Il retroscena. Il capo del governo: è una rapina a mano armata. La rassicurazione del premier ai suoi: danno sostenibile
ROMA – «Finirà che pagherò io la prossima campagna elettorale del Pd…». Brucia più di tutto che il creditore che può escutere la fideiussione prestata dalle sue aziende sia la Cir di Carlo De Benedetti, il nemico di una vita, nemico imprenditoriale e politico, un signore che «ha la tessera numero 1 del Pd».
Brucia per il Cavaliere una decisione attesa da giorni, sulla quale non si era fatto illusioni («figuriamoci se i giudici di Milano mi daranno ragione», diceva nelle ultime ore), ma che da ieri è nero su bianco su una sentenza esecutiva.
Berlusconi ieri meditava sulla botta ricevuta in Sardegna, nella sua villa affacciata sul golfo di Marinella, negandosi alla maggior parte delle persone che lo chiamavano. C’era per i figli, che ha provveduto lui stesso a rassicurare, per gli amministratori delle sue aziende, che hanno ragionato con lui sul danno che ne potrebbe derivare per gli investimenti futuri, e per pochissimi altri.
Per il resto il silenzio ufficiale nel quale si è chiuso il presidente del Consiglio rappresentava la cifra di una passaggio comunque drammatico: Berlusconi ha rassicurato tutti, ieri e negli ultimi giorni, sulla sostenibilità del danno economico che il pagamento della condanna comporterebbe per le sue imprese; utili non distribuiti e liquidità pregresse dovrebbero comunque consentire di affrontare l’esborso; ma non c’è dubbio che resterebbe comunque il segno di una botta finanziaria e politica non indifferente.
Il segno di quella che considera una «sentenza farsa», «una rapina a mano armata», secondo alcune delle definizioni che ha usato lui stesso, era ieri ben rappresentato nel fuoco di dichiarazioni che provenivano dal Pdl: esternazioni che paragonavano il giudizio civile di secondo grado ora a un «esproprio proletario» ora a un «ricatto politico» gravido di conseguenze sulla stessa legislatura.
Oggi il Cavaliere dirà la sua ufficialmente, collegandosi in mattinata con la festa della Libertà di Mirabello, e c’è da immaginarsi che non sarà tenero con dei giudici che secondo il suo avvocato Ghedini hanno formulato una sentenza «del tutto illogica».
Di certo il premier considera inaudita la condanna, ancor di più la quantificazione del danno (circa il doppio del valore delle quote che la Fininvest possiede in Mondadori), incredibile poi quel passaggio della sentenza in cui la sua corresponsabilità nella vicenda corruttiva alla base del giudizio viene desunta con una «presunzione» probatoria.
E se c’è da attendersi che il suo intervento di oggi sarà molto duro, c’è anche da aspettarsi che verrà ribadita la voglia di non mollare, anzi quel particolare ragionamento per cui se non ci fossero gli attacchi giudiziari e ora anche patrimoniali una certa voglia di lasciare la scena verrebbe assecondata.
«Nemmeno in Unione Sovietica si poteva ipotizzare una dinamica simile, un trasferimento coatto di denaro, ancorché per via giudiziaria, dal capo del governo al capo ideale dell’opposizione, all’editore del giornale dei magistrati…», riassumevano ieri nel governo, dando una lettura meramente politica della sentenza emessa dai giudici civili.
Il Cavaliere e i legali delle sue aziende faranno di tutto per non pagare, almeno oggi, quanto deciso dai giudici. Sembra scontato che verrà chiesta una sospensione dell’esecutività della sentenza, per gravi danni incombenti sulle imprese berlusconiane. E qualcuno non esclude che una norma «utile» possa ricomparire nei prossimi giorni nella manovra o in altro provvedimento parlamentare, anche se al momento indiscrezioni di questo tipo sembrano in realtà poco fondate.
Marco Galluzzo