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Parte un super-Giro, altro che il Tour

Ciclismo. Al via la corsa che celebra i 150 anni dell’Unità. Il favorito è Contador, l’Italia punta su Nibali

Partire è un po’ morire, ma non al Giro d’Italia. Qui partire è vivere. O almeno respirare a pieni polmoni una boccata di vita vera. Sì, di quell’Italia che la televisione dei salotti ha praticamente abolito, relegandola al massimo nelle rubriche di nicchia, verdi e turistiche, la domenica mattina prima della santa messa. Ormai è rimasto soltanto questo appuntamento di maggio, antico di un secolo, a perlustrare negli angoli più remoti la realtà più robusta e più solida del Paese, di quell’altra Italia che per fortuna c’è e sopravvive dignitosa e fiera, l’Italia dei borghi e delle contrade, dei campanili e dei dialetti, delle eccellenze e dei distretti industriali, delle Alpi e delle isole, dei luoghi magici sopravvissuti alle devastazioni e purtroppo anche di quelli che ne sono usciti tragicamente umiliati.

Su questa festa da sempre rosa, ma intimamente ed essenzialmente tricolore, aleggia per i 150 anni di Unità l’aroma inconfondibile e popolare della salsicciata. Torino, prima capitale d’Italia e prima tappa del Giro d’Italia, mette insieme fisicamente gli alfieri popolari della bicicletta e gli storici pennuti del sentimento nazionale, gli amatissimi alpini riuniti nell’adunata annuale. Sfilano mescolati gli uni agli altri, tra le vie del centro storico, scambiandosi battute, autografi e fotoclick. Per loro, le parole patriottiche e bipartisan di La Russa e Chiamparino, sportivamente alpini.

Tutto bello e commovente, peccato che anche questa gioia abbia una fine e da quest’oggi cominci il lavoro serio. Per gli alpini, che devono pur sempre vuotare le forniture di bianco e di rosso stipate nei camper, ma soprattutto per i ciclisti, chiamati a 3500 chilometri di vero tormento. Dice Contador: «È la corsa più dura che abbia mai visto. Una corsa da infarto». Parla il numero uno degli specialisti, plurivittorioso in tutti i grandi giri. Va creduto. Del resto, non bisogna essere Contador per capire che Zoncolan e Gardeccia, Etna e Colle delle Finestre, assieme a tutta una serie di alture e pendenze da emicrania, alla fine triteranno gli uomini del gruppo. Dice bene Nibali, la nostra bandiera: «Non servirà inventare chissà cosa. Servirà tanta regolarità». Detto tra noi, la sua dote migliore. Il Terrunciello siculo-toscano, siculo di nascita e toscano di educazione, è bravo su tutti i terreni, senza esagerare in nessuno. Un po’ – però un po’ meglio – come Menchov, altro nome di grido, già vincitore nel 2009. O come Scarponi, che però paga tantissimo a cronometro, pure troppo.

Ricapitolando il bel gioco delle previsioni, al di là e al di sopra delle frasi ufficiali di circostanza: la vera curiosità e capire se e come qualcuno batterà l’imbattibile. Da qui, dalla partenza, è difficile ipotizzare un evento simile. Contador è un fulmine a cronometro e un fulmine in salita. Negli ultimi anni ha vinto tutto quello che gli è capitato di correre. L’idea che possa perdere proprio stavolta è fantascientifica. Da qui il fascino indiscreto dell’edizione 2011: scoprire se e come, eventualmente, la realtà supera la fantascienza. Senza mai dimenticare il simpatico dettaglio che incombe sull’intera storia: Contador è comunque in libertà vigilata, perché alla fine del Giro sarà giudicato dal Tas (la cassazione del ciclismo) per il verdetto definitivo sul doping al Tour dell’anno scorso (clenbuterolo, secondo lui contenuto in una bistecca, tesi entusiasticamente accolta dalla giustizia della sua Spagna, che difatti l’ha assolto in primo grado).

Questo significa in soldoni che persino il secondo posto potrebbe rivelarsi utilissimo, nel caso a Contador fosse sottratta la vittoria per squalifica. Però diciamolo, direbbe La Russa: correre per il secondo posto, sperando il primo venga depennato, sa di piccineria. Nibali, Menchov, Scarponi (in puro ordine di qualità) faranno bene a batterlo sulla strada, inseguendo il sogno romantico della missione impossibile, un po’ come si presentava quella dei Mille un secolo e mezzo fa. Tutto un altro sapore e un altro spessore.

Nessuna fretta, però: da qui a Milano, in tre settimane di viaggio, c’è tutto il tempo per macinare chilometri e consumare storie. Si comincia con l’esercizio contro natura della cronometro a squadre, vero paradosso per lo sport più individualista, ma oggettivamente spettacolare ed emozionante. Qui sognano Nibali subito rosa in un tripudio di penne nere. La sua squadra farà di tutto per confezionare la festa nazionale. Però attenzione: con un Contador a piede libero, sarà molto dura. È un sogno garibaldino.

Parte un super-Giro, altro che il Tourultima modifica: 2011-05-07T16:49:56+02:00da
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