata iraniana
Sakineh, l’iraniana 43enne la cui condanna a morte ha innescato l’indignazione internazionale, sarà giustiziata domani. Lo riferisce l’associazione International Committee Against Execution. Secondo un comunicato dell’organizzazione sulla sua pagina web, le autorità iraniane hanno dato l’ordine che l’esecuzione avvenga nella prigione di Tabriz, dove Sakineh Mohammadi Ashtiani, sconta la condanna. L’International Committee Against Execution aveva già reso noto, lo scorso 11 ottobre, che il figlio di Ashtiani era stato arrestato dalla polizia iraniana insieme all’avvocato di sua madre e a due giornalisti tedeschi che volevano intervistalo. In manette anche il loro avvocato. Accusato di avere «interagito con elementi controrivoluzionari con base all’estero», «falsificazione di documenti» e trovato in possesso di «tre diversi documenti d’identità». Accuse rese note dal procuratore generale, Gholamhossein Mohseni-Ejei, citato oggi dal quotidiano Teheran Times. Il Comitato ha organizzato un evento di protesta alle 14 ora locali (le 15 in Italia), davanti all’ambasciata iraniana a Parigi e una marcia dinanzi alla sede del Parlamento europeo, a Bruxelles.
MOVIMENTI SOTTERRANEI – A lanciare l’allarme è il presidente dell’associazione dei rifugiati Iraniani residenti in Italia, Karimi Davood. «Abbiamo ricevuto dall’Iran fondate informazioni di un’accelerazione dei tempi dell’esecuzione: potremmo essere alla vigilia dell’impiccaggione», riferisce spiegando che Teheran avrebbe inviato a Tabriz, città dove sono detenuti il figlio di Sakineh e del suo legale, l’ordine di non rilasciarli fino a che non sarà eseguita l’esecuzione della donna. Un segnale che – spiega la fonte – «procura grande preoccupazione: il regime dei mullah – ribadisce – intende impiccare Sakineh in grande segretezza e lasciare il mondo di fronte ad un fatto compiuto». Indicazione che trova conferma anche da un’altra fonte: «Abbiamo ricevuto anche noi indicazioni di questo tipo», spiega la presidente del Comitato contro la lapidazione Mina Ahadi. «Ci sarebbe una lettera dell’Alta Corte di Teheran a Tabriz in cui si chiede di non rilanciare il figlio di Sakineh ed il suo avvocato fintanto che la donna non sarà giustiziata». La comunità e i leader internazionali devono muoversi immediatamente per cercare di fermare l’esecuzione di Sakineh, perché «domani potrebbe essere troppo tardi».
DIRITTI UMANI – Conferme arrivano anche dall’ong Iran Human Rights (IHR). «Secondo rapporti non confermati, Sakineh potrebbe essere a rischio imminente di lapidazione. Le autorità iraniane hanno ripetuto nelle ultime settimane le loro accuse di omicidio». Secondo il quotidiano Qods, fonti del ministero degli Esteri, hanno riferito nel corso di un incontro che “la signora Sakineh Ashtiani è colpevole di adulterio e omicidio del marito, e che la famiglia del marito ha chiesto la retribuzione. L’Iran difende la vittima e la sua famiglia, mentre l’Occidente difende l’autore del reato”». Secondo IHR, le autorità iraniane hanno anche confermato per la prima volta che l’avvocato di Sakineh (Javid Houtan Kian) è in stato d’arresto: «Il portavoce del potere giudiziario e procuratore capo iraniano, Gholamhossein Mohseni Ejei, ha detto in una conferenza stampa ieri che l’avvocato aveva tre carte d’identità e il suo caso è in relazione con alcuni gruppi in esilio contro-rivoluzionari, ed ora il caso viene esaminato». Di qui la preoccupazione del portavoce di IHR, Mohmood Amiry-Moghaddam per la sorte di Sakineh: «Le accuse da parte delle autorità iraniane per quanto riguarda la condanna per omicidio, e soprattutto le loro affermazioni sulla richiesta di retribuzione da parte della famiglia offesa, sono fabbricate dal regime in modo da rendere più accettabile l’esecuzione alla comunità mondiale».
