Sul campo anche truppe speciali francesi e britanniche, ma Londra nega. Il Rais si troverebbe a Tripoli: «È in una buca». Scontri davanti agli hotel Rixos e Corinthia. LA PROCURA DI ROMA APRE UN’INCHIESTA. Rapinati e picchiati. Il racconto dei cronisti: «L’autista pregava per la sua vita, ucciso davanti ai nostri occhi».
L’immagine di Gheddafi calpestata. Il Rais non si trova (Photomasi) |
TRIPOLI – Si continua a sparare in Libia: giovedì violenti scontri a Sirte, mentre nella capitale, dopo una mattinata calma, si sono uditi violenti scontri a fuoco davanti agli hotel Rixos e Corinthia, dove ci sono i giornalisti stranieri. «Ci sono pesanti sparatorie proprio davanti ai gradini di ingresso dell’hotel Corinthia, battaglia per strada e fuoco cecchini. L’albergo è sotto attacco», ha comunicato un giornalista della France Presse. Gli scontri a fuoco davanti all’hotel sono durati circa 45 minuti. Prosegue intanto la caccia a Muammar Gheddafi e ai suoi figli. I ribelli hanno fatto sapere di essere vicinissimi al Raìs. Gli insorti sostengono di aver circondato un complesso residenziale nella parte centro-sud di Tripoli, non lontano dall’ex roccaforte di Bab al-Aziziyah, all’interno del quale presumono sia nascosto il leader libico Muammar Gheddafi con i suoi figli, scortati da un gruppo di militari a loro fedeli. La struttura si trova non lontano dal compound. «Loro sono assieme, in una piccola buca», ha detto Muhammad Gomaa, uno degli insorti coinvolti negli scontri. «Sono tutti insieme là dentro – ha detto – la faremo finita. Oggi finiremo il lavoro». A dare manforte arriva anche la Nato: l’alleanza militare sta fornendo assistenza per l’intelligence e la ricognizione, secondo quanto riferisce Liam Fox, ministro della Difesa britannico. Intanto la stampa francese e britannica parla di presenza di forze speciali sul territorio libico. A Milano, Silvio Berlusconi incontra Muhamad Jibril, presidente del Consiglio nazionale transitorio libico, il quale ha confermato che il Consiglio nazionale transitorio ha spostato il proprio quartiere generale da Bengasi a Tripoli. Per gestire subito l’emergenza, la Libia otterrà dall’Italia 350 milioni di euro da fondi di stato libici «scongelati» dalle banche italiane.
GLI SCONTRI – Proseguono i combattimenti in tutta la Libia. La Bbc parla di violenti combattimenti a un centinaio di chilometri da Sirte, la città natale di Gheddafi: dopo il lancio di alcuni razzi dalla zona degli scontri tra lealisti del colonnello e ribelli si vedono levarsi colonne di fumo. Nella capitale, invece, dopo una mattinata relativamente calma, è scoppiato un violento scontro a fuoco nei pressi dell’hotel Rixos di Tripoli, da dove ieri sono stati liberati 35 giornalisti stranieri. «Posso sentire scontri a fuoco», ha detto il corrispondente di Sky news. L’albergo si trova a meno di un chilometro di distanza dalla residenza-bunker del Rais, conquistata martedì scorso dai ribelli, ma dove si è continuato a combattere fino a mercoledì. Secondo fonti dei ribelli, le forze pro-Gheddafi sono ormai concentrate nei quartieri di Abu Salim e Hatba Charkia. La maggior parte delle truppe, dotate di armi pesanti, si trovano nel primo quartiere, mentre nel secondo si nascondono i cecchini. Proseguono anche le attività in volo della Nato. A riferirlo è sempre il ministro della Difesa di Londra: «La Nato – ha detto Fox – ha intensificato la propria attività la notte scorsa, anche con alcuni jet veloci britannici, perché ci sono delle aree in cui le forze del regime resistono e hanno ancora scorte di armi». Liam Fox, però, non si sbilancia riguardo alle tempistiche: «La Nato potrebbe aver bisogno di tempo: è probabile che ci saranno dei giorni difficili prima che la popolazione libica venga liberata completamente da Gheddafi».
DOV’È IL RAIS? – Non è la prima volta che i ribelli si trovano vicini all’ex Rais. Muammar Gheddafi sarebbe sfuggito mercoledì per un pelo alla cattura: lo sostiene il sito Internet della rivista francese Paris Match, citando «informazioni confidenziali» dei propri inviati, ottenute da «cellule» di servizi segreti arabi. «Verso le 10 del mattino – scrive Paris Match – i servizi hanno ottenuto un’informazione da una fonte fidata, che ha consentito di localizzare un nascondiglio: una casa della massima discrezione, senza ostentazioni né confort, situata nel cuore di Tripoli. Gheddafi vi ha trascorso almeno una notte». «Il fuggiasco – continua il resoconto – era però già scomparso quando un commando speciale libico ha fatto irruzione nella casa. Sono state trovate prove del passaggio dell’ex dittatore libico». Scovare Gheddafi e i suoi figli sembra essere in queste ore la principale preoccupazione dei ribelli: «Continuiamo a frugare dappertutto per trovarli. Secondo alcune voci, Saif al-Islam si nasconde ad Abu Salim mentre Gheddafi sarebbe nella sua fattoria vicino all’aeroporto», ha spiegato Mustafa, un giovane ribelle di 23 anni, capo di un gruppo di combattenti. «Nessuno sarà in pace finchè non li avremo cacciati dal paese», ha aggiunto.
