Studio dell’Anci: giudizio positivo sull’Ici. Per il Nord Est «imposte doverose». In un decennio di moneta unica cosa è cambiato nelle tasche degli italiani?
ROMA – Tagliare le tasse: un’autentica ossessione, per Silvio Berlusconi. Si è sfibrato, a forza di promesse, ma non c’è mai riuscito. E pensare che l’aveva quasi scoperto, il segreto per garantirsi, tasse o non tasse, il consenso popolare a vita. È successo a marzo del 2008, poco prima delle elezioni politiche, quando ventilò, lui che ha in mano il gruppo televisivo concorrente, l’ipotesi di abolire il canone della Rai. Cioè l’imposta più odiata dagli italiani.
Lo dice adesso un sondaggio appena sfornato dall’Ifel, il centro studio dell’Anci, l’associazione dei Comuni, in collaborazione con la Swg. Il 45,5% delle 8 mila persone che hanno risposto alle domande degli intervistatori considera il canone pagato alla tivù pubblica l’imposta assolutamente meno digeribile. Tre volte più insopportabile perfino del bollo auto, saldamente al secondo posto, con il 14,2%, fra le imposte meno popolari: e anche qui il Cavaliere l’aveva azzeccata, quando aveva promesso durante l’ultima campagna elettorale di abolire la tassa patrimoniale sui veicoli. Peccato soltanto che anche quella promessa non sia mai stata realizzata.
Dove invece, stando sempre al sondaggio Ifel-Swg, Berlusconi avrebbe toppato, è sull’abolizione dell’Ici. Soltanto il 6,4% ritiene l’imposta comunale sugli immobili la tassa peggiore del nostro sistema fiscale: una quota ancora inferiore rispetto a chi assegna la maglia nera all’Iva (9,1%) e all’Irpef (7,5%).
Ma i giudizi sull’Ici non sono l’unica sorpresa del sondaggio. La più clamorosa è certamente quella riguardante la considerazione complessiva dei tributi, che ribalta completamente il luogo comune secondo il quale gli italiani nutrirebbero un’avversione naturale per il Fisco. Se per l’ex ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa le tasse erano «bellissime», addirittura il 65% dei partecipanti al sondaggio ritiene che siano un dovere civico (31,6%) o uno «strumento di equità che garantisce servizi a tutti i cittadini» (33,4%). E il bello è che le percentuali più alte si registrano proprio nel Nord Est, ritenuto probabilmente a torto il cuore pulsante della rivolta fiscale. Complessivamente il 68,8%, con il record nazionale assoluto di chi ritiene le imposte un «dovere civico» (36,4%) e il valore fra i più bassi di quanti invece le giudicano «uno strumento vessatorio in mano allo Stato»: 29,3%, percentuale di oltre otto punti inferiore a quella riscontrata in Sicilia e Sardegna (37,7%).
Ciò non toglie che per l’80,3% degli intervistati il nostro sistema fiscale favorisce l’evasione. Un cancro che per il 66,7% degli italiani è da estirpare, risposta che presenta punte del 70,3% al Centro e del 69,6% al Nord Ovest. Commenta il segretario generale dell’Anci Angelo Rughetti: «Significa che ne hanno conoscenza in qualche modo diretta. Se si consentisse a ciascuno di scaricare le fatture, innescando il conflitto d’interessi, credo che il recupero delle somme evase avrebbe una velocità molto maggiore rispetto a quella di misure anche apparentemente più drastiche come quelle contenute nella manovra».
E veniamo al capitolo degli sprechi. Alla domanda «qual è l’istituzione che spende meglio i vostri soldi?» il 26,8% ha risposto «il Comune». È il valore più elevato in assoluto, anche se in diminuzione di 3,8 punti rispetto a un analogo sondaggio del 2008. «La Regione» non è andata oltre il 14,6%, contro il 12,7% di consensi dell’Unione Europea, il 6,7% della Provincia e appena il 5,5% dello Stato centrale.
Conferma, per Rughetti, che «nella generale frattura fra società civile e istituzioni l’unico rapporto che si mantiene saldo è con i Comuni. La prova è che la maggioranza degli intervistati, a precisa domanda, dichiara che preferisce pagare le tasse al suo municipio». La percentuale maggiore, tuttavia, è quella di chi ha manifestato assoluta sfiducia nei confronti di tutti, dallo Stato al Comune: per il 29,8% degli interpellati nessuno spende bene i soldi pubblici. Tre anni fa non si andava oltre il 22,5%.
