L’Osservatorio. Pd al 27-28%, Pdl al 26. Terzo polo decisivo. Il 44% auspica elezioni anticipate, fra loro anche centrodestra. Dietro le quinte Sospetti sul ministro: uscita sorprendente. Irritazione Il Cavaliere: vive come un tradimento le critiche durissime del mondo imprenditoriale
Ormai, la maggioranza relativa degli italiani auspica che si vada subito alle elezioni anticipate. Secondo gli ultimi studi, questa soluzione è auspicata dal 44% dei cittadini, compresa una quota, seppure contenuta, di elettori del centrodestra. Ma quale potrebbe essere l’esito di queste consultazioni se, per ipotesi, si votasse domenica prossima? Quasi tutti gli istituti di ricerca hanno divulgato di recente dati sulle intenzioni di voto. Questi ultimi non sembrano mutati granché nelle ultime settimane, salvo variazioni minime, spesso irrilevanti (uno spostamento dello 0,5% tra un sondaggio e l’altro può essere puramente casuale).
Tra gli altri, appare mantenere bene il proprio consenso il Pd, con un seguito pari al 27-28%: un dato ancora inferiore a quello ottenuto alle ultime Politiche (33%), ma che supera quello delle Europee che si svolsero un anno dopo (26%). Sull’altro fronte, il Pdl continua a subire un lieve ma costante calo di voti virtuali e si attesta oggi poco sopra il 26%: circa 10 punti meno del risultato delle Politiche e delle Europee, segno della crisi che, specie in queste settimane, attraversa il partito del Cavaliere. La Lega è una delle poche forze che rimane stabile rispetto al passato: il suo consenso è infatti da molto tempo collocabile tra il 9 e il 10% (grossomodo il risultato delle Europee), senza che la crescente disaffezione verso il governo rilevabile anche nell’elettorato di centrodestra (e, specialmente, in quello della Lega) abbia minato significativamente il suo seguito elettorale.
Nell’insieme, il complesso delle forze di centrosinistra sopravanza di gran lunga (all’incirca di 10 punti, anche senza considerare Grillo) quello dei partiti di governo. Solo se questi ultimi riuscissero a realizzare una alleanza con le forze di centro (che superano il 10%), potrebbero competere con il centrosinistra e, forse, anche in questo caso, soccomberebbero. Se poi, viceversa, Udc, Fli e Api si coalizzassero, anche solo in parte, con tutti o alcuni dei partiti di centrosinistra, la supremazia di questi ultimi verrebbe ancora più rafforzata. Ancora una volta, dunque, la posizione delle forze di centro – e le possibili alleanze – risultano determinanti per il risultato.
Ma si tratta di un quadro puramente teorico. Per almeno due motivi. Anzitutto, la percentuale di indecisi rimane assai elevata, e le esperienze degli ultimi anni hanno mostrato come la campagna elettorale sia cruciale nel formare le opinioni di molti e, talvolta, anche a cambiare la decisione di quanti oggi dichiarano di avere già maturato una scelta. Infine, specie nel momento in cui c’è una crescente sfiducia verso il governo, ma anche verso l’opposizione e la politica in generale, l’eventuale discesa in campo di qualche leader capace di «accendere» l’elettorato può far mutare l’opinione a una quota significativa di cittadini.
Il secondo motivo per cui i dati attuali rappresentano un’ipotesi puramente teorica è che è ancora incerto il sistema elettorale che sarà in vigore. Come si sa, il «Porcellum» è sgradito a molti e, non a caso, il referendum volto a cancellarlo ha raccolto un numero ampio di firme. D’altra parte questa pare essere la volontà di una quota crescente di popolazione. Anche nei sondaggi più recenti si incrementa infatti fortemente la percentuale che ritiene una priorità («da fare subito») la riforma elettorale: oggi è la maggioranza assoluta (51% a fronte del 36% di un anno fa).