TRUPPE SPECIALI – Il ministro della Difesa britannico Liam Fox non ha voluto commentare un articolo del giornale Daily Telegraph secondo cui forze speciali britanniche sarebbero in territorio libico per aiutare i ribelli a catturare il Rais. Fox ha detto che le operazioni Nato continueranno fino all’eliminazione delle sacche di resistenza e questo processo potrebbe richiedere ancora del tempo. Anche la France Press parla di presenza di francesi e britannici in abiti civili al fianco da settimane dei ribelli libici sul fronte orientale del Paese. Lo ha constatato un giornalista della agenzia di stampa francese. Gli stranieri sarebbero accampati in una raffineria a Zuwaytinah, centro di comando dei ribelli per il fronte orientale, situato a circa 150 chilometri a sud-ovest di Bengasi.
EMERGENZA SANITARIA – Cresce l’emergenza sanitaria in Libia. All’ospedale di Tripoli mancano materiale chirurgico, farmaci anestetici e presidi diagnostici, mentre in molti casi i morti continuano a restare sulle strade aumentando il rischio di epidemie. Torna a fare il punto della situazione il presidente di Amsi (Associazione medici stranieri in Italia) e Co-mai (Comunità del mondo arabo in Italia). Fonti mediche della capitale libica riferiscono che ieri solo «presso l’ospedale centrale di Tripoli sono stati eseguiti 15 interventi chirurgici per ferite d’arma da fuoco, traumi e fratture». Nelle strutture sanitarie si moltiplicano le persone bisognose di cure e operazioni, «ma manca materiale chirurgico e materiale radiologico per poter eseguire radiografie e completare le diagnosi». Non solo: «Ci sono ancora numerose vittime per le strade, e se i cadaveri non vengono rimossi e sepolti al più presto si rischia l’inizio di epidemie».
APPELLO AL SUDAFRICA – Fox ha esortato il Sudafrica a dare il suo via libera alla proposta dell’Onu di sbloccare gli asset libici, per un valore di 1,5 miliardi di dollari, necessari per l’assistenza umanitaria e per sostenere il Cnt. Il Sudafrica ha bloccato la proposta dell’Onu per diverse settimane, contrario a sostenere il governo dei ribelli: «Il Sudafrica ha paura di prendere una posizione. È chiara la posizione dei libici e penso che il governo sudafricano dovrebbe tenerne conto», ha detto Fox alla radio Bbc. Gli Stati Uniti hanno chiesto mercoledì al Consiglio di Sicurezza dell’Onu di rendere disponibili gli asset libici il prima possibile. La risoluzione non è stata votata ma i diplomatici hanno fatto sapere che il Consiglio di sicurezza potrebbe prendere una decisione tra giovedì e venerdì.
L’UNESCO – Si fa sentire anche l’Unesco, che ha lanciato un appello alla Libia perché protegga dai saccheggi «il suo patrimonio culturale dal valore inestimabile» e ha invitato il mercato internazionale dell’arte e degli oggetti antichi a «diffidare degli oggetti provenienti dalla Libia, vista la situazione attuale» perché potrebbero essere rubati. In una nota diffusa giovedì il direttore generale dell’agenzia Onu, Irina Bokova, ha riferito di aver contattato le autorità libiche a questo proposito. In Libia si trovano cinque siti considerati patrimonio dell’umanità: le rovine delle tre città romane di Cirene, Leptis Magna e Sabratha, la città antica di Ghadamès e le pitture rupestri di Tadrart Acacus.
ROMA – Sono stati liberati i quattro giornalisti italiani sequestrati mercoledì mattina in Libia. Sarebbero stati portati prima in un garage con una piccola finestrella e poi in una casa privata a Tripoli e da qui rilasciati e accompagnati nella zona in mano ai ribelli. Nei momenti del sequestro i giornalisti sono stati malmenati e rapinati di tutto: passaporti, computer, denaro e telefoni satellitari. Il loro autista è stato assassinato davanti ai loro occhi. Giuseppe Sarcina, inviato del Corriere della Sera, ha evidenti ferite al volto. Mercoledì mattina prima di mezzogiorno l’altra inviata del Corriere, Elisabetta Rosaspina, è riuscita a chiamare il direttore Ferruccio de Bortoli dando la notizia della loro liberazione e ha subito rassicurato che stanno tutti bene: «Sono stati momenti difficili e concitati, ma stiamo bene». La giornalista ha ricordato l’autista: «Noi siamo liberi, è finita bene, ma ci porteremo per sempre dentro la ferita per la morte del nostro autista».
