Le fasce d’età e di reddito Ecco le simulazioni sulla riforma La previdenza. Così si riduce l’assegno se si lascia a 59 anni con 40 di contributi. Il calcoli da fare e gli esempi
Il sistema a ripartizione
Il generoso «retributivo» scomparirà del tutto solo nel 2030, quando sarà finalmente a regime il criterio «contributivo». Un sistema a ripartizione, come è il nostro (secondo cui si pagano le pensioni sulla base dei contributi incassati), è finanziariamente sostenibile quando restituisce al lavoratore, sotto forma di rendita, i contributi versati, capitalizzati a un tasso pari al tasso di crescita dell’economia. Ebbene, la formula retributiva ha per troppo tempo sistematicamente violato il principio della sostenibilità, offrendo un «rendimento» (un interesse annuo sui contributi) assai superiore a quello finanziariamente sostenibile.
Un assegno per tre
Per quanto riguarda il calcolo della pensione, la riforma del ’95 ha individuato tre tipologie di lavoratori:
1) I «fortunati» del 1995, esonerati dall’applicazione del contributivo grazie alla artificiosa demarcazione introdotta tra coloro che, al 31 dicembre 1995, avrebbero raggiunto almeno 18 anni di anzianità e gli altri.
2) I «parzialmente fortunati», con anzianità inferiore a 18 anni nel 1996, la cui pensione sarà calcolata secondo il pro rata, ossia in base alla regola retributiva per l’anzianità maturata al 1995 e a quella contributiva per l’anzianità dal 1996.
3) Gli «sfortunati», coloro che si sono affacciarti nel mondo del lavoro a partire dal 1996, la cui pensione sarà interamente contributiva. La prima conseguenza dell’introduzione del contributivo pro rata è un generale avvicinamento dei trattamenti tra le categorie. Si avrebbe così un aumento dell’età minima di pensionamento, mentre sparirebbero le pensioni di anzianità per i «fortunati» e i «parzialmente fortunati», i quali avrebbero almeno una parte di pensione contributiva, molto piccola per i primi, più grande per i secondi.
Il calcolo «pro rata»
È bene precisarlo per non spaventare. L’introduzione del criterio contributivo per tutti, sarà comunque effettuata in pro rata. Riguarderà sì la totalità dei lavoratori, indipendentemente dal numero degli anni contributi accumulati al dicembre ’95, ma varrà solo per i versamenti futuri (cioè per la contribuzione versata dal primo gennaio 2012). Questo significa che gli effetti negativi, il sistema retributivo è certamente più vantaggioso, saranno maggiormente attenuati, quanto più è vicina la data del pensionamento. Ma quanto ci perdo passando al contributivo? Un interrogativo che si pongono in molti i questi ultimi giorni. Tentiamo quindi di dare una risposta, con l’aiuto qualche caso concreto.
Qualche esempio
Un impiegato con 35 anni di lavoro alle spalle e una retribuzione di 30 mila euro che decida di lasciare tra 5 anni (raggiunti i 40 anni di contributi) all’età di 59, con il passaggio al contributivo perderebbe circa 52 euro al mese. Perdita che scende a 32 euro mensili di pensione, se la sua anzianità al 31 dicembre del 2011 anziché di 35 anni è di 37 anni
(vedi grafico). Invece, ci rimette solo 9 euro al mese nel caso in cui alla fine di quest’anno possa contare su 39 anni di contribuzione.
Per il funzionario con 70 mila euro di stipendio, invece, il taglio dell’assegno mensile si aggirerebbe intorno a 78 euro con 35 anni di anzianità al 31 dicembre del 2011. Perdita che si riduce: a 42 euro con un’anzianità di 37 anni, sino a raggiungere soli 25 euro (su una rendita mensile di 3.779 euro) in presenza di 39 anni di contributi versati. Questo perché il vantaggio del conteggio retributivo si attenua man mano che la retribuzione pensionabile, cioè l’ultima retribuzione, sale. Infatti, al sopra del cosiddetto «tetto» (oggi pari a 43.042 euro), l’aliquota di rendimento del 2%, per ogni anno di contributi, si assottiglia sino a raggiungere l’1% (0,90% per le quote di pensione maturate dopo il 1992), per la parte di retribuzione pensionabile eccedente gli 81.780 euro. Un sacrificio tutto sommato accettabile che convincerebbe più di uno a prolungare l’attività oltre i 40 anni, tetto massimo di anzianità presa in considerazione dal «retributivo», recuperando peraltro in pensione l’anno in più di lavoro (e versamento di contributi) che deve scontare per via della finestra mobile (decorrenza fissata 13 mesi dopo). Sempre che non venga soppressa, come pare sia nelle intenzioni del nuovo ministro.