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“Caso Ruby”: ecco tutte le verità che gli altri non vi raccontano

I pm di Milano non hanno la pistola fumante per “inchiodare” il Cavaliere. Ma per incastrarlo si stravolgono le procedure: dubbi sulla competenza e sulla concussione che non c’è. Bruti Liberati: altre prove? Le tengo per me. E’ la tecnica delle accuse a rate, già vista nei casi Saccà e Agcom. Intanto alcune ragazze coinvolte nello scandalo difendono il Premier

Passata la buriana, sputtanato ben bene il premier, il Rubygate viene alla luce per quello che è: un’opera di killeraggio scientifico che appare pianificato a prescindere dalla consistenza delle ipotesi di reato. Basato, semmai, sulla martellante campagna mediatica cominciata nel 2009 con il caso Noemi, proseguita con l’affaire D’Addario e transitata per le dichiarazioni della escort Macrì. Per un anno e mezzo la stampa ha ficcato il naso nelle stanze da letto del premier, e ora che finalmente lo fa anche la procura (di Milano) il gancio giudiziario chiude il cerchio. Peccato, però, che la «nuova» inchiesta riveli storture procedurali, dichiarazioni quasi solo de relato, frequenti violazioni delle guarentigie parlamentari, intercettazioni a tappeto agli ospiti di Arcore (un anno intero) e soprattutto «prove evidenti» che, sui reati contestati al presidente del Consiglio, «evidenti» non lo sono nemmeno un po’. Se si sollevano obiezioni, l’accusa è di servire il Padrone. Ma persino il diritto, di fronte agli scenari felliniani delle notti d’Arcore, è stato stravolto.

Si è partiti dando per scontata l’esistenza di una «prova certa» del rapporto sessuale tra Berlusconi e la giovane marocchina, eppoi la «colpa» s’è trasformata in una meno fumante «prova della permanenza» ad Arcore di Ruby Rubacuori. Così dal reato contestato a Berlusconi – aver fatto sesso con una minorenne – si passa a quello contestato a mezzo stampa: aver indotto «minori di anni diciotto a partecipare a esibizioni pornografiche». È un altro comma dello stesso articolo, ma qualcuno forse immagina sia più semplice appiccicarlo al Cav, visto il clima provocante di balletti trasgressivi e lapdance descritto dalla «superteste» della procura, Melania T., che purtroppo per i detrattori di Silvio ha detto di aver visto comportamenti ambigui escludendo scene di sesso. Se le «altre» giovincelle davvero si strusciavano davanti al premier, perché non avrebbe dovuto fare lo stesso pure la minore Ruby? Ma c’è di più. Melania non solo non parla di sesso, ma non dice una parola nemmeno di Ruby. La sua versione, ribadita a verbale, anche se meno «colorita» di quella carpita in un’intercettazione con un’amica, viene confermata dalla ragazza ieri pure in un’intervista a Repubblica.

Che però nel titolo le fa dire, tra virgolette, «Mai avrei potuto immaginare di vedere orge a casa del premier». (Orge è parola pronunciata solo dal giornalista). Semplificazioni mediatiche o forzature mirate? Di certo anche nel titolo di un altro articolo del quotidiano diretto da Ezio Mauro c’è un virgolettato attribuito a Ruby: «Ho fatto sesso con lui, sapeva che ero minorenne». Una frase che la giovane marocchina semplicemente non ha mai pronunciato. A dirla, de relato, è un’altra ragazza, che parla a verbale di una confidenza che sostiene di aver avuto dalla «Rubacuori». Quest’ultima, invece, ha ufficialmente smentito di aver avuto rapporti sessuali con Berlusconi, di aver chiesto 5 milioni, e nelle telefonate intercettate in cui si vanta con il suo ex perché il Cavaliere l’avrebbe coperta d’oro in cambio del suo silenzio, non esplicita d’aver fatto sesso col premier. Così come nessuno dei tantissimi testimoni «verbalizzati» dagli avvocati del premier nelle indagini difensive, parla di scene hard. Poi c’è un’altra cosetta da chiarire.

Si parla di centinaia di telefonate del premier a Ruby. Ma di queste chiacchiere non c’è traccia nelle intercettazioni, non c’è un passaggio negli atti. Si sa che sono 66 contatti: c’è anche l’audio o ci si rifà ai meri tabulati? Due le risposte: o la ragazza mente a proposito di quelle pressioni o la procura la pistola fumante magari ce l’ha già, non video (disperatamente cercata nelle perquisizioni come espressamente indicato nei decreti) ma audio, e chissà perché la tiene ancora nel cassetto. Retropensieri a parte anche sullo spiegamento di forze degno di una retata antimafia, ciò che è emerso sin qui basta a sputtanare Berlusconi ma non a spedirlo nella sezione reati sessuali di una galera. E anche sulla competenza territoriale della procura milanese qualcosina da dire c’è. Se il reato «portante» è la concussione (e allora c’è da chiarire come mai nessuno dei «concussi» s’è sentito intimidito), in relazione alla telefonata con cui Berlusconi ha chiesto al capo di gabinetto del questore di affidare Ruby a Nicole Minetti, il reato non è meneghino. Perché il dottor Ostuni non era nel capoluogo al momento della telefonata, ma a Sesto San Giovanni, il che radicherebbe il fascicolo d’indagine a Monza.

E a dirla proprio tutta, l’inchiesta-voyeuse avrebbe dovuto essere già decollata da Milano alla volta della Capitale, destinazione Tribunale dei ministri, per competenza funzionale. Ma i pm milanesi invece di trasmettere gli atti entro i 15 giorni previsti se li sono tenuti stretti e hanno sollecitato addirittura il processo immediato. Superfluo chiedersi perché.

Gian Marco ChiocciMassimo Malpica

“Caso Ruby”: ecco tutte le verità che gli altri non vi raccontanoultima modifica: 2011-01-20T12:17:13+01:00da
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