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Rating: Usa declassati per la prima volta nella storia, non sono più tripla A. G7 a consulto, allarme sui bond

STANDARD&POOR’S:«TAGLIO NON È UNA PUNIZIONE». «Un errore dell’agenzia» ribatte il Tesoro Usa. «Gli Stati Uniti paghino tutti i debiti» intima la Cina. La Bce, guidata da Jean-Claude Trichet, valuterà oggi possibili misure di interventoVertice notturno tra i ministri finanziari. Il presidente Sarkozy ha telefonato al premier Cameron

NEW YORK – Gli Stati Uniti perdono per la prima volta nella loro storia il rating di tripla A: a non considerare più i titoli di stato americani fra i più sicuri investimenti al mondo è Standard & Poor’s con una mossa senza precedenti, arrivata dopo ore di braccio di ferro con il Tesoro. Il Dipartimento guidato da Timothy Geithner ha ricevuto la bozza della decisione dell’agenzia di rating venerdì alle 13.30, ore 19.30 italiane. E l’esame, che si protratto per ore con la risposta che è stata inviata alle 16.00 (ore 22.00 italiane), si è tradotto in un’accusa: S&P ha commesso un errore da 2.000 miliardi di dollari. L’agenzia ha ritardato la diffusione del comunicato che poi è stato reso pubblico dopo le 20.00, ore 2.00 italiane.

STABILIZZARE IL DEBITO – Il «downgrade riflette la nostra opinione» sul piano di risanamento che non è adeguato a quanto «sarebbe necessario per stabilizzare nel medio-termine il debito» afferma Standard & Poor’s, sottolineando che «l’efficacia, la stabilità e la prevedibilità della politica americana si è indebolita in un momento» in cui le sfide fiscali ed economiche aumentano. Il tetto del debito – evidenza il presidente del comitato di valutazione di S&P, John Chambers – doveva essere alzato prima per evitare il downgrade. La decisione di Standard & Poor’s potrebbe avere – secondo gli osservatori – un effetto più psicologico che pratico. Moody’s e Fitch hanno mantenuto il rating di tripla A per gli Stati Uniti e il downgrade di una sola agenzia è più gestibile. I titoli del Tesoro sono rimasti stabili negli ultimi giorni e considerati dagli investitori un investimento sicuro anche in seguito alla crisi del debito europea. Ma il taglio del rating delle ripercussioni potrebbe averle aumentando la mancanza di fiducia nel sistema politico e causando il downgrade di aziende e stati, per i quali i costi di finanziamento potrebbero salire. La maggiore preoccupazione è verificare se la decisione avrà un impatto sull’appetito degli investitori esteri per il debito americano. Nel 1945 i creditori esteri detenevano solo l’1% del debito americano, ora ne controllano il 46%.

UN ERRORE DA 2.000 MILIARDI DI DOLLARI- Dopo la decisione di S&P, l’amministrazione Obama ha attaccato gli analisti dell’agenzia, sostenendo di aver trovato un errore da 2mila miliardi di dollari nei calcoli (secondo fonti a Washington, i funzionari del Tesoro hanno scoperto che l’agenzia di rating valuta le spese discrezionali del governo di 2mila miliardi di dollari superiori alla realtà). Rabbia, dunque, mista a sgomento all’interno dell’amministrazione Obama che adesso si trova con il triste primato di essere il primo governo nella storia statunitense che ha visto un abbassamento del giudizio di rating sul debito del Paese (una decisione che può minare ancor più la fiducia degli investitori). «Una sentenza viziata da un errore da 2mila miliardi di dollari parla da sè», ha tagliato corto un portavoce del Tesoro. Anche questo botta-e-risposta segna una prima volta nei rapporti con S&P: non è era mai dato che l’amministrazione criticasse apertamente la sua capacità di comprensione del sistema politico statunitense. Il Tesoro Usa ha discusso per tutto il pomeriggio di venerdì con gli uomini di S&P, tentando di convincerli che le prospettive del debito sovrano siano migliori di quanto appaiano a prima vista, ma non sono riusciti nell’intento.

«NON È UNA PUNIZIONE» – La decisione dell’agenzia Standard&Poor’s di tagliare il rating statunitense «non è una sanzione, tanto meno una punizione». È quanto ha affermato sabato Jean-Michel Six, il capo economista per l’Europa dell’agenzia Standard&Poor’s. «Non si tratta di una sanzione, tanto meno di una punizione. Non siamo dei maestri di scuola. Facciamo delle diagnosi che permettono di confrontare la qualità del credito, in altre parole il livello di rischio dei vari strumenti presenti sul mercato», ha detto Six a France Info. Standard&Poor’s ha adottato venerdì la storica decisione di tagliare il rating agli Stati Uniti, per cui la prima economia del mondo ha perso la tripla A, che corrisponde al massimo giudizio di affidabilità, per «AA+», con outlook negativo.

