La decisione della società comunale presa nel pieno dell’emergenza immondizia. Aumenti ai responsabili del decoro: cinquemila euro in più. Il sindaco de Magistris: azzero tutto
Gli abitanti dei quartieri spagnoli spargono i rifiuti per strada. È il 18 giugno 2011 (Salvatore Laporta) |
NAPOLI – Alla fine del gennaio 2011 i rifiuti erano tornati ad assediare il centro della città. Sui giornali apparivano le malinconiche foto di Rosa Russo Iervolino che per dovere imprecava contro i tagli della Finanziaria agli enti locali e per necessità cominciava intanto a svuotare i cassetti del suo ufficio al primo piano di Palazzo San Giacomo. A Napoli si spegnevano le ultime luci del bassolinismo, si respirava un’aria mesta e date le circostanze anche abbastanza puzzolente.
In questa atmosfera da fine corsa, il cda di NapoliServizi, azienda interamente di proprietà del Comune, addetta al mantenimento del decoro urbano, celebrava le sue gesta con aumenti da 1,7 milioni di euro a 13 dirigenti, dal direttore generale Ferdinando Balzamo e via discendendo. Non gratifiche una tantum, attenzione, ma ritocchi del superminimo, la base della retribuzione, una media di cinquemila euro mensili cadauno destinata pertanto a rimanere invariata nei secoli dei secoli.
A una prima e anche a una seconda lettura, la notizia, pubblicata da Luigi Roano su Il Mattino , potrebbe entrare a vele spiegate nella rubrica del vecchio settimanale satirico Cuore, quella che si intitolava «Hanno la faccia come il c…», e non occorre grande fantasia per riempire i puntini di sospensione. Balzamo non accetta questa interpretazione, e fa sapere che NapoliServizi «non si è mai occupata di emergenza rifiuti, e accostarla a tale problema è solo un modo per parlare più alla pancia che alla testa della pubblica opinione». Il direttore generale conferma però l’entità delle cifre «per lo più corrette», limitandosi a sottolineare come esse siano lorde, «e in tempi di manovra finanziaria la cosa è di particolare attualità perché il netto in busta paga oscilla tra il 45 ed il 50 per cento».
«Basta cricche e cricchette, tutti a casa, e da subito». All’uscita di Palazzo San Giacomo, Luigi de Magistris indossa una faccia molto indignata. Sicuramente a lui gli aumenti della NapoliServizi lo hanno colpito alla pancia. Non capita tutti i giorni di vedere convocata una riunione d’urgenza al pomeriggio di domenica. «Il consiglio di amministrazione deve considerarsi azzerato» dice. Il taglio con un passato che non lo riguarda vuole essere netto. Alle sue spalle Tommaso Sodano, vicesindaco e assessore all’Ambiente con una miriade di deleghe incorporate, annuisce, con espressione costernata. Toccherà a lui, gestire la pratica, e non sarà una faccenda indolore, perché NapoliServizi è considerata un feudo del Pd, degli ormai ex bassoliniani.
Il destino dell’azienda diretta da Balzamo è l’inglobamento con Asìa, la società incaricata della raccolta della spazzatura. «Sostenere che nulla c’entra con il ciclo dei rifiuti equivale a nascondersi dietro a una foglia di fico» dice Sodano in quella che sembra una replica diretta al direttore generale. «La fusione va fatta, e subito». La nuova giunta voleva evitare uno spoil system draconiano, nel nome dei rapporti con il vicinato politico che appaiono sempre più deteriorati. «Ma davanti a fatti come questo ti cascano le braccia». La domenica di lavoro, sostiene il sindaco, avrebbe fatto emergere «anomalie e stranezze» assortite. Tra queste ce ne potrebbe essere una destinata a rivaleggiare con gli aumenti di stipendio. Nel 2011 il Comune ha stanziato 62 milioni di euro per NapoliServizi, ma nelle voci di spesa controllate finora figura un «extra budget» da 3,5 milioni destinata alla «guardiania armata» di siti non meglio identificati. Il regolamento impone che ogni variazione di bilancio debba essere vistata dal consiglio comunale, ma di quella spesa aggiuntiva non c’è alcuna traccia.
NapoliServizi è una società pubblica nata per occuparsi della pulizia del patrimonio cittadino che fin dalla nascita non piaceva praticamente a nessuno. Ma nel tempo si è gonfiata di assunzioni, nuove competenze e debiti. Nel 2001, quando diventa operativa, ha 400 dipendenti, tutti ex lavoratori socialmente utili con contratto a tempo determinato. L’anno seguente ne arrivano altri 44, poi la crescita diventa quasi esponenziale, 470 assunzioni nel 2003, nel 2007 altre 500. Nel 2008, l’anno della grande crisi dei rifiuti, il Comune annuncia solenne l’intenzione di dismetterla. Poi ci ripensa e stanzia 50 milioni da mettere a bilancio per ripianarne i debiti. Nessuno si fa domande sulla causa dell’indebitamento di una società così giovane, e per giustificare l’esborso vengono aggiunte nuove competenze come le pratiche di condono, gestione del catasto urbano e dei terreni, la gestione di eventi sportivi e la vigilanza armata nei parchi, attività che richiede altri esborsi e assunzioni, perché molti dipendenti della società hanno qualche precedente penale, come ammettono i sindacati interni, e per legge non possono certo girare con la pistola alla cintura.
C’è un paradosso evidente tra i continui nuovi incarichi conferiti alla società e gli appelli «alla progressiva riduzione dei costi di gestione» sempre caduti nel vuoto. Anche perché il titolare di entrambe le decisioni è la stessa persona, Riccardo Realfonzo, dal 2009 assessore al Bilancio e unico superstite dell’era iervoliniana nella nuova giunta. La spiegazione, forse, sta nelle parole dello storico Paolo Macry, commentatore del Corriere del Mezzogiorno . «Si tratta di un paradigma di malgoverno amministrativo: i contribuenti pagano, la giunta mette in piedi carrozzoni elettorali, i carrozzoni producono servizi indecorosi. E nessuno sembra avere responsabilità alcuna».
Anche per questo, la vicenda degli aumenti di stipendi non sembra di facile soluzione. «Zac» dice de Magistris impugnando una invisibile sciabola. Ma basta guardare la faccia di Sodano per capire che non sarà una passeggiata. Ci vuole coraggio, per aumentarsi i compensi in tempi di crisi e di un decoro urbano non facile da rinvenire in città. Ma nella Napoli delle aziende pubbliche usate come bacino di assunzioni e conseguenti voti, ci vuole coraggio anche a mettere in pratica quello «zac».
Marco Imarisio