NELLE MANI DI KHAMENEI – Tutto sarebbe pronto per l’esecuzione «immimente perché tutta la documentazione relativa al suo caso è stata inoltrata dal carcere di Tabriz alla Corte Costituzionale di Teheran. Manca solo l’ok della Corte, ma si tratta di una pura formalità», conferma in un un’intervista ad Aki-Adnkronos International Djafarizad Taher, responsabile dell’ong Neda Day, che si occupa della difesa dei diritti umani in Iran. E aggiunge: «tutto è ora nelle mani della Guida Suprema, l’ayatollah Ali Khamenei», il quale ha il controllo sulla magistratura. «È Khamenei l’unico che ha il potere di decidere» sul caso Sakineh.
SENZA CONFERME GOVERNATIVE– La grande mobilitazione delle organizzazione umanitarie non trova però conferme da fonti ufficiali del governo di Teheran. Conferme che non ha trovato neppure il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini a cui le ong hanno chiesto un immediato intervento. «Il nostro ambasciatore non ha nessunissima conferma del fatto che domani la condanna a morte di Sakineh sarà eseguita» ha detto, rispondendo ad alcune domande nel corso del Gr1.
LA COMMUTAZIONE DELLA CONDANNA – Sakineh, 43 anni, è rinchiusa da cinque anni nel braccio della morte della prigione di Tabriz, nella zona nord-occidentale dell’Iran. Nel 2006 le sono state inflitte 99 frustate per una “relazione illecita” con due uomini, poi è stata condannata a morte per adulterio. Il caso ha suscitato le dure rimostranze della comunità internazionale e una martellante campagna della stampa straniera, tanto che le autorità iraniane hanno deciso, lo scorso luglio, di commutare la lapidazione in impiccagione.
QUI SOTTO ALCUNE LETTERE DI PERSONAGGI PUBBLICI
La lettera di Saviano
Lapidarla significherebbe lanciare un sasso contro ogni donna. Può sembrare retorico, scontato, persino falso, peché in fondo le donne da altre parti del mondo vivono come vogliono e forse nemmeno sanno chi è lei.
Ma poiché queste sono parole è compito nostro trasformarle in sassi, colpendo chi l’ha condannata. In modo da riuscire ad essere in molti – e determinanti – nel dire, nel pretendere: “Nessuno levi la mano contro Sakineh”.
La lettera di Fernando Savater
Mi permetta di rivolgermi a lei per testimoniarle la mia solidarietà e per esprimere l’indignazione che provo davanti alle umiliazioni e minacce a lei inflitte dalle autorità del suo Paese. Non sono che uno tra migliaia di spagnoli preoccupati per la sua sorte. Le punizioni corporali e la pena di morte sono sempre mezzi abominevoli, che ricordano i tempi della barbarie; e ciò è anche più vero quando a subirle sono persone discriminate in ragione del loro sesso o delle loro scelte ideologiche. Nel XXI° secolo nessuna giustificazione religiosa o penale può scusarle.
E’ sempre più evidente che la decenza politica degli Stati moderni si dimostra nel trattamento riservato alle loro cittadine, alle donne. Sappia, cara amica, che siamo in molti ad esigere che i Paesi dell’Unione europea si pronuncino con chiarezza e fermezza in suo favore, anche applicando all’Iran misure coercitive che potrebbero rivelarsi efficaci.
A lei, ai suoi figli e a tutte le donne che soffrono, in Iran e altrove, dovunque sono vittime di discriminazioni, esprimo i miei più sinceri auguri di ogni bene.
La lettera di Valéry Giscard D’Estaing
Per principio, mi astengo dall’intervenire nelle procedure giudiziarie in atto in uno stato estero. Ma la sorte riservata a Sakineh Mohammadi Ashtiani non mi appare compatibile con gli usi e i principi del mondo contemporaneo.
Fin dalle sue origini, l’umanità si è sempre sforzata di superare i propri comportamenti primitivi e crudeli. In tutte le culture, la civiltà mira a conseguire l’abolizione di pratiche che attentano alla dignità dell’essere umano. Una di queste è la lapidazione.
