IL CASO. Da Renzi a Tremonti, scomunicare chi dissente è un vizio bipartisan. Dopo la leopolda. Dalla finestra unica per le pensioni, a una sola Camera in Parlamento. «Così ripartirà l’Italia»
Giulio Tremonti e Matteo Renzi hanno ben poco in comune, se non la circostanza di essere diventati negli stessi giorni il bersaglio delle invettive che provengono dai rispettivi partiti. Dopo essere stato indicato come il salvatore dei conti dello Stato, Tremonti è diventato il «cattivo», l’uomo da isolare, il renitente da piegare, preso come simbolo negativo dal neosegretario del partito Alfano e dai ministri che in questi anni hanno vissuto i tagli dei bilanci come un sopruso da vendicare.
Renzi è stato invece paragonato dal leader del Pd Bersani a un intemperante intento a «scalciare», certamente animato dalle peggiori intenzioni e aizzato da un furore generazionale fonte di ogni «sciocchezza». Decisamente è molto difficile praticare il dissenso nel rozzo bipolarismo all’italiana.
Nelle altre democrazie bipolari l’appartenenza a uno stesso partito non è di ostacolo al maturare di conflitti aperti e contrapposizioni culturali come manifestazione di una sana guerra per la leadership.
I laburisti inglesi praticano da sempre una durissima lotta per l’egemonia. L’asprezza del contrasto tra Sarkozy e Chirac è a tutti nota. E i meccanismi delle primarie, nei partiti americani e anche, come si è visto di recente tra i socialisti francesi che hanno scelto il candidato Hollande, assicurano un conflitto politico che conosce anche momenti molto duri e pochissimo diplomatici. La maledizione italiana, invece, conosce la scomunica come arma prediletta per delegittimare chi contesta leadership consacrate e linee da non mettere in discussione. Ovviamente i conflitti non scompaiono, ma prendono la forma della faida interna (principalmente a destra) o dell’eterno discutere tra oligarchie che si sono consolidate all’interno di una nomenclatura gelosissima. Il conflitto aperto, invece, è visto come sabotaggio, tradimento, devianza. I ripetuti attacchi personali a Tremonti, che esorbitano da una divergenza del tutto legittima nell’ambito di un partito e persino di un governo, non dimostrano solo l’ingratitudine per un ministro dell’Economia di cui si magnificavano fino a poco tempo fa il rigore e l’ostinazione nella tenuta dei conti pubblici. Testimoniano anche di una propensione a regolare i conflitti con l’anatema, lo spirito del gruppo che non ammette deviazioni e sfide. Ovviamente è possibile che un ministro possa sentirsi distante dalla politica del governo di cui fa parte. Ma la violenza degli attacchi, anche e soprattutto personali, dice che il reprobo deve essere colpito con zelo e precisione per metterlo nelle condizioni di non nuocere.
La sbrigatività brutale con cui Gianfranco Finivenne estromesso dal partito in una breve e unanime riunione di una sera d’estate già ha dimostrato quanto l’insopportazione del dissenso sia una caratteristica molto accentuata nel Pdl. La liquidazione contro la persona che si sta consumando nei onfronti di Renzi dice che un certo costume tribale, insofferente alle irregolarità e alle indiscipline, sia presente anche in un partito come il Pd, le cui storiche divisioni dentro un gruppo dirigente inamovibile hanno dato l’impressione fallace di un partito capace (sin troppo) di fare i conti con il dissenso. Ora si capisce che c’è dissenso e dissenso. Tollerato quello che scaturisce nel recinto della nomenclatura storica, intollerabile se viene da un «giovane» la cui biografia non vanta il curriculum dei dirigenti nati e cresciuti nei partiti della Prima Repubblica. E così il sindaco di Firenze «scalcia», secondo la terminologia d’attacco adottata da Bersani. Un Bersani coadiuvato peraltro nell’opera di delegittimazione preventiva proprio da Nichi Vendola, che pure si presenta come principale candidato concorrente per la leadership del centrosinistra, ma la cui azione concorrenziale con il segretario del Pd improvvisamente sembra ammorbidirsi e spegnersi quando si tratta di battere il comune nemico politico (e anagrafico). La demolizione come arma preventiva e non la discussione anche feroce per la conquista della leadership: la maledizione italiana è anche racchiusa in questo vizio culturale e politico. Una delle ragioni del fallimento della Seconda Repubblica.
