Le fiamme sono divampate tra i boschi del monte Carmelo, nel nord del Paese, devastando un’area di migliaia di ettari. I vigili del fuoco: “E’ uno dei roghi più gravi della storia della nazione”
Inferno sul monte Carmelo, nel nord d’Israele, dove un gigantesco rogo divampato fra i boschi ha devastato un’area di quasi 3000 ettari, causando la morte di almeno 40 persone (tutte guardie carcerarie, uomini e donne), il ferimento o l’intossicazione di diverse altre, lo sgombero di villaggi e kibbutz e ingenti danni materiali.
Un disastro con pochi precedenti in Israele, costretto a chiedere l’invio di aerei anti-incendio da Paesi stranieri – Italia, Russia, Cipro e Grecia in primis – per far fronte a una situazione rimasta fuori controllo per l’intera giornata dopo i primi allarmi di metà mattina.
La strage si è consumata lungo una delle tortuose strade del Carmelo: un suggestivo promontorio citato dalla Bibbia, arricchito da una lussureggiante riserva naturale, affacciato sulla baia di Haifa e dominato da un santuario cattolico fra i più visitati della Terra Santa.
Ne sono rimaste vittime decine di guardie penitenziarie che erano a bordo di un bus ribaltatosi mentre si allontanava dalla zona dopo l’evacuazione dei detenuti del vicino carcere di Damon.
Il loro destino è stato orrendo: intrappolati fra le lamiere, sono stati investiti dalle fiamme. I morti, malgrado le telefonate disperate e i tentativi di aiuto, sono stati alla fine almeno 40, ma si contano pure alcuni feriti gravi e altri più leggeri fra poliziotti e soccorritori. Due funzionari di polizia risultano inoltre “dispersi”.
Una tragedia che ha fatto precipitare il Paese nel lutto e ha proiettato un sottofondo plumbeo dietro le immagini apocalittiche del fuoco e del fumo trasmesse per ore dalle tv. L’incendio, definito “uno dei più gravi della storia d’Israele” dal portavoce dei vigili del fuoco Yoram Levy, ha interessato un’area molto vasta: di oltre 7000 acri (2800 ettari) secondo stime aggiornate, ma ancora parziali. Alcuni feriti o intossicati si lamentano anche nel kibbutz di Givat Wolfson, in parte evacuato come diversi villaggi (in maggioranza drusi) della zona.
La piccola località di Beit Oren appariva in serata spettrale e quasi completamente distrutta, in un panorama di case semi-carbonizzate. Mentre l’allerta si è estesa fino a Haifa (dove l’università è stata sgomberata nel pomeriggio) e danni si registrano anche in varie strutture, fattorie e almeno tre kibbutz di medie dimensioni: in uno figurano fra i residenti sei italo-israeliani, rimasti apparentemente incolumi.
Le cause dell’incendio restano da accertare, ma non si esclude l’ipotesi del dolo. Secondo fonti di polizia, la pista principale d’indagine si concentra al momento sul probabile legame fra il rogo e un focolaio iniziale acceso in una discarica abusiva. A contribuire al disastro, sono state poi le raffiche di vento e la vegetazione, resa facilmente infiammabile dalla siccità che da mesi flagella la regione, in assenza di piogge e di una qualunque traccia d’inverno.
Il premier Benyamin Netanyahu ha parlato di “una catastrofe senza precedenti” per Israele. Ha quindi assicurato l’invio sul posto di tutti i mezzi di soccorso disponibili, esercito incluso, annunciando anche le richieste d’aiuto – subito accolte – verso Italia, Russia, Cipro e Grecia. Ma ha anche ammesso che ci sono “molte lezioni da trarre” dall’accaduto. Le prime polemiche fanno in effetti già capolino. Il Paese è apparso colto di sorpresa e impreparato, come confermano l’affannato sos oltre confine. Mentre il sindaco di Haifa, Yona Yahav, ha denunciato a chiare lettere carenze di controlli sul fenomeno delle discariche illegali e di presidi delle aree boschive. “Lo sapevamo tutti – ha dichiarato – che era solo una questione di tempo, questa è una calamità annunciata”.