La Casa Bianca vuole puntare sulle nuove tecnologie per rilanciare l’economia. La cena del presidente americano con Mr Facebook. Steve Jobs seduto al suo fianco
Barack Obama e il fondatoer di Facebook, Mark Zuckerberg (Reuters) |
NEW YORK — «Finalmente si sono visti: l’uomo più importante del mondo ha incontrato il presidente degli Stati Uniti» annuncia compunto il conduttore satirico della rete PBS George Lopez in versione mezzobusto, mentre sullo sfondo compare l’immagine di Barack Obama che conversa col fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg. La missione tecnologica nella West Coast era stata concepita dalla Casa Bianca per illustrare al Paese le iniziative del governo nel campo dell’innovazione e per spingere le imprese più avanzate a investire anche senza gli incentivi diretti di un’Amministrazione federale ormai gravata da troppi debiti. Ma, inevitabilmente, più che la visita ai laboratori di ricerca e alle fabbriche Intel di Hillsboro, in Oregon, ad attirare l’attenzione del pubblico è stata la «cena dei titani» che si è svolta a Woodside, boscoso sobborgo di San Francisco, a casa del leggendario banchiere e «venture capitalist» John Doerr, partner e uomo-guida della Kleiner Perkins Caufield.
Una cena intima, in dodici attorno a un tavolo col presidente a discutere per più di due ore. Una conversazione rilassata senza giornalisti in giro (quelli del pool che segue sempre il presidente sono stati relegati nel garage di casa Doerr). Poche le indiscrezioni, ma un paio di foto diffuse dalla Casa Bianca dicono più delle parole. Steve Jobs, dato per morente per una recrudescenza del cancro al pancreas dal National Enquirer, ha partecipato alla cena e Obama l’ha fatto sedere alla sua sinistra. Il fotografo della Casa Bianca l’ha ripreso di spalle, scheletrico nel suo solito girocollo nero. Un’altra immagine ritrae la chiacchierata confidenziale tra il presidente e un inamidato Zuckerberg. Dicevano che il giovane imprenditore era irritato dopo che Michelle Obama aveva dichiarato che i ragazzini «non hanno bisogno» di Facebook, aggiungendo che le sue figlie Sasha e Malia non sono sul «social network» . Alcuni sostenevano che si sarebbe presentato alla cena nella sua celebre divisa: maglietta e pantofole di plastica. Ma alla fine Mark si è sacrificato come Sergio Marchionne che, invitato a Montecitorio, ha indossato giacca e cravatta al posto del consueto maglioncino.
Oltre a Jobs e Zuckerberg, a tavola con Obama si sono seduti l’amministratore delegato di Google, Eric Schmidt, il presidente della Stanford University, Hennessy, e i capi di Yahoo (Carol Bartz), Cisco (John Chambers), Oracle (Larry Ellison), Twitter (Dick Costolo), Genentech (Art Levinson). I leader delle industrie tecnologiche della Silicon Valley, nella visione di Obama sono gli uomini che possono guidare la riscossa produttiva dell’America. Proprio a tavola con loro il presidente ha riparlato del suo obiettivo di arrivare entro cinque anni al raddoppio delle esportazioni Usa. Il governo di Washington è indebitato e non ha molto da mettere sul tavolo come incentivi, ma Obama ha spiegato che il settore pubblico darà una mano con la sua politica delle reti, a cominciare dalla diffusione del Wi-fi e della banda larga. Cercherà, poi, di riqualificare l’istruzione scolastica, migliorando soprattutto l’insegnamento delle materie scientifiche, dalla matematica alla fisica. Il presidente forse ha accennato anche a possibili agevolazioni fiscali per le imprese dell’hi-tech. Argomento scivoloso, visto che in passato i tycoon digitali, pur presentandosi come una «forza del bene», hanno talvolta usato bonus e stock option in modo più spregiudicato dei banchieri di Wall Street. Ieri, nella tappa in Oregon, Obama ha poi «reso omaggio» all’Intel, il gigante mondiale dei microchip e ha «reclutato» il suo amministratore delegato, Paul Otellini, che entra nel Consiglio per la Competitività e il Lavoro, l’organismo della Casa Bianca guidato dal capo di General Electric, Jeffrey Immelt. Chissà cosa pensa Andy Grove, il predecessore di Otellini che ha trasformato Intel in un gigante mondiale e da tempo sostiene che il suo «miracolo» non potrebbe più essere ripetuto oggi, con una Cina «scatenata», dirigista e che non rispetta le regole del libero commercio. Ma sulla ricetta di Grove, condita di elementi di protezionismo, è calato il silenzio. Alla Casa Bianca come nella Silicon Valley.
Massimo Gaggi