Dall’abolizione di una delle due Camere in Parlamento all’esclusione dei partiti nella gestione della Tv pubblica. Dalla finestra unica per le pensioni (63-67 anni) con sistema contributivo per tutti alla cancellazione dell’Irap. Ecco i 100 punti per cambiare l’Italia della Leopolda. Un documento che riassume le idee arrivate durante la convention del Big Bang.
Gli enti pubblici Si parte con l’abolizione del bicameralismo. «Il Parlamento è oggi tra le istituzioni più denigrate e discreditate» si scrive nel primo punto, per questo «una della due camere va semplicemente abolita». Come anche le Province (nei territori con almeno 500 mila abitanti si può lasciare alle Regioni la facoltà di istituire un organo di secondo grado). Per quanto riguarda le Regioni: stop ai privilegi e dunque abolizione dei vitalizi (anche per i parlamentari). E infine i Comuni: i presidi locali non possono scomparire ma i servizi devono essere gestiti con l’unione di Comuni, con una dimensione minima di 5000 abitanti. Chi non deve essere un ente pubblico sono invece i partiti, che per questo deve essere abolito il loro finanziamento pubblico. Come rimediare? Favorendo un finanziamento privato sia con il 5 per mille che con donazioni. Stop ai contributi alla stampa di partito.
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Le imprese e la crescita Il punto 22 abolisce l’Irap. Come? Attraverso il taglio ai sussidi alle imprese. Per sfuggire alla crisi e ridare fiducia ai mercati sono queste le ricette: privatizzare le imprese pubbliche; privatizzare le municipalizzate; alienazione di parte del patrimonio immobiliare dello Stato; imposta sui grandi patrimoni. Avrà un ruolo fondamentale anche la riforma delle pensioni, che prevede: la parificazione dell’età pensionabile delle donne con quella degli uomini con un’unica finestra di 63-67 anni. I 100 punti dicono poi no a condoni edilizi e fiscali, l’abolizione degli ordini professionali, la previsione di aliquote rosa con un’agevolazione fiscale riservata all’assunzione di donne, e il superamento del precariato con un contratto unico a tutele progressive.
Sanità Tutta la medicina sul territorio deve essere riorganizzata. Il punto numero 40 propone per questo di creare ambulatori polispecialistici sul territorio e un consorzio di medicina generale. L’ospedalizzazione deve essere fatta solo se effettivamente necessaria. Chiusura degli ospedali con meno di 100 posti letto e senza servizio di anestesia e rianimazione. Via libera alle estenalizzazioni dei servizi, ma soltanto se si possono ottenere prezzi più bassi.
Cultura e green economy Uno dei temi cari al sindaco Matteo Renzi è quello della green economy. Dunque, subito incentivi all’uso delle energie rinnovabili, non solo per «l’installazione di impianti ma anche per la ricerca e la creazione di una filiera industriale». Tutte le amministrazioni pubbliche devono poi essere obbligate ad acquistare solo auto a basso consumo. Sul tema della cultura, obbligatoriamente il governo deve investire l’equivalente dell’!% del Pil e tutti i contributi alla cultura devono essere defiscalizzati. Attualmente i musei non hanno autonomia rispetto al ministero dei beni culturali, secondo il documento del Big Bang ogni museo deve poter rappresentare un’unità economica, quindi raccogliere gli introiti dei biglietti e pagare le spese di gestione, riconoscendo una royalty al ministero.
Giovani e unioni civili Il capitolo si intitola «Dare un futuro a tutti». E non a caso i punti fanno riferimento proprio ai giovani. Si prevede il diritto di voto a 16 anni e l’introduzine di un contratto di lavoro per studenti, con un massimo di 32 ore al mese, un minimo salariale e l’assegnazione di crediti formativi. Su modello spagnolo si vogliono anche istituire gli affitti di emancipazione per i giovani che escono di casa e premi ai laureati meritevoli. Il punto 89 pensa di regolamentare anche il riconoscimento delle coppie per farsì che ciascun convinvente possa beneficiare dell’assicurazione sull malattia del compagno e pari diritti al matrimonio in tema di cittadinanza. Infine si prevede un tempo di servizio civile obbligatorio, della durata di 3 o 6 mesi.
Pierluigi Battista & Federica Sanna