Sarà per questo che nemmeno il rapporto fra gli italiani e il federalismo è così avvincente come credono invece i politici? Fatto sta che fra le riforme considerate «prioritarie» per il futuro quella federalista è soltanto al quinto posto, con il 14,5%. Nettamente indietro rispetto alla riforma del mercato del lavoro (43,9%), a quella del sistema fiscale (42,7%) e della politica (35,7%). E se è vero che nelle risposte a tale quesito ci sono notevoli differenze territoriali (al Sud il federalismo è considerato decisivo per appena l’8,1% delle persone), è pur vero che nemmeno nel Nord Est la quota di chi considera la riforma federalista «prioritaria» supera il 22,3%, metà rispetto a chi giudica fondamentale intervenire sul Fisco (43,1%). E comunque, anche in questo caso, la stragrande maggioranza degli intervistati (il 77,8%) è convinta che con il decentramento sarebbe necessario attribuire più poteri ai Comuni rispetto alle Regioni (65,3%) e alle Province (38,9%).
Sarà vero, come afferma Rughetti, che «i cittadini pensano che il federalismo non serve e non è mai stato attuato, e anzi risorse ingenti sono passate dalla periferia al centro»? Certo è che da quando è cominciato il balletto sono stati trasferiti dagli enti locali alle amministrazioni centrali ben 5 miliardi di risorse l’anno. Alla faccia della propaganda «federalista».
Sergio Rizzo
All’ombra dlla crisi
La moneta unica, fra poco più di tre mesi, compirà i suoi primi dieci anni. Un compleanno sofferto, soprattutto a causa delle turbolenze finanziarie che hanno recentemente colpito paesi come l’Irlanda. il Portogallo, la Spagna, la Grecia e che, dal mese di luglio, hanno toccato in maniera preoccupante anche l’Italia.
Crisi a parte, molte parole sono state spese sul reale impatto che l’introduzione della moneta unica ha avuto dal 2002 a oggi sulle tasche dei consumatori italiani.
Cereali: fra inflazione e speculazione
Emblematico, da questo punto di vista, il comportamento dei prodotti derivati dai cereali, pane in testa. Il loro indice, mantenutosi al di sotto dell’aumento generale del costo della vita fino al 2007, è in realtà salito nei dieci anni di euro del 33% (dieci punti in più dell’inflazione) proprio a causa dell’esplodere della bolla dei cereali. Una volta rientrata l’emergenza, tuttavia, il prezzo del pane non è ridisceso, come ci sarebbe potuto aspettare. Una tipica dinamica speculativa insomma, che è ricaduta sulle tasche dei cittadini, andando invece a gonfiare le borse dei produttori e, soprattutto, degli intermediatori finanziari.
Il ballo dei prezzi
Nonostante la crisi del 2007-2008 abbia fatto schizzare il prezzo dei cereali, l’aumento dei prezzi degli altri prodotti alimentari è stato invece sostanzialmente in linea con l’inflazione (+25,3% a fronte di un indice generale del 23%).
Non possiamo dunque parlare di un salasso per i consumatori. Tuttavia, a guardar bene, dietro questa crescita media si sono nascosti picchi che hanno fortemente penalizzato i consumatori, a cominciare proprio da quei beni di prima necessità, come l’acqua, la luce, il canone Rai e i trasporti che hanno registrato aumenti generalizzati – e molto spesso non giustificati – per le tasche dei cittadini.
La foto di compleanno per i dieci anni di euro mostra oggi gli italiani impoveriti rispetto al 2001-2002. Questo in soldoni il bilancio di Altroconsumo sulle tasche delle famiglie italiane, attraverso un’analisi di prezzi e tariffe nel decennio appena trascorso, consultabile su www.altroconsumo.it.
