Informati Subito

Meredith, Vietti difende il sistema giudiziario. Accoglienza trionfale per Amanda. «La mia amica ridotta così, non guardo»

Il vicepresidente del Csm replica ad Alfano (“In Italia nessuno paga per gli errori giudiziari”) e afferma: “Chi parla così ignora il funzionamento della nostra Giustizia, articolata su tre gradi di giudizio”. Ritorno a casa. La studentessa, assolta per il delitto Kercher, è atterrata a Seattle: «Sono sommersa dalle emozioni». Il documento «Non posso reggere quelle foto, il rispetto è sfuggito». Gli appunti della Knox in aula: non sono il mostro di Perugia

La sentenza di secondo grado nel processo di Perugia per l’omicidio di Meredith Kercher fa discutere. Dopo l’assoluzione degli imputati Amanda Knox e Raffaele Sollecito (ribaltando la condanna a 26 e 25 anni di carcere in primo grado), si è espresso l’ex ministro della Giustizia Angelino Alfano. “La sentenza di assoluzione per i due ragazzi fa pensare che in Italia nessuno paghi per gli errori giudiziari”. Il parlamentare del Pdl ha aggiunto “I tre gradi di giudizio sono fatti proprio per consentire ripensamenti ma se la detenzione di Amanda è stata ingiusta, chi la risarcirà?”

Le dichiarazioni di Alfano hanno suscitato la reazione di Michele Vietti, vicepresidente del Csm: “Parlare di errore di fronte a una sentenza di secondo grado che modifica il verdetto del Tribunale significa ignorare il funzionamento del nostro sistema giudiziario”. Vietti ha aggiunto: “Ci sono tre gradi di giudizio prima e ritengo improprio scatenare un tifo da stadio, tanto più intorno a una sentenza non definitiva, sulla base delle proprie emozioni”

SEATTLE (WASHINGTON) – Applausi, striscioni, lacrime: Amanda Knox è stata accolta trionfalmente al suo arrivo a Seattle. Rotte dall’emozione le prime parole pronunciante in pubblico dalla studentessa, assolta in Italia per il delitto Kercher. «Mi ricordano di parlare in inglese perché ho dei problemi a farlo», ha detto come prima cosa la Knox in una breve conferenza stampa in aeroporto. Un’ora dopo essere scesa dal volo British Airways 49 da Londra, alle 16.30 locali, ha parlato per un paio di minuti di fronte a 150 giornalisti: «Sono sommersa dalle emozioni. Guardavo dall’aereo e sembrava che niente fosse vero». «Per me è importante dire grazie a tutti quelli che mi hanno creduto, che mi hanno difeso e sostenuto la mia famiglia», ha concluso commossa. Dopo di lei ha parlato la madre Edda Mellas: «Non riusciremo mai a ringraziare tutti uno per uno, questo è l’unico modo che abbiamo di dire grazie», seguita dall`ex marito e padre di Amanda, Curt Knox: «Non ce l’avremmo mai fatta senza tutti voi che ci avete sostenuto».

EVENTO – L’arrivo di Amanda è stato un vero evento cittadino, anche in una metropoli come Seattle. Le tv locali hanno dedicato dirette all’atterraggio e alla conferenza, dopo aver coperto in maniera capillare il processo d’appello che l’ha vista assolta, e le tv americane e straniere (compresa la Rai, con l’inviata del Tg2 Manuela Moreno intervistata dal maggiore giornale locale, il Seattle Times) erano presenti in forze. Negozi e luoghi pubblici hanno esposto cartelli con su scritto «Welcome home Amanda!».

«BENVENUTA AMANDA» – «Abbiamo seguito tutti da vicino la sua storia e il suo viaggio», ha detto al Seattle Times Dinah Brein, direttrice dell’Admiral Theater, che esponeva il benvenuto ad Amanda sulla locandina. I passeggeri che erano sul volo da Londra con Amanda e la famiglia hanno raccontato che i Knox erano sul ponte superiore del Boeing 747, in business class. A bordo c’erano diversi giornalisti, che però l’equipaggio ha individuato e tenuto lontano dal ponte superiore bloccando la scaletta interna. L`equipaggio ha poi detto alla stampa che Knox e la famiglia sono stati fatti scendere prima degli altri passeggeri e portati alla dogana separatamente con un camioncino. Quanto al luogo dove si trova ora la figlia, Curt Knox, intercettato dai cronisti di fronte a casa sua nel quartiere di West Seattle, è stato secco: «Vi garantisco, non la troverete».

