I leader mondiali stanno tempestando di telefonate Napolitano. Ma dovrebbero smettere di tirarlo per la giacchetta
Da “Il Giornale” Mario Giordano dice: Se dovete telefonare al Quirinale, fate attenzione: rischiate di trovare la linea occupata. Le chiamate internazionali, infatti, da qualche giorno si sprecano. Non c’è leader mondiale che non si senta in dovere di comporre la teleselezione in direzione del Colle.
Oggi è stata la volta di Sarkozy, prima aveva chiamato Obama, prim’ancora la Merkel. Nemmeno nei call center di Trenitalia si sente squillare tanto di frequente. E poi, appena c’è un attimo di pausa, zac, ecco che s’infila tra i corazzieri il presidente Ue Herman Van Rompuy, che probabilmente aveva esaurito il credito della Vodafone belga e ha pensato bene di recarsi a parlare a Napolitano di persona. Fra l’altro, risparmia pure in bolletta, che di questi tempi non fa neppure male.
Per carità, le comunicazioni non ci spaventano. Anzi, più ce ne sono meglio è. Però ecco, non può non colpire tutta quest’ansia di parlare con il nostro (e sottolineo: nostro) presidente della Repubblica. Normalmente, quando qualche esponente politico italiano osa suggerire o consigliare qualche mossa istituzionale al Colle, si proclama solennemente: «Non bisogna tirare la giacchetta al capo dello Stato». Ecco, scusate la domanda: ma non è per caso che gliela stanno tirando i capi di Stato stranieri?
Questo improvviso affollarsi di telefonate potrebbe anche essere casuale, per l’amor di Dio. Tutto può essere. Può anche essere che il centralinista dell’Eliseo abbia sbagliato numero quando Sarkozy ha ordinato di «chiamare Roma». Può essere che alla Casa Bianca non sapessero come passare la mattinata. E può essere che la Merkel volesse chiedere a Napolitano consigli sulle sue prossime vacanze a Capri («Lei che è di quelle parti, presidente, non è che conosce un buon ristorante dove si paga poco?»). Tutto può essere, ripetiamo. Però, ecco, queste numerose chiamate al Colle non sono mai state la normalità: un capo dell’esecutivo, in genere, chiama il capo dell’esecutivo di un altro Paese. Fino a oggi, se non sbagliamo, un capo dell’esecutivo in Italia c’è. E non sta al Quirinale, a meno che non sia cambiata nel frattempo la Costituzione.
Ora è possibile che proprio durante la crisi più delicata del nostro Paese, all’improvviso, il mondo cominci a fare pressing telefonico sul nostro presidente della Repubblica? Non sarà che mentre in Italia tutti cercano, giustamente e rispettosamente, di non tirargli la giacchetta, dall’estero arrivano di quelle strattonate da farlo vacillare? E quali saranno questi motivi così pressanti? Prendere il presidente Ue Van Rompuy, quello che risparmia sulla bolletta: doveva andare prima da Berlusconi, poi al Quirinale. All’ultimo ha cambiato il programma ed è subito corso sul Colle. Come mai tanta fretta? Come mai tanta ansia? Il presidente Napolitano sa benissimo cosa fare per il nostro Paese: perché i leader internazionali non glielo lasciano fare in santa pace? Non sembra loro che sia già abbastanza impegnato? Perché gli vogliono rendere le giornate ancora più difficili tempestandolo di telefonate?
Scusate la malizia, ma per farsi venire qualche sospetto bastava leggere il Financial Times di ieri mattina. Di fatto metteva il dito nella piaga: «Le risatine sconsiderate», diceva il quotidiano finanziario, «non colgono una realtà più profonda». La realtà più profonda sarebbe l’insistenza del tesoro di mantenere il controllo dei campioni nazionali italiani, cioè Eni, Enel e Finmeccanica. Toh, guarda, sembra un film già visto nel 1992: non è che ci siano grandi interessi a spingere il nostro Paese nella crisi economica per poter saccheggiare le aziende pubbliche, che sono sane e ricche? Non è che i poteri forti puntino a smantellare quel che resta del nostro patrimonio nazionale? E non è che tutto questo martellamento telefonico nasconda l’ansia di far presto a mettere le mani sul nostro Paese?
Si capisce: sono solo sospetti, seppur suffragati dall’austero nome del Financial Times. I presidenti stranieri sono liberi di chiamare chi desiderano e sono liberi di usare il telefono come preferiscono, anche per fare stalking a qualche corazziere, anche per intasare i centralini della signora Clio.
Il rapporto fra Stati è importanti, il ruolo istituzionale pure, e tutto il blablabla diplomatico. Però, ecco, ci piacerebbe che almeno per oggi le chiamate internazionali si interrompessero. E che il presidente della Repubblica potesse prendere le decisioni importanti che gli spettano senza il continuo trillare del telefono che lo disturba. Nell’interesse del nostro Paese, come sempre. E non di una teleselezione, per quanto prestigiosa.
Gli fa eco Barbara Stefanelli dalle pagine del “Corriere della Sera”: Si dice Merkozy, ma si legge solo Sarkozy. Perché il presidente francese è convinto di essere lui – Nicolas, l’erede del generale de Gaulle – l’unico asse rimasto ad attraversare l’Europa. Per questo progetta di volare domani ad Atene a incontrare il nuovo premier Papademos. Per questo chiama Napolitano e si offre di parlare (lui) ai politici italiani per sbloccare il consenso necessario al neosenatore Mario Monti.
Le intenzioni sono buone, sicuramente. La realizzazione maldestra. Al vertice di Cannes era evidente a tutti – bastava guardare le espressioni sul suo volto insofferente fino all’ostilità – che Nicolas Sarkozy considerava una perdita di tempo tutti i riti di concertazione europea. L’unica salvezza per il continente stravolto dalla crisi non può che venire dalla Francia. Dalla Francia alleata alla Germania. De Gaulle che prende per mano Adenauer per rifondare l’Europa all’inizio del terzo millennio. Da questa volontà di scrivere la Storia, prima che sia troppo tardi per tutti, nasce l’idea di organizzare un vertice a Roma con il nuovo premier italiano e l’alleata Merkel. E se questo è l’ esprit che lo possiede, si capisce anche come il presidente possa arrivare a pensare di avere qualche chance personale in Italia con chi nella coalizione di centrodestra non si affretta a sostenere il nuovo esecutivo. Sarkò – lo stesso che nel libro di Bernard-Henri Lévy dice di dubitare che Berlusconi «abbia ancora un cervello» nella sua scatola cranica – è convinto di poter alzare la cornetta, chiamare Umberto Bossi e convincere la Lega a votare Mario Monti.
Raccontano che alla vigilia dei vertici europei tutti i leader si incontrino per verificare che cosa nel frattempo Nicolas abbia detto di ciascuno agli altri. Ecco una lista, per difetto, dei suoi fuorionda. Di Berlusconi abbiamo scritto. Di Zapatero che «forse non è intelligente». Di Papandreou che «quello non è uno statista». Di Netanyahu che «è un bugiardo» e che lui proprio «non lo può più vedere». Di Obama, ancora nell’aprile 2008 quando tutto andava bene, disse che era «un inesperto, uno che non ha mai gestito un ministero». A Cameron urlò direttamente che aveva «perso una buona occasione per stare zitto». E della compagna Merkel, l’unica ammessa al suo fianco sulla locomotiva che forse salverà l’Europa? Che non è così coerente se dice di essere a dieta «e poi ogni volta non resiste al bis di formaggio».