A fronte di un aumento medio dei prezzi al consumo del 21% c’è stata un’evoluzione più lenta nella crescita dei redditi pro capite (+14%) e una conseguente riduzione del potere d’acquisto: -7%. I comportamenti di spesa sono stati influenzati dal cammino lento e costante dell’inflazione, dagli aumenti di prezzo di cereali e derivati, con la dinamica speculativa che ne è seguita, dai picchi dei rincari in settori nevralgici per il bilancio familiare: trasporto marittimo(+147%) e aereo (+61%); treni (+46%); utenze acqua (+52%) e gas (+34%); bevande alcoliche e tabacchi (+53%). I premi rcauto sono cresciuti a dismisura in città come Napoli (+122%), Palermo (+77%); note dolenti per i motociclisti a Roma, con un +136% sull’rcmoto.
Ci sono state anche riduzioni di prezzo, non a caso in quei settori dove si deciso di aprire alla concorrenza scegliendo forme distributive alternative. E’ il caso dei prodotti farmaceutici, con un -28% rispetto ai prezzi del 2001. Un’ulteriore riprova di come sia virtuoso per il mercato e per i consumatori azzerare le barriere alla concorrenza. Dove ci sono resistenze, come nel settore trasporto taxi, i prezzi si sono impennati: +34%.
In discesa anche i prezzi di prodotti tecnologici come macchine fotografiche (-41%), computer (-64%), telefonini (-73%).
La spia sulle difficoltà oggi delle famiglie italiane nel ritrovare lo stesso potere d’acquisto di dieci anni prima è data dalle bollette, le cui tariffe sono cresciute a dismisura. La tassa sui rifiuti è aumentata del 33%, l’acqua del 52%. Nel comparto energetico, i balzi del prezzo del petrolio e le inefficienze del settore, anche nella distribuzione, si sono fatti sentire. Criticità che nel settore dell’energia elettrica sono state controbilanciate dalla maggiore concorrenza nel mercato introdotta nel 2007, con un’evoluzione del +24%, più contenuta che in altri campi.
Sul fronte alimentare dinamiche diverse città per città: il caffè è cresciuto più che in altri capoluoghi a Roma (+35,5%) e a Napoli (+31%). Pizza bollente a Bari (+45%) e a Milano (+44).
In conclusione, dieci anni di euro dove il passaggio alla nuova valuta non ha portato di per sé incrementi diretti. Su rincari di prezzi e tariffe hanno inciso più gli ostacoli alla concorrenza, l’inefficienza industriale e i freni alla distribuzione più moderna o all’offerta anche attraverso la Rete. Un esempio per tutti, il settore delle telecomunicazioni. Grazie anche al forte balzo in avanti dei consumi, il segno negativo -27,9% parla chiaro: chi scommette nello sviluppo del prodotto e nell’offerta di prezzi e tariffe con sconti notevoli per guadagnare utenza vince sul mercato, e anche il consumatore può giocare un ruolo attivo nella scelta e nel confronto, risparmiando sul proprio bilancio.
RC-AUTO
Confronto tra premi minimi (i premi in lire sono stati convertiti in euro)-Impiegato 50 enne, conducente insieme alla moglie e al figlio neopatentato-di un’auto di media cilindrata (17 CV) a benzina-CU 14 – massimale 2,5 milioni di euro (5 miliardi di lire)
Città | Premio minimo – ottobre 2000 | Premio minimo – giugno 2011 | Variazione % |
---|---|---|---|
Milano | 735 | 922 | 25,35% |
Roma | 1087 | 1429 | 31,52% |
Napoli | 1286 | 2860 | 122,33% |
Palermo | 888 | 1571 | 76,92% |
INDICE NIC del periodo ottobre 2000 – maggio 2011 (fonte: ISTAT): 25,70%
RC-MOTO
Confronto tra premi minimi (i premi in lire sono stati convertiti in euro-CU 14 -Uomo di 30 anni, conducente unico di un motociclo di cilindrata 250 cc.- massimale 2,5 milioni di euro (5 miliardi di lire)
Città | Premio minimo – ottobre 2001 | Premio minimo – giugno 2011 | Variazione % |
---|---|---|---|
Milano | 261 | 453 | 73,41% |
Roma | 300 | 709 | 136,53% |
Napoli | 414 | 1354 | 227,36% |
Palermo | 240 | 827 | 245,22% |
INDICE NIC del periodo ottobre 2001 – maggio 2011 (fonte: ISTAT): 22,55%
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