Una delle pagine di appunti presi da Amanda in aula

PERUGIA – Semplicemente, questa è la versione di Amanda Knox. I suoi appunti. Presi durante le udienze: le ultime, le più importanti. Farlo, forse, l’aiutava a vincere la tensione. E, forse, diventeranno parte di quel libro che certamente scriverà. Chissà. Di certo, per quattro anni, lei in aula non fa altro: ascolta ciò che si dice e annota pensieri, considerazioni, risposte alle accuse. Ora è in America, a casa. «Ma non sono scappata, i cattivi scappano». Ora, soprattutto – come stabilito dalla corte d’appello – è innocente. Almeno fino alla decisione della Cassazione. Ma di certo in queste righe ordinate, con grafia tondeggiante, ci sono concetti mai espressi prima. Tutti insieme, fanno quello scritto in stampatello a metà di un foglio a quadretti: «Non sono il mostro di Perugia».

Amanda Marie Knox scrive anche di sé, nei suoi appunti. Ma soprattutto di ciò che sente in aula. E di ciò che vede, anche. È il 26 settembre quando, sul maxischermo della sala degli Affreschi del tribunale, per la prima volta davanti al pubblico, vengono proiettate le immagini del cadavere di Meredith Kercher: si tratta di fotografie atroci, scrupolosamente raccolte dalla Scientifica dopo l’assassinio. E Amanda non le guarda. Il pubblico ministero Giuliano Mignini lo nota e lo dice in requisitoria, qualche giorno più tardi: «Perché si tratta di particolari, sì, ma coerenti con un certo quadro…». Amanda, anche in quel 26 settembre, prende appunti: «Io non riesco a guardare le foto del cadavere di Mez perché non riesco a sopportare di vederla ridotta così. Non ho mai visto Mez morta se non da queste foto, con i miei legali, che mi hanno sconvolta. Era la mia amica». Qualche riga dopo, probabilmente proprio in riferimento alla proiezione di quelle immagini, aggiunge una nota che sembra un rimprovero: «Sfuggito il rispetto per Mez».

È una storia terribile, questa, e complicata. La corte d’appello, lunedì sera, assolve Amanda e Raffaele Sollecito dall’accusa dell’omicidio di Meredith Kercher per «non aver commesso il fatto». Ma basta ricordare la reazione della piazza alla sentenza, con quel grido «vergogna-vergogna», per essere certi che nell’opinione pubblica i dubbi rimangono. Amanda, nei suoi appunti, fa riferimento a ciò che l’accusa chiama «alibi fallito» e che lei traduce, sbagliando, con «falsa alibi: telefoni spenti-accesi, uso del computer, calunnia/confessione». Ed è proprio su quest’ultimo punto, le sue dichiarazioni in questura la notte del 5 novembre 2007, che torna. Allora disse: «Ricordo confusamente che l’ha uccisa Patrick Lumumba». Mise se stessa sulla scena del crimine. Quelle parole le sono valse la condanna per calunnia. In aula, quasi quattro anni dopo quella notte, scrive: «L’obiettivo dell’interrogatorio era di non lasciarmi una scelta ma di convincermi fino a quando non confermavo i loro sospetti». E ancora, dice di sé: «Ingenua nel credere che una persona innocente non potrebbe mai falsamente confessare o accusare in modo calunnioso». «Ingenua» è il rimprovero che si muove con maggiore frequenza: «Ingenua a credere che gli investigatori sono infallibili». Parla ancora delle accuse che le muovono i pm. Come quella di aver tolto le sue tracce dalla casa, dopo l’omicidio. «Il luminol ha evidenziato tracce di detergenti come se avessimo pulito?». Passa dal corsivo allo stampatello per rivolgere domande agli avvocati. Quasi sempre si tratta di problemi pratici: «Qualcuno verrà a trovarmi mercoledì? Chi potrebbe portarmi questi appunti?». In altre, le domande raccontano fragilità: «Sono stupida perché ho paura?».

Affronta anche il tema forse più delicato, quello più volte sollevato in aula dal legale della famiglia Kercher, Francesco Maresca: la necessità di dare risposte ai genitori di Mez, di non lasciarli così sospesi su quell’unica sentenza definitiva che condanna sì Rudy Guede, ma esclude che sia lui l’autore materiale dell’assassinio. Ecco, per Amanda «il bisogno di giustizia per Mez è parallelo e non in contrasto con la necessità di giustizia per me e Raf». Perché, scrive lei, «non c’è giustizia per Meredith nel perpetuare le ingiustizie per me». Dei contrasti tra sentenze, ovviamente, si occuperanno i giudici. I pm di Perugia faranno ricorso in Cassazione: e solo allora, col terzo grado di giudizio, si capirà la legittimità della decisione dell’Appello. Aspettare, non c’è altra via. Quella raccontata da questi appunti è altro. Semplicemente, la versione di Amanda.

Alessandro Capponi & Redazione online

Meredith, Vietti difende il sistema giudiziario. Accoglienza trionfale per Amanda. «La mia amica ridotta così, non guardo»ultima modifica: 2011-10-05T15:33:32+02:00da
Reposta per primo quest’articolo