Le violenze si sono estese anche in altre parti del paese. Il bilancio è di 40 morti e oltre 1.800 feriti «mancano le bare». I manifestanti chiedono le dimissioni dei vertici militari
IL CAIRO – La violenza non si ferma al Cairo. Per il terzo giorno consecutivo. Piazza Tahrir è un campo di battaglia. Così come tutte le vie limitrofe. L’aria è impregnata di gas lacrimogeni sparati dalle forze di sicurezza con l’obiettivo di disperdere la folla che non ha nessuna intenzione di indietreggiare e rispondono tirando pietre. I manifestanti chiedono a gran voce le dimissioni dei vertici militari e il trasferimento del potere a un esecutivo civile. In molti vorrebbero arrivare al ministero dell’Interno, dove sono stati schierati carro armati. Si aggrava il bilancio degli scontri: sono almeno 40 i morti solo al Cairo (e due ad Alessandria), la maggior parte dei quali è stata uccisa da colpi di arma da fuoco. I feriti sono oltre 1.800. «Stiamo cercando bare, perchè non ne abbiamo abbastanza», spiegano dall’obitorio della capitale egiziana.
LE VIOLENZE– Sembrava si fosse trovato un accordo, grazie anche alla mediazione dell’imam della grande moschea di Omran Makram che prevedeva la riconsegna dei quattro agenti presi in ostaggio domenica notte. Ma subito dopo il rilascio, le forze dell’ordine hanno caricato la piazza. E così sono cominciate nuove violenze. Il predicatore salafita e candidato alla presidenza Hazem Abu Ismail ha invitato i suoi sostenitori a partecipare alle protesta per «raggiungere gli obiettivi della Rivoluzione di gennaio». Alcuni palazzi hanno preso fuoco nei pressi di piazza Tahrir, tra questi anche la sede dell’Assemblea nazionale per il cambiamento, il partito di Mohammad ElBaradei. La battaglia si sta spostando anche davanti al ministero dell’Interno, davanti al quale si sono schierati i carro armati. Su internet ci sono appelli per donare sangue e gli ospedali sono pieni di feriti. E si racconta che sempre più persone si scrivono sulle braccia il numero dei genitori nel caso fossero uccisi.
LA MOBILITAZIONE- Per cercare di proteggere i manifestanti «gli attivisti di 35 partiti e movimenti egiziani stanno convergendo verso piazza Tahrir» così da creare uno «scudo umano». Lo ha dichiarato Mohamed El-Beltagy esponente del partito Libertà e giustizia dei Fratelli Musulmani. Sempre più persone stanno scendendo in piazza al «Libertà».
GLI OBIETTIVI– Ma la paura di morire non ferma i manifestanti. Mahmoud Afifi, è uno dei portavoce del Movimento 6 Aprile e ha puntato il dito contro il Consiglio militare che ha preso il potere dalle dimissioni di Hosni Mubarak a febbraio. «Trattano i giovani della rivoluzione con estrema violenza». E ha aggiunto che le persone in piazza chiedono di «fissare un’agenda per la consegna del potere a un presidente, un civile, al massimo entro il prossimo aprile», anziché tra il 2012 e il 2013 come da calendario. A detta del responsabile per la Sicurezza Pubblica del ministero dell’Interno egiziano, Sami Sidhom, ad alimentare i tumulti non sarebbero peraltro semplici attivisti politici ma baltaguiya, cioè delinquenti comuni, «infiltratisi tra la gente per fare irruzione» nella sede del dicastero e per «attaccare la polizia».
NEL PAESE– Le violenze si sono estese anche in altre parti del Paese. In molte città sono scesi in piazza per protestare contro le violenze del Cairo. Ed è proprio questo clima di esasperazione che preoccupa perché rischia di far saltare le elezioni parlamentari del 28 novembre, o comunque di influire pesantemente sullo svolgimento della prima consultazione del dopo-Mubarak. In ogni caso l’Unione europea segue gli eventi con «grande preoccupazione». Mentre la Lega araba invita alla calma.