Malgrado questi limiti, i dati sulle intenzioni di voto mostrano la condizione di grande difficoltà vissuta oggi dal centrodestra. Alfano ha detto di recente che la coalizione di governo potrebbe prevalere anche nella prossima competizione elettorale: alla luce dei sondaggi attuali, la strada da percorrere è ancora molta.
Renato Mannheimer
ROMA – Dopo l’ennesima settimana di fuoco, Silvio Berlusconi si prende una pausa, vola a Milanello, carica i rossoneri in vista del match di stasera con la Juve ed entra in ritiro pure lui per concentrarsi su Banca d’Italia e decreto sviluppo.
Se ne parlerà a inizio settimana, martedì o mercoledì, in un vertice di maggioranza ufficialmente convocato per discutere di «economia», in realtà per mettere a punto la scelta per Palazzo Koch e respingere l’offensiva che arriva – sempre più pressante – dal fronte imprenditoriale.
Il Cavaliere – raccontano – vive come una sorta di ingiusto tradimento le critiche durissime che gli arrivano dagli industriali, e certo non ha gradito il manifesto di Diego Della Valle contro i politici che non pensano al bene del Paese. Ma – dicono i suoi – non sono queste le mine che vede disseminate sul suo cammino: «Anche Napolitano ha preso le distanze dall’antipolitica» e non saranno dunque Della Valle o Montezemolo «a far cadere un governo che gode della fiducia del Parlamento». E che, è la sua fermissima intenzione, deve «andare avanti fino al 2013» per «raggiungere il pareggio di bilancio», varare «una grande riforma fiscale» e dare al Paese «una nuova architettura istituzionale».
Ma se questi sono gli obiettivi massimi, non si perdono di vista quelli minimi e immediati. Il primo dei quali è superare lo snodo del referendum, che potrebbe rappresentare sia l’àncora di salvezza per il governo, sia la mannaia che ne decreta la fine. È infatti giudicata «sorprendente» l’uscita di Bobo Maroni sul referendum (va fatto svolgere e va bene una legge come il Mattarellum). C’è chi, nella stessa cerchia ristretta dei collaboratori del premier, ritiene che «Bobo si sia solo voluto mettere al centro della scena, intercettando un sentimento popolare». E c’è chi invece ritiene che il calcolo del ministro sia più sottile: «Vuole andare al voto anticipato, per spezzare l’asse tra Bossi e Berlusconi e prendersi la Lega».
In ogni caso, le diverse lingue parlate dalla Lega sul referendum, nonché le proposte in ordine sparso che fioccano nella maggioranza su un’ipotesi di nuova legge elettorale, fanno ritenere molto difficile il varo di una riforma che impedisca lo svolgimento della consultazione. Ufficialmente, sia la Lega con Calderoli sia il Pdl con Cicchitto e Quagliariello indicano la strada da seguire: prima si dovrà votare la riforma istituzionale, poi la si completerà con la legge elettorale. Ma i dubbi di Osvaldo Napoli («È verosimile che tutto ciò accada entro maggio, con questo clima?») sono gli stessi che nutre Berlusconi.
Che si starebbe convincendo dell’impossibilità di impedire il voto sul referendum, ma anche della relativa utilità che si potrebbe trarre dal non mettersi di traverso alla consultazione referendaria: se – è il ragionamento che si fa nel suo entourage – si fissa il voto sul referendum a giugno, si lavorerà dopo l’estate ad una nuova legge, e il governo potrà andare avanti senza scossoni.
Sempre che lo «scossone» non arrivi da altri fronti: economia, giustizia, o il tanto temuto «incidente» che porterebbe a questo punto – teme il premier – più a un governo tecnico o istituzionale che al voto. Per questo, bisogna comunque tenere caldo il tema delle riforme e della legge elettorale, mostrarsi attivi e al lavoro. E soprattutto pronti ad adattare la strategia alla situazione contingente, perché «bisogna andare avanti fino al 2013».
Paola Di Caro