LA REAZIONE DELLA CINA- Pechino, a poche ore dal taglio deciso da S&P’s, condanna la «miope» disputa politica avutasi negli Usa sul debito. «La Cina, il più grande creditore dell’unica superpotenza mondiale, ha tutto il diritto – si legge in un durissimo commento diffuso dall’agenzia Nuova Cina – di chiedere oggi agli Stati Uniti la soluzione dei problemi di debito strutturali e garantire la sicurezza degli asset cinesi denominati in dollari».

INDIA – Anche l’altra potenza emergente, l’India, dice la sua sul downgrade Usa: « Non penso che l’India subirà conseguenze dal downgrade, al di là di temporanee fluttuazioni di mercato» ha dichiarato C.Rangarajan, consigliere economico del primo Ministro di Nuova Delhi e ha aggiunto: «Gli Usa devono di dimostrare di avere un piano credibile di consolidamento del bilancio e chiaramente le ultime manovre non sono abbastanza».

I REPUBBLICANI – «La mia speranza è che questa sveglia convinca i democratici a Washington che non possono continuare a trafficare ai margini del nostro problema con il debito sul lungo termine». Lo ha detto lo speaker della Camera Usa, il repubblicano ,John Boehner in una dichiarazione, dopo che l’agenzia Standard & Poor’s ha declassato il rating degli Stati Uniti dalla tripla A ad Aa+, per la prima volta nella storia del Paese. «Come S&P ha notato – ha aggiunto Boehner – riformare e preservare i programmi è la chiave per la sostenibilità fiscale di lungo periodo».

BRUXELLES – Già questa notte, il verdetto: prima le Borse asiatiche, per via dei fusi orari, e domattina quelle europee, diranno se i mercati credono ancora negli Stati Uniti; o se bocciano loro, come in parte già fatto dall’agenzia Standard & Poor’s, e con loro le altre economie dell’Occidente. Nell’attesa, scottano le linee telefoniche fra governi e banche, i leader cercano l’uno dall’altro delle risposte che forse pochi hanno. Mai, forse, nelle cancellerie un fine settimana d’agosto è stato così convulso. Si è messo in moto il meccanismo del G7, che in un certo senso assicura un ponte decisionale fra Unione Europea, America, e Asia, perché raccoglie in un solo organismo gli Stati Uniti, la Germania, il Giappone, la Francia, il Canada, l’Italia e la Gran Bretagna: un vertice in teleconferenza fra i suoi ministri finanziari e i governatori delle banche era dato per molto probabile già ieri a tarda notte, ma potrebbe anche slittare alla giornata di oggi. Era preannunciata una teleconferenza per mezzanotte di ieri di alti funzionari dei ministeri economici e di alcuni ministri (anche Giulio Tremonti secondo l’agenzia Ansa). Non solo: circolano ancora voci su una possibile anticipazione dell’incontro fra i capi di Stato e di governo dello stesso G7, già fissato per settembre a Marsiglia. L’organismo – come del resto il G20 – è presieduto attualmente dalla Francia, che finora si è mostrata molto attiva, e ben consapevole dell’emergenza: proprio ieri, il suo presidente Nicolas Sarkozy si è consultato telefonicamente con il primo ministro britannico David Cameron, e i due hanno concordato «sull’importanza dell’operare insieme, di sorvegliare da vicino la situazione e di restare in comunicazione nei prossimi giorni».

 

Operatori al lavoro nella sala operativa di una banca milanese (Ansa)

I ministri finanziari sono comunque «in contatto permanente» fra loro, dicono i portavoce. E così i loro vice del G20. Da qui a domattina bisogna però trovare una linea, un messaggio lineare. Una delle ipotesi è quella di una pressione concordata del G7 sulla Banca centrale europea, perché abbandoni i residui dubbi e acquisti sui mercati i titoli di Stato più a rischio, cioè quelli italiani e spagnoli (secondo il ministro Umberto Bossi, questo è già stato deciso per i titoli italiani). La Bce, a sua volta, riunisce oggi – di domenica, un fatto non usuale – il suo consiglio direttivo: con la Germania, l’Olanda, e altre nazioni, sempre contrarie alla proposta di potenziare il Fondo salva-Stati (dotazione: 440 miliardi) che deve intervenire a sostegno delle economie più deboli; lo considerano un aiuto ingiusto fornito alle cicale dell’Eurozona a spese delle formiche (contribuenti) più laboriose. Ma anche su questo, non c’è più molto tempo per discutere. Domattina, i mercati diranno qualcosa anche sulla galoppata degli spread, i differenziali di rendimento fra i titoli decennali italiani e tedeschi. È un responso particolarmente atteso dopo le misure annunciate venerdì da Roma. Un «sì condizionato» è già arrivato dal commissario Ue agli Affari economici e monetari, Olli Rehn, che ha parlato di «coraggiose decisioni», di una «giusta strategia», aggiungendo subito dopo: «Chiedo alle autorità di trasformare rapidamente queste decisioni in misure concrete».

Luigi Offeddu

Redazione Online

Rating: Usa declassati per la prima volta nella storia, non sono più tripla A. G7 a consulto, allarme sui bondultima modifica: 2011-08-07T09:52:00+02:00da
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