Hillary Clinton: «Gheddafi cerca via d’uscita». Intesa sulla guida della coalizione: «Per l’Alleanza un ruolo chiave nella struttura di comando»
Alla fine la quadra è stata trovata. Tra Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, dopo i contrasti e lo scambio di vedute dei giorni scorsi, è stato trovato l’accordo su un «ruolo chiave » per la Nato «nella struttura di comando dell’operazione in Libia». Il presidente americano Barack Obama ha chiamato il presidente francese Nicolas Sarkozy e il premier britannico David Cameron con i quali ha «discusso dei sostanziali progressi realizzati per fermare l’avanzata delle forze di Gheddafi e stabilire una no-fly zone sulla Libia», ha riferito il consigliere per la sicurezza nazionale Ben Rhodes, sottolineando che i tre capi di Stato o di governo hanno anche concordato sul fatto che «la Nato dovrebbe svolgere un ruolo chiave nella struttura di comando». Poi Obama svela che le operazioni aeree americane sulla Libia sono state «ridotte in modo significativo».
CLINTON – Nella tarda serata di martedì in un’intervista esclusiva alla Abc il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, ha detto che Muammar Gheddafi e i suoi fedeli stanno cercando in queste ore «una via d’uscita» dalla situazione in cui si trovano aggiungendo che – secondo rapporti non confermati ricevuti dal Dipartimento di Stato – almeno uno dei figli di Gheddafi sarebbe stato ucciso.
LE POSIZIONI IN CAMPO – Intanto il ruolo di governo della coalizione anti-Gheddafi, mentre siamo giunti al quarto giorno dell’operazione Odissey Dawn, è stato comunque ancora motivo di scontro tra i Paesi che partecipano alla «coalizione dei volenterosi». Se dall’Italia per bocca del ministro degli Esteri Franco Frattini, ma anche del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, era arrivato ancora una volta, come già avvenuto lunedì, la richiesta di affidare alla Nato il coordinamento della coalizione, Parigi aveva continuato a tentennare.
LA CABINA DI REGIA– La Francia, che fin dall’inizio si è distinta per il suo attivismo sul terreno e assieme a Gran Bretagna e Usa ha guidato finora la coalizione in Libia, aveva rilanciato per bocca del suo ministro degli Esteri Alain Juppé, su un «organismo di controllo politico», una sorta di cabina di regia dell’operazione militare, a livello di ministri degli Esteri. «Dovremmo riunirci nei prossimi giorni a Bruxelles, a Londra o a Parigi», ha detto Juppé, secondo cui si dovrebbe «ripetere regolarmente questo tipo di riunione per rimarcare che il controllo politico esiste», e che «il mondo arabo avrà tutto il suo spazio». Juppé comunque ha aggiunto: «Questa non è un’operazione Nato, anche se deve potersi appoggiare sui mezzi militari di pianificazione e di intervento dell’Alleanza». Parole che sembrano un tentativo di avvicinamento da parte di Parigi, ma che ora andranno chiarite e precisate per capire in che modo si possa combinare un comando operativo Nato con una visibile ‘cabina di regia’ politica esterna all’Alleanza, i cui contorni e partecipanti sono ancora da definire.
ATTRITI – Ad irritare gli alleati dei transalpini, in particolare Londra e Washington, sarebbe stato il primo attacco aereo lanciato da Parigi sabato scorso contro il regime libico, senza averne informato gli altri componenti della coalizione. Una circostanza che avrebbe provocato grandi tensioni anche durante l’ultima riunione del consiglio atlantico a Bruxelles. Secondo il quotidiano britannico Financial Times, gli ambasciatori francese e tedesco avrebbero abbandonato i lavori del consiglio dopo che il Segretario generale Anders Fogh Rasmussen aveva criticato Parigi, per la sua contrarierà a un comando Nato dell’operazione, e Berlino, per la sua scarsa partecipazione.
EMBARGO ARMI – Intanto la Nato, in una nuova riunione in corso a Bruxelles, ha deciso che farà rispettare l’embargo sulle armi alla Libia previsto dalla risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Un accordo in tal senso sarebbe stato raggiunto in sede di rappresentanti permanenti nel Consiglio Atlantico.
«ROVESCIARE GHEDDAFI» – La situazione in Libia resta critica. Per Ibrahim Dabashi, numero due della missione dell’Onu e tra i primi a defezionare già all’inizio della rivolta, la prima cosa da fare in Libia è «delegittimare il regime di Gheddafi e ottenere il riconoscimento del consiglio di transizione nazionale quale unico rappresentante del popolo libico». Dabashi ha confermato l’esistenza di un «coordinamento tra la coalizione e la gente a Bengasi, specialmente tra i comandi militari», ma anche a New York dove «siamo in contatto con i paesi coinvolti nel bombardamento». Dabashi, ora passato dall’altra parte, ha comunque fatto parte dell’establishment e il Raìs lo conosce bene: «Gheddafi vive come un topo che costruisce tane sotterranee. E sempre, anche quando sta a casa sua, la sua priorità è di avere a disposizione vie di fuga verso l’esterno da dove fuggire quando è in pericolo. Ma alla fine non potrà scappare, finirà nelle nostre mani o verrà ucciso».
«MA DECIDANO I LIBICI» –Una replica indiretta a Dabashi arriva da Amr Moussa, segretario generale della Lega Araba: «Resto dell’idea che sia giusto impedire che vengano uccisi i civili e che a decidere la permanenza al potere di Muammar Gheddafi debba essere il popolo libico e non altri – ha detto al quotidiano arabo Al Hayat -. Il nostro non è stato un passo indietro, vogliamo proteggere i civili libici e lasciare loro la libertà di scelta, ma al contempo non vogliamo che vengano attaccati. Per questo vogliamo la no-fly-zone e l’applicazione delle risoluzioni dell’Onu». L’Unione Africana, invece, chiede l’immediato cessate il fuoco sulla Libia, in accordo con quanto stabilito dalla Risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Lo ribadisce Jean Ping, leader dell’Unione, ricordando «l’opposizione dei capi di Stato africani a un intervento esterno e il loro parere favorevole a una road map chiara per la Libia». A Cartagine ha incontrato il presidente ad interim della Tunisia Foued Mebazaa annunciando il vertice del 25 marzo ad Addis Abeba, in cui sarà formalizzata la road map per la soluzione pacifica della crisi libica. Ping ha detto che «l’unica situazione possibile per l’uso della forza è quando tutte le altre soluzioni sono state tentate e senza risultato».
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