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Biagio Agnes, la scomparsa del «boiardo di Stato»

Al timone della Rai per sei anni e mezzo. Aveva fatto del rapporto organico con la politica l’essenza stessa del potere. Ma senza tessera in tasca

«Li voterò fino alla morte. Ma la tessera, quella non l’ho mai presa», confessò nel 1988 all’Europeo. Biagio Agnes non ha potuto mantenere la promessa: la sua Democrazia cristiana si è spenta molti anni prima di lui. Era un boiardo di Stato a tutto tondo: di quelli che avevano fatto del rapporto organico con la politica l’essenza stessa del loro potere. Però senza tessera in tasca e soprattutto senza tradire mai. L’ultima volta che qualcuno aveva fatto il suo nome per un incarico pubblico era stato all’inizio del 2005, quando si doveva decidere il successore di Enzo Cheli all’Autorità per le comunicazioni. Ma a parte l’età (Agnes aveva più di 76 anni), il tempo dei vecchi boiardi era tramontato e incalzava la stagione dei grandi burocrati pubblici, i Consiglieri di Stato. E la spuntò Corrado Calabrò.

Agnes era nato il 25 luglio del 1928 in un centro della Provincia di Avellino: Serino, una quarantina di chilometri da Nusco, ovvero il paese d’orgine di Ciriaco De Mita, ex segretario democristiano, ex presidente del Consiglio, suo amico e faro politico per lunghi anni. Giornalista della Rai per trent’anni, nel 1982, pochi giorni dopo aver compiuto 54 anni, si era ritrovato direttore generale della tivù di Stato. Al timone della corazzata di viale Mazzini rimase per sei anni e mezzo, secondo soltanto, per longevità in quell’incarico, a Ettore Bernabei. Furono anni indimenticabili. Durante i quali Agnes condusse la guerra alle reti private di Silvio Berlusconi, inseguite passo passo a colpi di miliardi sul terreno impervio degli ascolti commerciali. Anni che lasciarono sulle spalle della Rai un indebitamento da capogiro e un’eredità ancora oggi difficile da digerire.

Caduto De Mita, all’inzio del 1990 cadde anche Agnes: in piedi. Il suo partito del quale non aveva mai preso la tessera, la Dc, lo mandò a guidare la Stet. Ma erano gli epigoni della Prima repubblica, le privatizzazioni incalzavano. E alla fine si dovette rassegnare. Uscì di scena alla fine del gennaio del 1997, dopo che il governo di Romano Prodi gli aveva chiesto di mettere a disposizione il mandato. Una decisione che il re dei boiardi, quasi settantenne, commento pubblicamente ringhiando: «Appare improprio, illogico, ingiustificato». Poi si ritirò a godersi una pensione da 43 milioni e mezzo di lire al mese. Tre anni prima, durante il crepuscolo del governo di Carlo Azeglio Ciampi, il Parlamento aveva approvato a velocità supersonica una leggina ad personam che aveva consentito ad Agnes la ricongiunzione dei suoi contributi pensionistici da giornalista al ricchissimo fondo dei telefonici. Naturalmente a spese della compagnia pubblica: 5,6 miliardi di lire. Un boiardo autentico, come non ce ne sono stati più dopo di lui. Riposi in pace.

Sergio Rizzo

Biagio Agnes, la scomparsa del «boiardo di Stato»ultima modifica: 2011-05-30T15:43:18+02:00da
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