La pena che si intende infliggere a Sakineh ci riporta ai tempi più bui dell’umanità. Ben altro meriterebbe la grande cultura persiana, che tanto ha contribuito a elevare la civiltà umana. Possano le autorità iraniane tenerne conto, finché sono ancora in tempo.
La lettera di Isabelle Adjani
Il tuo nome batte nel mio cuore, e il mio cuore batte mentre ti scrivo. Il tuo nome è su tutte le labbra e sarà mormorato fino a spaccare i timpani di quei giudici che rimangono sordi ai gemiti delle donne di cui tu sei l’irriducibile figura di libertà. Tu sei la vera donna, crudelmente ricca di una possibilità inedita: quella di rivestire di carne un senso della giustizia che dà al mondo intero un brivido di rivolta; quella che le strapperebbe la pelle, se noi non fossimo capaci di vincere l’oscurantismo deliberato di uomini resi furiosi dalla potenza della tua esistenza.
Chi ti scrive non è che un’attrice francese la cui vocazione artistica è quella di tentare di impersonare, il più umanamente possibile, i travagli e i tormenti di eroine spesso tragiche. Null’altro che l’infimo prolungamento del “frammento del nostro destino di donne” che tu rappresenti, e del tuo rifiuto di quel “saper morire” imposto da chi ossessivamente, in nome di un’ignoranza criminale, vuole liquidare la magnificenza della tua dignità. La loro rabbia sconfina nella follia alla sola idea dell’amore – sì, dell’amore che c’è nella tua libertà. Mi congedo da te, cara Sakineh, da te che non ci lasci mai.
La lettera di Umberto Veronesi
La mia firma non è solo un’adesione personale, ma è un impegno a mobilitare il mondo della scienza per salvare Sakineh e tutto ciò che questa donna perseguitata rappresenta: la tutela dei diritti umani, la lotta all’integralismo e la violenza in ogni sua forma, l’impegno per il progresso della civiltà.
Sono anche i fini ultimi della scienza e, per questo, conto che i venti premi Nobel che hanno aderito a Scienze for Peace, oltre a tanti scienziati e ricercatori nel mondo, si attiveranno accanto a me per Sakineh.
Per Sakineh, a morte la pena di morte!
di DANIEL SALVATORE SCHIFFER*
Nella Repubblica Islamica dell’Iran una donna di 43 anni, madre di due figli, Sakineh Mohammadi-Ashtiani, rischia oggi la morte per lapidazione (dopo aver già subito 99 frustate in guisa di punizione pubblica e a titolo di “esempio”, in presenza di suo figlio). Una vergogna per l’umanità!
Quali i crimini commessi da Sakineh agli occhi delle autorità politico-religiose di questo Paese? L’adulterio, un fatto comprovato, che tuttavia non è un crimine e neppure un reato. Ma soprattutto la complicità nell’omicidio di suo marito, perpetrato dal suo amante; quest’ultima effettivamente confessata – sotto una pressione morale orrendamente simile a una tortura psicologica – ma poi negata con disperata ostinazione.
Certo, in mancanza di sufficienti elementi di giudizio, non sta a noi dirimere qui la questione della presunta colpevolezza o dell’innocenza di questa donna. Non intendiamo perciò entrare nel merito della dinamica del processo, e tanto meno nei suoi dettagli. C’è però una cosa, in questa procedura giudiziaria, di cui siamo certi: punizioni di questo tipo, non diversamente da tutte le forme che può assumere la pena capitale, sono contrarie in tutto e per tutto non solo alle prassi di ogni democrazia moderna – definizione certo non confacente all’Iran integralista dei Mollah – ma in senso ancora più globale, al rispetto della vita umana. E ciò in ogni caso e senza esclusione alcuna, quale che sia la gravità delle imputazioni.
A quest’argomento essenziale – il rispetto, in questo caso, della vita di una donna – anche il più fondamentalista dei credenti dovrebbe mostrarsi sensibile, in nome di una logica della compassione e al cospetto della carità divina. A morte, dunque, la pena di morte!
