In pubblico la Marcegaglia costruisce manifesti programmatici con gli imprenditori e i banchieri, mettendo in fila regole rigidissime, parametri europei, standard di trasparenza e qualità. In privato, invece, per chiudere i conti e i contenziosi di un passato non proprio limpido, il suo gruppo sborsa all’Eni 4 milioni di euro per chiudere un imbarazzante contenzioso…
Accordi pubblici e scritture private. Ci sono i manifesti programmatici che la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia costruisce con gli imprenditori e i banchieri mettendo in fila regole rigidissime, parametri europei, standard di trasparenza e qualità. E c’è il patto riservato di cui il Giornale è venuto in possesso che l’azienda di famiglia, il colosso mantovano dell’acciaio, ha stipulato con l’Eni lontano, il più lontano possibile dai riflettori, il 17 luglio 2007. Un accordo un tantino imbarazzante perché immaginato per chiudere i conti e i contenziosi di un passato non proprio limpido, anzi piuttosto limaccioso: la Marcegaglia spa aveva provato a oliare le tasche giuste per facilitare una commessa da parte di Enipower. E così, per mettere una pietra su quelle mazzette, il gruppo corrisponde a Eni e a Enipower la somma complessiva di 4 milioni di euro, «a soddisfazione – così recita la formuletta tutta in giuridichese – di ogni e qualsiasi danno patrimoniale e non patrimoniale, incluso, senza limitazione, il danno all’immagine».
Si leggono proprio queste edificanti parole nel testo messo a punto dagli avvocati, non da qualche economista, e che oggi il Giornale è in grado di rendere noto. Per evitare di avere i legali del cane a sei zampe alla calcagna, l’impresa dei Marcegaglia preferisce versare il sostanzioso obolo. Un tesoretto che va nelle casse di quello che oggi, dopo la brusca uscita di Fiat, è senz’altro il nome di maggior peso all’interno di Confindustria.
Alle spalle c’è naturalmente una storia di mazzette, scoperchiate da un’indagine della Procura di Milano non ai tempi di Mani pulite, ma dieci anni più tardi, nel 2003. All’epoca Emma e il fratello Antonio sono amministratori delegati dell’azienda: gli investigatori scoprono che la società ha pagato, utilizzando la solita provvista in nero, cifre ingenti per mettere le mani sul ricco piatto del business targato Enipower. In particolare spunta un versamento illegale di 1 milione e 158mila euro arrivato proprio nel 2003 a un manager di Enipower per sbaragliare la concorrenza e portare a casa un appalto di caldaie del valore di 127 milioni. Emma rimane estranea all’inchiesta, il fratello Antonio qualche anno dopo patteggia 11 mesi. La Procura porta a galla un sistema di conti svizzeri, diciassette per la precisione, e Repubblica, non il Giornale, stima in 400 milioni i fondi disponibili nei caveau esteri.
Insomma, siamo alle solite: la Marcegaglia passa oggi le sue giornate fra un convegno con buffet e l’altro, stila manifesti che grondano decaloghi etici e inviti alla sana concorrenza, fa la moralista contro il governo, e non solo quello, lancia ultimatum su ultimatum alle forze politiche, alza un grido di dolore, alla Vittorio Emanuele, contro l’arroganza, la superficialità, la corruzione della nostra casta politica; in casa, però, la ramazza dev’esserle sfuggita di mano. Non vedeva, non sapeva, non sentiva. E sì che l’azienda è saldamente in mano alla famiglia, lei ha sempre ricoperto posizioni, come si dice, apicali, a Gazoldo degli Ippoliti dovrebbe rientrare nei prossimi mesi, finita l’avventura in Confindustria, salvo immaginare uno sconfinamento nel Palazzo. La maestrina spiega quotidianamente come favorire la crescita e la competizione leale fra le imprese. Strano: era intestato a lei, e al padre Steno, il conto cifrato 688342 della Ubs di Lugano. E il fratello Antonio, in un verbale di interrogatorio del 2004, interpreta così i milioni sparpagliati in Svizzera: «Si tratta di risorse riservate che abbiamo sempre utilizzato nell’interesse del gruppo per le sue esigenze non documentabili». Ci mancherebbe, le esigenze documentabili vanno bene per i convegni, i lunch e le riunioni dei giovani imprenditori nella cornice azzurra di Santa Margherita.
Per il resto meglio accordarsi con Eni nella penombra e cautelarsi a colpi di tabelle, allegati, firme di illustri luminari del diritto. Una ricetta liberale che più liberale non si può: «Eni e Enipower dichiarano che, a seguito del pagamento delle somme di cui al punto 1.1», ovvero 4 milioni di euro, «sono state integralmente risarcite».
La signora predica e s’indigna, l’azienda di famiglia fa come tutte le altre. E come tutte le altre cerca di limitare i danni imbarcandosi in una scrittura privata. Col fisco, invece, la strada è quella, classica, del condono: 9,5 milioni di euro versati nel 2002, casualmente qualche mese dopo aver ricevuto la visita del fisco che, c’è da scommetterci, avrebbe sintetizzato il proprio lavoro in una bella «brochure» di contestazione. Anche in quel caso la moralista non ha avuto niente da dire.
Stefano Zurlo