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La bimba che viveva in una cuccia

Bari A 7 anni mangiava assieme al suo cagnolino in una ciotola. Non sapeva parlare, solo abbaiare. Per la Procura nessun reato

BARI – Il procuratore capo di Bari, Antonio Laudati, vuol consultare oggi stesso il fascicolo dell’inchiesta e convocherà nel suo ufficio la collega Angela Morea: «Non un atto di disconoscimento del lavoro del pm – si affrettano a specificare in tribunale -. Solo la volontà di avere dei chiarimenti su un caso tanto delicato». Il caso è quella della piccola Lucrezia, che finalmente ha smesso di abbaiare.

Lucrezia è un nome inventato, ma il resto è tutto vero. Rione Carrassi, Bari, la storia risale al 21 ottobre 2009, ma è di qualche giorno fa la notizia che il pm Morea ha chiesto al Gip di archiviare l’inchiesta sulla drammatica vicenda. Motivo: Lucrezia da allora non parla più, ammutolita davanti all’orrore e il magistrato perciò non può farsi raccontare da lei come andarono le cose. Risultato: né prove né indagati né capi d’imputazione. La cronaca di quel giorno però parla chiarissimo: i suoi genitori, papà invalido civile e disoccupato, la mamma con gravi disturbi psichici, denunciano la scomparsa della figlia. polizia e carabinieri cercano ovunque, finché trovano la piccola chiusa in un armadio raggomitolata vicino al suo cagnolino. Intorno escrementi e avanzi di rifiuti in una ciotola. Si scopre presto la verità: Lucrezia e il suo cagnolino mangiano in quel piatto e lei non dice nemmeno una parola. Ma mugola e abbaia. Come un cane. Ma ora c’è un altro sospetto tremendo. La bimba davanti agli assistenti sociali (oggi ha 9 anni, è stata tolta ai genitori e vive in una casa-famiglia) ha cominciato a mimare degli atti sessuali. Come se avesse subìto violenze. Le analisi effettuate hanno escluso lesioni di quel tipo, ma lo psichiatra Paolo Crepet a questo punto è furibondo con la decisione presa dal pm: «Una decisione pilatesca – sbotta -. Purtroppo è una vecchia storia, noi siamo sempre dalla parte degli aguzzini e mai da quella delle vittime e facciamo fatica anche dal punto di vista giuridico a pensare che un bambino abbia più ragione di un adulto».

Un’immagine del film “L’enfant sauvage” (1970) di François Truffaut, ispirato alla storia vera del medico-pedagogista che all’inizio dell’800 cercò di educare un bambino ritrovato nei boschi dell’Aveyron

Crepet non nasconde l’indignazione: «Davanti a una bambina offesa in tutti i modi è raccapricciante che il pm abbia bisogno di parlarle per capire come andarono le cose. Anzi, visto che il pm è una donna, le chiederei: ma se sua figlia fosse ridotta in un stato simile, lei archivierebbe? Io capisco che i genitori di Lucrezia abbiano problemi seri e che non possano essere perseguiti, ma questo non può permettere di archiviare una storia del genere come se non fosse successo niente. Non si può avere una bambina ridotta in uno stato animalesco e concludere che non è colpa di nessuno. Forse questi genitori abitavano sull’Himalaya? Non avevano forse una vicina di casa, un prete, un assistente sociale in quel quartiere? Il colpevole c’è: è la comunità».

Anche Antonio Marziale, presidente dell’Osservatorio sui diritti dei minori e consulente della commissione parlamentare per l’infanzia, grida allo scandalo: «Intervenga Napolitano, intervenga il Parlamento. Il caso non può venire archiviato, anche se per il pm si è trattato di un percorso obbligato». Crepet, in conclusione, rivolge un pensiero affettuoso alla bimba: «Ora comincia il difficile, ma non basterà la casa-famiglia con due signore di buona volontà che l’assistono. Per salvarla, per ridarle voce, servirà ospitarla in un presidio specializzato, che con un lavoro di reset l’accompagni pian pianino sui suoi passi». Buona fortuna, Lucrezia.

Fabrizio Caccia

La bimba che viveva in una cucciaultima modifica: 2011-07-12T00:35:09+02:00da
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