Il supplizio previsto, particolarmente barbaro e retrogrado – in doloroso contrasto con la grande civiltà che l’Iran ha rappresentato in passato – ci riporta ai momenti peggiori dell’oscurantismo ideologico e religioso di sinistra memoria, indegno di un Paese moderno. L’ondata di sdegno suscitata sull’intero pianeta dal verdetto della giustizia iraniana è dunque perfettamente giustificata.
Ecco perché gli intellettuali più impegnati, coscienze instancabili nello sforzo di vigilare sul claudicante andamento del mondo, hanno rivolto un appello solenne alle autorità iraniane, chiedendo loro di fermare in via definitiva – se non altro per clemenza, o per pure e semplici ragioni umanitarie, l’iter di questa esecuzione iniqua e intollerabile!
Ma non è tutto: in senso ancora più generale, al di là dell’urgenza di un caso individuale e particolare come quello di Sakineh, chiediamo, con lo stesso fervore morale, la stessa determinazione filosofica, il rispetto della dignità e della libertà di tutte le donne iraniane, siano esse musulmane o di qualunque altra confessione religiosa o anche laiche. Questo nostro appello pressante è condiviso, ne siamo certi, da milioni di uomini e donne di buona volontà in tutto il mondo democratico!
Infine, chiediamo non solo una misura temporanea quale la sospensione della lapidazione di Sakineh, ma la pura e semplice abolizione di questa pratica!
Perciò rivolgo a chiunque leggerà questo testo l’invito ad associarsi con la propria firma all’appello lanciato in tutto il mondo dai miei amici intellettuali francesi e dal sottoscritto, cittadino italiano, e pubblicato on line come petizione aperta sul sito di Repubblica.
Questo chiediamo oggi agli Ayatollah, ai Mollah e al presidente della Repubblica islamica dell’Iran: liberate Sakineh dall’anticamera di questa morte più d’ogni altra atroce e crudele.
*Filosofo, autore di Filosofia del Dandismo, o l’estetica del vivere (Excelsior 1881, Milano, 2010)
(Traduzione di Elisabetta Horvat)
La lettera di Carla Bruni
Cara Sakineh,
condannata a essere sepolta viva e poi lapidata! Il tuo bel viso massacrato! I tuoi occhi pieni di dolore e di dignità, la tua fronte, il tuo cervello, la tua anima … trasformati in bersagli per i lanciatori di sassi, spaccati, polverizzati, sbriciolati! Orrore e costernazione! Quest’immagine da incubo, terrificante, sconvolgente, che sembra uscita dalla notte dei tempi, quest’incredibile tortura rischia dunque di trasformarsi in realtà.
Per ragioni oscure, con fredda rabbia, esseri simili a te e a me hanno deciso questo, Sakineh. Esseri che si arrogano il diritto di vita e di morte su chi non obbedisce al loro volere.
Come tacere dopo aver appreso la sentenza pronunciata contro di te? Quello che rischi di subire ferirà profondamente ogni donna, ogni bambino, chiunque sia animato da sentimenti di umanità. E quel che è peggio, non saresti la sola a rischiare questo atroce supplizio….
Non vedo cosa possa nascere di bene da questa macabra cerimonia, quali che siano le giustificazioni giuridiche addotte.
Spargere il tuo sangue, privare i tuoi figli della loro madre, ma perché? Perché hai vissuto, perché hai amato, perché sei una donna, un’iraniana?
Tutto in me si rifiuta di accettarlo. Il popolo iraniano fa parte delle nazioni più antiche e più eminenti del pianeta. Non riesco a comprendere come gli eredi di una grande civiltà, fatta di raffinatezza e tolleranza, possano mostrarsi così infedeli a quel retaggio millenario.
I tuoi giudici devono saperlo, Sakineh: il tuo nome è ormai un simbolo sull’intero pianeta. Si renderanno conto che in qualunque epoca, in qualunque luogo, non potrebbero mai lavarsi le mani da un siffatto crimine!
Sono fiera di vivere in un Paese che ha abolito la pena di morte, che pure per lungo tempo aveva fatto parte delle nostre leggi. Posso dire che la sua abolizione ha costituito una vittoria democratica di grandissima importanza per tutto il nostro popolo. E se questa vittoria divenisse anche la tua? Se la nazione iraniana voltasse le spalle a questa pratica barbarica?
