Operazioni in Sicilia, Lazio, Toscana, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia. Fausto Fagone dei Popolari Italia domani rinviato a giudizio per abuso di ufficio e truffa aggravata.
CATANIA – Un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 47 indagati, tra esponenti di spicco di Cosa nostra e amministratori, è stata eseguita la notte scorsa da carabinieri del Ros tra Sicilia, Lazio, Toscana, Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia. Militari dell’Arma hanno anche sequestrato beni per circa 400 milioni di euro. Il provvedimento, emesso dal Gip Luigi Lombardo su richiesta della Dda della Procura di Catania, riguardano esponenti di spicco di Cosa nostra, pubblici amministratori ed imprenditori del capoluogo etneo. I reati ipotizzati, a vario titolo, sono associazione mafiosa, omicidio, estorsioni e rapine.
IN MANETTE ANCHE IL DEPUTATO FAUSTO FAGONE E ALTRI POLITICI – Tra gli arrestati dell’operazione Iblis del Ros c’e anche il deputato regionale dei Popolari Italia domani (Pid) Fausto Fagone. Provvedimenti restrittivi sono stati emessi anche nei confronti del consigliere della Provincia di Catania dell’Udc, Antonino Sangiorgi, dell’ assessore del Comune di Palagonia, Giuseppe Tomasello, e dell’ imprenditore e assessore al Comune di Ramacca, Francesco Ilardi. Il Gip Luigi Barone ha rigettato la richiesta di arresto avanzata dalla Procura nei confronti del deputato regionale ex Pdl Sicilia e adesso Gruppo misto Giovanni Cristaudo. Fausto Fagone, 44 anni, originario di Palermo, laureato in Economia, è un consulente finanziario. È deputato regionale dell’Udc in Sicilia dal 2006, ed è al suo secondo mandato. Dal 28 settembre scorso ha aderito al partito dei Popolari Italia domani (Pid), nato dalla scissione del gruppo di Saverio Romano e Salvatore Cuffaro dall’Udc. È presidente della commissione Cultura, Formazione e lavoro dell’Ars. In passato è stato sindaco di Palagonia, grosso centro agricolo della Piana di Catania famoso per le arance, incarico che era stato ricoperto dal padre, Salvino. E in qualità di sindaco di Palagonia, su richiesta del procuratore capo di Caltagirone, Francesco Paolo Giordano, il 28 giugno scorso Fausto Fagone è stato rinviato a giudizio per abuso di ufficio, truffa aggravata, falso materiale e ideologico, e frode in pubblica fornitura, assieme a due funzionari comunali e a due imprenditori, nell’ambito dell’inchiesta su presunte irregolarità nella concessione dell’appalto per la raccolta dei rifiuti solidi urbani nel paese. Giovanni Cristaudo, 66 anni, geometra, funzionario delle imposte dirette, è deputato regionale dal 2001, ricoprendo tre legislature. Fino al 2006 è stato segretario della commissione Statuto e riforme istituzionali. Eletto in Forza Italia è poi passato al Pdl. È successivamente confluito nel Pdl-Sicilia di Gianfranco Miccichè, e ha seguito il sottosegretario nel Partito del Sud. In passato Cristaudo è stato più volte assessore comunale a Catania. La sua prima esperienza risale al 1988. È stato per due volte al centro di inchieste della Procura etnea per presunte irregolarità amministrative ma è stato sempre prosciolto in sede di udienza preliminare.
Purtroppo i beni confiscati alla mafia? La metà si perde in burocrazia
Più della metà dei beni confiscati alla criminalità organizzata (52,6%) restano inutilizzati e questo avviene anche “a causa della lentezza delle procedure”: in media ci vogliono infatti “dai 7 ai 10 anni”, per giungere alla confisca definitiva e poi finalmente all’utilizzo del bene. A segnalare il problema è la Corte dei Conti nella relazione che chiude l’indagine di controllo sulla “Gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata”.
Per quanto riguarda i proventi derivanti dalla gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata, che per legge sono versati per il 10% in entrata al bilancio dello Stato, la Corte rileva che l’ammontare complessivo delle somme utilizzate per il finanziamento agli enti locali nei cui confronti è stato disposto lo scioglimento anticipato dei Consigli comunali e provinciali, a causa di infiltrazioni di tipo mafioso per l’anno 2008 è pari a 1.278.372,80 euro, mentre per l’anno 2009 scende a 773.262,00 euro. L’indagine ha inoltre “messo in luce la necessità improcrastinabile che il Ministero per i Beni e le Attività Culturali si doti di un archivio informatico nazionale, dove raccogliere i dati dei beni storico-artistici dei quali si perdono le tracce tra i vari musei, sovrintendenze e gallerie d’arte”.
La Corte dei Conti ha poi fatto luce sui business della mafia. Dove i mafiosi investono di più? Nella costruzione di centri commerciali, ma anche, approfittando della crisi, nel mercato immobiliare. La Corte segnala poi che la criminalità organizzata resta radicata soprattutto al Sud ma che ormai ha esteso i suoi interessi al Nord Italia e “ancor più oltre confine”; tanto da poter parlare di una sua “extraterritorialità”, che unita al ricorso a reti “fittissime” di prestanomi, renderà la confisca dei beni dei clan una “chimera”.