Il governo due volte sotto, poi il sì al ddl. Torna al senato per il via libera definitivo. Il premier: «Gli studenti veri stanno a casa a studiare, quelli in giro a protestare sono dei centri sociali»
Una lunga giornata. A Montecitorio, dove il governo è andato «sotto» in due occasioni. E soprattutto, fuori, nelle strade di Roma e delle altre città italiane, dove è andata in scena la protesta di studenti, docenti, ricercatori contro la riforma dell’università firmata dal ministro Gelmini. Una lunga giornata chiusa con il voto favorevole della Camera poco dopo le 20: il ddl viene approvato con 307 sì, 252 no e 7 astenuti. Hanno votato a favore Pdl, Lega, Fli, Adc, Mpa e Noi sud-Pid. Hanno votato contro il Pd, l’Idv, l’Udc, i Liberal Democratici. L’Api si è astenuto. Il ddl non è ancora legge, visto che deve tornare al Senato per il voto definitivo. Ma a Palazzo Madama l’approvazione è scontata.
IL MINISTRO – Soddisfatta la Gelmini, secondo la quale «il tempo è galantuomo e gli studenti capiranno che questa riforma dell’università è tutta a loro vantaggio: è un cambiamento epocale di cui si sentiva il bisogno se vogliamo allineare il nostro sistema all’Europa». Il provvedimento, ha assicurato il ministro, non sarà ulteriormente modificato al Senato e se «c’è la volontà politica – ha precisato – ci sono i tempi per approvare» il testo definitivamente «prima del 14 dicembre».
ULTIMI DUELLI – La riforma dell’università è arrivata all’atto finale passando attraverso un’altra giornata di difficoltà per il governo e la maggioranza. Dopo le sconfitte dei giorni scorsi, l’esecutivo è stato ancora una volta battuto due volte . La prima su un emendamento del gruppo di Futuro e libertà all’articolo 19 della riforma dell’università, relativo agli assegni di ricerca. Il testo, su cui c’era il parere contrario di governo e commissione Bilancio, è stato approvato con 277 sì e 257 no. La relatrice Paola Frassinetti (Pdl) ha minimizzato spiegando che si tratta di un emendamento «tecnico» che non incide sull’impianto della riforma. La seconda volta il governo è andato sotto su tre emendamenti identici di Fli, Api e Pd che prevedevano la soppressione della «clausola di salvaguardia» inserita nella riforma dell’università. Con l’approvazione degli emendamenti è stata eliminata la norma che prevedeva una sorta di «commissariamento» per il ministero dell’Istruzione da parte del ministero dell’Economia nel caso in cui si fossero verificati o fossero in procinto di verificarsi scostamenti rispetto alle previsioni di spesa. La discussione del ddl era iniziata in contemporanea alle manifestazioni e ai cortei che i coordinamenti di studenti, ricercatori e dottorandi hanno organizzato in tutta Italia per chiedere all’esecutivo di fare dietrofront su una riforma che viene considerata penalizzante.
Il voto finale (Liverani) |
«ANDATE A STUDIARE» – Sulle proteste si è espresso anche il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che ha liquidato le manifestazioni dicendo che «gli studenti veri stanno a casa a studiare, quelli in giro a protestare sono dei centri sociali o fuori corso». E quanto al ddl approvato dalla Camera ha spiegato che «è una buona riforma che favorisce gli studenti, i professori e più in generale tutto il mondo accademico e dunque deve passare se vogliamo finalmente ammodernare l’università». Quanto alle critiche arrivate da più parti, il capo del governo ha rilevato che «è stata discussa con tutte le parti in causa, modificata, migliorata e credo che meglio di così non si potesse proprio fare». Inoltre, ha aggiunto, «introduce maggiore meritocrazia ed è davvero un vantaggio per tutti».
FINI – Critico sulle manifestazioni anche il presidente della Camera, Gianfranco Fini: «Gli estremisti che hanno bloccato Roma e causato gravi incidenti non hanno reso un buon servizio alla stragrande maggioranza di studenti scesi in piazza con motivazioni non totalmente condivisibili, ma certamente animate da una positiva volontà di partecipazione e di miglioramento delle condizioni della nostra università». «Per questo – conclude – esprimo la mia solidarietà alle forze di polizia, ai cittadini romani e ai tantissimi giovani in buona fede, la cui protesta è stata strumentalizzata».
SCHIFANI – «I gravi incidenti che oggi hanno paralizzato Roma non hanno certamente giovato alla vita democratica e a chi voleva manifestare pacificamente» sostiene il presidente del Senato, Renato Schifani. «Gli attacchi alle forze dell’ordine – osserva Schifani – sono da condannare assieme a ogni altra forma di violenza e di facile strumentalizzazione».
BERSANI – Di tutt’altro parere il leader del Pd Pier Luigi Bersani che spiega: «Mi pare che nella stragrande maggioranza studenti e ricercatori si sono mossi in modo pacifico. Ha impressionato la città militarizzata, mai vista Roma così, e se si è arrivati a questa tensione è per irresponsabilità del governo che ha perso la testa e la presa sui problemi del Paese». Bersani attacca il governo sottolinendo che «non sarà in grado di portare a termine questa riforma nella sua applicazione». «Non riapriamo il tema di chi è fuori corso perché creerebbe nella maggioranza più imbarazzi di quelli provocati da Wikileaks» ha aggiunto il segretario del Pd rispondendo ai giornalisti sulle affermazioni del premier Berlusconi sul fatto che i «bravi» studenti sono a casa a studiare e non in piazza.
POLEMICA SICUREZZA– Roma è stata «assediata da una vera e propria tenaglia militare, che ricorda altre epoche e altre capitali: Roma blindata e sequestrata come Santiago del Cile» ai tempi di Pinochet fa eco a Bersani Nichi Vendola, presidente di Sinistra ecologia libertà, sulla gestione dell’ordine pubblico da parte del ministro dell’Interno, Roberto Maroni. E da quest’ultimo arriva immediata la replica alle accuse di Vendola: «Io ho il compito di gestire l’ordine pubblico e evitare incidenti e l’assalto ai luoghi sacri della democrazia, come avvenuto la scorsa settimana in Senato. E mi pare che tutto sta avvenendo con grande responsabilità delle forze dell’ordine che hanno subito violenza e stanno gestendo una situazione molto complicata».
LA NORMA ANTI-PARENTOPOLI – Tra gli altri voti collegati al ddl di riforma universitaria va segnalato quello sulla norma cosiddetta «anti-parentopoli». La proposta del governo, concretizzata in un subemendamento della commissione, è passata con il voto favorevole di maggioranza e opposizione. A favore ha votato anche Fli, mentre dall’Idv è giunto un voto contrario. La nuova norma prevede che siano esclusi dalla chiamata candidati che siano parenti e affini «fino al quarto grado compreso, un professore appartenente al dipartimento o alla struttura che effettua la chiamata; o con il rettore, il direttore generale o con un consigliere di amministrazione dell’ateneo».
LIMITI PER I DOCENTI A CONTRATTO – Un altro emendamento, presentato dal Pd, avrà invece come effetto lo stop alla proliferazione dei docenti a contratto nelle università. Il testo è stato appoggiato anche dalla maggioranza e prevede che «i contratti a titolo gratuito non possono superare nell’anno accademico il 5% dell’organico dei professori e ricercatori di ruolo in servizio presso l’ateneo». Inoltre, in base a un altro emendamento i contratti di docenza (oggi spesso abusati per coprire i vuoti di organico) possono essere rinnovati per «un periodo massimo di cinque anni».
Redazione online