Io prego perché la giustizia del tuo Paese sappia dar prova di clemenza nei tuoi riguardi, e verso le altre vittime che rischierebbero di subire lo stesso supplizio. In Francia i bambini imparano a scuola che la clemenza è la principale virtù dei governanti.
Nel fondo della tua cella, sappi che mio marito sosterrà instancabilmente la tua causa, e che la Francia non ti abbandonerà.
La lettera di Charlotte Gainsbourg*
Che fortuna per me vivere nel mio Paese. Che fortuna sapere che sarò giudicata in base alle mie leggi, ai miei principi. Sakineh Mohammadi, di che colpa ti sei macchiata? Quale crimine merita la pena che ti vogliono infliggere? Una pratica così arretrata, così disumana: la lapidazione. Una pratica d’altri tempi. Voi uomini che siete i giudici, come potete ordinare un simile supplizio? Io sono una donna del XXI° secolo. Solidale con tutte le donne. Liberate Sakineh Mohammadi Ashtiani.
* attrice e cantante
La lettera di Aubry *
Tutto dev’essere fatto, tutto si deve tentare e dire per salvare Sakineh Mohammadi Ashtiani, e per denunciare la barbara condanna pronunciata contro di lei. Davanti alla sorte che vogliono riservarle le autorità iraniane, al loro accanimento nei suoi confronti, ognuna e ognuno di noi ha il dovere di esprimere il proprio senso di rivolta, il proprio bisogno di giustizia e di umanità. Le dobbiamo questa mobilitazione, e per suo tramite la dobbiamo a tutte le donne iraniane vittime di quel regime. Perciò mi associo a quest’appello senza riserve.
* segretario partito socialista francese
La lettera di Cesare Prandelli*
Ho deciso di unirmi alla campagna internazionale per salvare la vita di Sakineh perché quello che questa donna sta soffrendo, la paura che deve provare e il dolore inflitto ai suoi familiari sono tutte violenze contro ogni persona libera nel mondo. Ovunque si trovi e qualsiasi lavoro faccia. Chi come me vive il mondo dello sport e passa tanto tempo tra i giovani, sa quanto è importante lavorare per creare una società più giusta, pacifica e libera dalla paura e dalla violenza. Per questo, per salvare tutti noi, chiedo di salvare Sakineh.
* Commissario Tecnico della Nazionale di calcio dell’Italia
La lettera di Jovanotti
L’anno scorso ho attraversato l’Iran con la biciletta, un viaggio attraverso i grandi spazi deserti e le città. L’Iran è un Paese bellissimo e complesso abitato da gente di una gentilezza ospitale e riservata.
Le strade di Teheran sono piene di giovani che amano profondamente il loro paese e la propria cultura tanto quanto amano e sognano più libertà, più modernità, più apertura verso il mondo senza rinunciare al loro spirito.
L’Iran è uno dei luoghi chiave del pianeta e la nostra battaglia per liberare Sakineh, anche se condotta a distanza, è giusta e non rivolta contro il popolo iraniano ma contro quei pochi che con una barbarie del genere raccontano al mondo un’immagine del proprio Paese che non corrisponde affatto alla realtà.
La lettera di Francesca Comencini
e Lunetta Savino *
“Le donne del gruppo Di Nuovo si alzano a dire che Sakineh è ognuna di loro. Il suo corpo, i suoi occhi, le sua mani, sono i nostri. Nessuna di noi vuole più tacere, né è disposta ad accettare che Sakineh venga lapidata sulla pubblica piazza. Sakineh è il nome di ognuna di noi. Sakineh è il nome di tutte le donne. Ogni donna si alzi in piedi e scagli la propria voce contro il suo massacro. Lo scagli pronunciando il suo nome, Sakineh, come fosse il proprio. Le nostre voci impediscano la feroce violenza di quei maschi che si sono vestiti da giudici e persino da Dio per assassinare un volta di più una donna alla quale non perdonano, come nessun maschio ha mai del tutto perdonato a nessuna di noi, di essere nata donna e di voler essere libera.”
* per l’associazione “Di Nuovo”
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