Il ministro al lavoro per far passare la manovra triennale
ROMA – Novanta giorni di tempo: tre mesi, un’estate, per convincere le agenzie di rating, i mercati, l’Unione Europea. Il nuovo allarme lanciato da Moody’s, che segue di poche settimane quello di Standard and Poor’s, scandisce, e rafforza, i programmi del ministro dell’Economia. In procinto di partire per Lussemburgo per partecipare all’ennesima riunione dei ministri delle finanze europei dedicata alla Grecia, Giulio Tremonti già pensa alla manovra triennale che presenterà al Consiglio dei ministri del 29 giugno. Con la speranza che, nella situazione attuale, non debba faticare troppo per convincere Silvio Berlusconi e i suoi colleghi ministri a piegarsi alla linea del rigore.
Il «credit watch» con implicazioni negative annunciato due giorni fa da Moody’s concede di fatto al governo, prima di un eventuale declassamento del giudizio sulla sostenibilità del debito, tre mesi per sistemare le cose. Approvare la manovra triennale sui conti pubblici per portare il deficit da oltre il 4% attuale a zero nel 2014, incardinarla in Parlamento in modo che si ottenga il via libera definitivo prima della pausa estiva di Camera e Senato, varare il progetto di una riforma fiscale che dia respiro alla crescita, almeno sul lungo periodo, garantendo al tempo stesso l’equilibrio del bilancio. L’unica strada possibile per smarcarsi dal «rischio Grecia», evitando il contagio.
Le avvisaglie politiche, fino a ieri, non propendevano in senso positivo per la riuscita dell’operazione. Tra i ministri da settimane serpeggia silenziosamente una forte preoccupazione per la nuova tornata di tagli alla spesa che tutti vedono all’orizzonte. Alcuni esponenti del governo, pensando al peggio, hanno già messo le mani avanti. Roberto Maroni, titolare del ministero dell’Interno, ha scritto una lettera al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, chiedendo un miliardo di euro aggiuntivo, rispetto agli stanziamenti attuali del bilancio di cui dispone il Viminale, per garantire il funzionamento della macchina amministrativa e della sicurezza. Il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, è pronto a mettere sul piatto qualche risparmio sui costi preventivati delle nuove operazioni in Libia, assecondando anche le esigenze politiche della Lega, ma nello stesso tempo pretende garanzie, da poter spendere con gli alleati, sul finanziamento di tutte le altre missioni di pace all’estero. Renato Brunetta, ministro della Funzione Pubblica, continua a mostrare il pugno di ferro agli statali, ma assicura che il congelamento dei contratti non proseguirà oltre il 2013.
Al tempo stesso la Cisl, la Uil, la Confindustria, le cooperative, gli artigiani, i commercianti, e soprattutto una buona parte dei parlamentari della maggioranza, premono per la riduzione del carico fiscale. La Lega Nord ha rotto gli indugi e, delusa dalla prudenza dell’esecutivo a cui imputa la sconfitta nelle elezioni amministrative, si è schierata decisamente a fianco dei sindacati «dialoganti» che ora minacciano lo sciopero generale.
I fronti sui quali lavorare per ottenere i risparmi necessari, dopo anni in cui si è raschiato il fondo del barile, per giunta, si sono ridotti al minimo. Sulle pensioni, ad esempio, si ipotizza di equiparare gradualmente nel tempo l’età pensionabile delle donne a quella degli uomini. La Ragioneria Generale dello Stato ha già considerato e soppesato questa ipotesi. Porterebbe un risparmio cospicuo alle casse dello Stato, valutato in circa sei miliardi di euro ma a regime, cioè nel medio-lungo periodo. Oltre la scadenza del 2014, entro la quale bisognerà garantire il «close to balance», ovvero l’azzeramento, o quasi, del deficit pubblico.
Per ridurre il deficit e creare spazio alla riduzione delle tasse, secondo i tecnici del ministero dell’Economia, non restano che i tagli di spesa. L’avvio del federalismo garantisce qualche economia importante, ma non risolutiva. L’avvento dei costi standard sui quali parametrare la spesa sanitaria devoluta alle Regioni promette un risparmio potenziale considerevole, che qualcuno valuta fino a 20 miliardi di euro nel triennio rispetto alla crescita tendenziale della spesa inglobata nelle previsioni attuali.
Potranno essere etichettati come tagli agli sprechi, e quindi «sterilizzati» dal punto di vista politico, ma per far tornare i conti i tagli alla spesa sanitaria non basteranno. Come la nuova sforbiciata sui costi della politica, che avrà un sapore più simbolico che altro. Per portare a casa il risultato e convincere i mercati, ancora una volta, il ministro dell’Economia sarà costretto ad affondare il bisturi nella spesa dei ministeri. E allo stato attuale può contare su un solo alleato, gli allarmi e gli avvertimenti che arrivano ormai con cadenza regolare dalla Banca d’Italia, dalla Bce, la Commissione europea e le agenzie di rating.
Mario Sensini