IL RACCONTO DI QUIRICO e MONICI – Subito dopo la liberazione i giornalisti si sono messi in contatto con le rispettive redazioni e sono stati intervistati da colleghi inviati in Libia. «Sono vivo, vegeto e libero» sono queste le prime parole di Domenico Quirico, che si è messo in contatto con la redazione de La Stampa da Tripoli. «Adesso sto bene, fino a un’ora fa pensavo di essere morto. Siamo stati liberati da due ragazzi, sono stati fantastici». Tutti hanno espresso cordoglio per la barbara uccisione dell’autista e hanno espresso il desiderio di andare a trovare la sua famiglia. Claudio Monici, inviato di Avvenire, ha raccontato a TgSky24 le fasi del sequestro: «Stavamo cercando di raggiungere l’hotel internazionale e siamo finiti in una strada molto silenziosa e abbiamo sentito dei colpi. Siamo tornati subito indietro e ci siamo dovuti fermare. C’era l’esercito libico, l’autista non poteva fare retromarcia e ci siamo dovuti fermare. Ci hanno spinto fuori dalla macchina. Ci hanno chiesto chi eravamo, cosa volevamo. Siete italiani, ci bombardate, ci hanno detto. Qualcuno è stato preso a calci e pugni. Il nostro autista ha cercato di chiudere la portiera del pick up ma era impossibile. Hanno preso l’autista e lo hanno fatto uscire. Ha capito che era la fine per lui e lo hanno picchiato e ucciso davanti ai nostri occhi. Erano arrabbiati, con gli occhi iniettati di sangue. Ci hanno rinchiusi in un garage e ci hanno rubato tutto. Poi siamo stati rinfocillati con acqua e biscotti. Penso alla famiglia del nostro autista, ci aveva chiesto di salutare suo padre e sua madre. Era un amico. Non un amico da tanti anni. Un uomo buono. Parlava un misto di italiano e inglese. Lavoravamo spalla a spalla. L’ho visto pregare per la sua vita». L’inviato di Avvenire, in contatto con il suo giornale ha aggiunto: «Abbiamo rischiato di essere linciati. È un miracolo se siamo vivi. Una persona ha capito la situazione e ci ha strappati dalle mani degli assalitori. Sono stati tra i momenti peggiori della mia vita, molto più faticosi di altre volte in cui mi sono trovato in situazioni difficili», ha detto ancora il giornalista. I reporter sono ora al sicuro nell’hotel Corinthia.
IL RACCONTO DI SARCINA – Giuseppe Sarcina, anche lui intervistato da TgSky24 e dal Corriere.it ha ricostruito le 22 ore di sequestro: «Ci hanno preso vicino a piazza Verde, in una strada deserta, terra di nessuno. Il collega Monici ha subito capito che era una zona pericolosa ma non abbiamo fatto in tempo a tornare indietro. Dopo una curva abbiamo trovato i miliziani di Gheddafi che ci sono saltati addosso, ci hanno malmenati e ci hanno tolto tutto. A bordo del nostro pick up c’era un kalashnikov e questo è stato fatale per il nostro autista. Lo hanno ucciso a bruciapelo e lasciato sul marciapiede. Ci hanno caricati su un furgone e portati in un garage del quartiere . Non riuscivamo a capire chi avevamo di fronte, c’erano due correnti. Qualcuno si affacciava minaccioso, altri ci portavano acqua e cibo. A volte intervenivano dei civili per controllare i più scatenati. Alla fine due ragazzi ci hanno fatto uscire e dobbiamo tutto a loro, ci hanno promesso che ci avrebbero aiutati. E’ prevalsa la loro linea. Ci hanno portato a casa loro dove abbiamo potuto lavarci e mangiare qualcosa e in mattinata ci hanno accompagnati oltre la linea. Sono due splendide persone, di un’umanità disarmante. Credo che posso trarre una lezione da questa esperienza. Entrambe le parti sono persone buone. La guerra è orribile perché persone buone e amiche poi diventano nemiche. I rapitori non erano soldati regolari, ma neanche civili, erano miliziani» .
L’INCHIESTA – La procura di Roma ha aperto un’inchiesta sul rapimento dei quattro giornalisti italiani. Sequestro di persona con finalità di terrorismo e rapina: sono i reati ipotizzati dal procuratore aggiunto Pietro Saviotti che ha aperto un fascicolo d’indagine. Il procuratore Saviotti ha affidato ai carabinieri del Ros e alla Digos il compito di svolgere accertamenti. Nel fascicolo c’è già un primo rapporto degli investigatori insieme con le notizie di stampa. In giornata una ulteriore documentazione potrebbe essere inviata al magistrato dalla Farnesina.
NAPOLITANO – Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, appresa la notizia del ritorno in libertà dei giornalisti italiani sequestrati in Libia, ha espresso viva soddisfazione e ha ringraziato il ministero degli Affari esteri, e in particolare l’unità di crisi, e quanti si sono prodigati per la positiva conclusione della vicenda. Il capo dello Stato ha manifestato, in generale, il suo vivo apprezzamento per il contributo che gli inviati in Libia degli organi di informazione italiani hanno dato e stanno dando con i loro servizi in condizioni anche di estrema pericolosità.
Cristina Marrone & Redazione online