IL CARBURANTE. La Libia e le mosse delle compagnie
ROMA – Natale era filato via liscio ma Capodanno non perdona. Gli italiani si rimettono in macchina per le vacanze e arrivati al distributore (il pieno, grazie) sono costretti a rifare di nuovo i conti. Il prezzo della benzina ha raggiunto un nuovo record, 1,723 al litro, così come il gasolio che ha toccato quota 1,698. Il rialzo – di un centesimo per la verde, di mezzo per il diesel – riguarda per ora solo Eni ed Esso come osserva il giornale specializzato «Staffetta quotidiana». Ma visto che Eni è la compagnia leader del mercato italiano è possibile che a breve anche i concorrenti facciano la stessa mossa.
Perché questo nuovo aumento? Proprio ieri il governo di Tripoli ha annunciato di voler rivedere «alla luce degli interessi della Libia» i contratti firmati in passato dal regime di Gheddafi con l’Eni. La compagnia precisa che i contratti da rivedere «non hanno nulla a che fare con il petrolio o con il gas naturale» e che invece riguardano «iniziative in materia sociale». Cosa c’è da rivedere, allora? Da Tripoli il comunicato del governo di transizione spiega che le «compagnie straniere dovranno provare di essere state dalla parte della Libia e non del regime: l’Eni dovrà darne prova giocando un ruolo significativo nella ricostruzione». Alla fine – spiega Filippo Cotalini, portavoce della compagnia – «potrebbe trattarsi della costruzione di infrastrutture, come un ospedale o un palestra». Ma effetto Libia oppure no a guardare i prezzi vengono le vertigini.
Rispetto all’inizio dell’anno il prezzo della benzina è cresciuto del 18%, quello del gasolio addirittura del 27%. Ormai sono pari, con buona pace di chi pensa ancora che il diesel faccia risparmiare. E pesano sempre di più sul bilancio di ogni famiglia. Tra calcoli e confronti ci si potrebbe pure divertire. La Coldiretti ci dice che in media un pieno costa più di un cenone di San Silvestro: 77 euro contro 75. Il Codacons sostiene che rispetto all’anno scorso, solo nel periodo delle feste, spenderemo 215 milioni di euro in più. La Confederazione italiana agricoltori afferma che, infilando nel conto anche bollette e trasporti, spendiamo più per i carburanti che per mangiare: 470 euro al mese contro 467. Di numeri ce ne sarebbero altri ancora, tutti buoni per raccontare questo 2011, annus horribilis anche per la benzina.
A parte i ritocchi delle compagnie, sono stati cinque gli aumenti che hanno riguardato quella parte del prezzo che va allo Stato. Abbiamo cominciato ad aprile, 0,73 centesimi per salvare il Fondo per lo spettacolo. Abbiamo continuato a giugno, 4 centesimi per la guerra in Libia. E poi ancora 0,19 centesimi a luglio di nuovo al Fondo per lo spettacolo, 0,89 a novembre per l’alluvione in Liguria e Toscana, fino alla mazzata del decreto salva Italia con 9,9 centesimi in più. Senza contare le addizionali regionali (sì, ci sono anche per la benzina) che nel 2011 sono state introdotte da Abruzzo, Calabria, Piemonte e Puglia, e che dall’inizio del prossimo anno saranno ritoccate in sei regioni. Il guaio è che l’aumento della benzina è la bacchetta magica usata da sempre e da tutti per fare subito cassa. In quei soldi che diamo al benzinaio, anche se ormai assorbite come entrata ordinaria, ci sono ancora le 10 lire per il disastro del Vajont e per il terremoto del Belice, le 14 per la crisi di Suez del 1956, e addirittura le 2 lire per la guerra di Abissinia del 1935.
Ormai tra Iva e accise il 60% del prezzo della benzina e il 54% di quello del gasolio finisce nelle casse pubbliche. Un carico senza paragoni con il resto d’Europa, considerando che per il diesel la Germania è al 50%, la Francia al 48%, la Spagna addirittura al 42%. Dice Luca Squeri, presidente della Figisc, la federazione degli impianti di distribuzione che aderisce a Confcommercio: «Senza gli aumenti di imposte del 2011, la benzina costerebbe 19 centesimi al litro di meno, il gasolio 22». Aggiunge il presidente che solo questi aumenti sono superiori al margine operativo lordo del settore, cioè a quanto guadagnano i distributori. «E non si può avere un prezzo più basso se le imposte sono diventate le più alte d’Europa». Vero, ma forse non è colpa solo delle tasse se ormai siamo primi assoluti nella classifica dei prezzi, con tanti saluti alla Svezia e al Regno Unito fino ad un mese fa davanti a noi.
Il problema non è nuovo ma pesa e chiama in causa proprio la rete dei distributori. Abbiamo un quinto dei punti vendita di tutta Europa ma vendiamo un decimo dei carburanti totali. Il self service è ancora poco diffuso anche se bisogna tener presente che potenziarlo potrebbe ridurre i posti di lavoro. E anche sugli orari di apertura siamo indietro rispetto alla maggior parte degli altri Paesi. Non è un caso che gli sconti di 10 centesimi che molte compagnie hanno cominciato a fare durante l’orario di chiusura utilizzando il self service abbiano avuto un buon successo. Il governo Monti conta di approvare entro gennaio un piano per favorire la concorrenza proprio nel settore della distribuzione. E correggere quella che molti considerano un’anomalia italiana. Basterà? Il prezzo continua a salire anche adesso che il petrolio è in discesa. E quest’estate diverse associazioni di consumatori hanno presentato esposti in tutte le Procure, accusando di speculazione le compagnie petrolifere. Difficile sapere se porterà a qualcosa ma al momento tra speculazione, tasse e tanti distributori, l’unico a pagare resta chi si azzarda a fare il pieno. Chi può, infatti, emigra all’estero. A Chiasso, in Svizzera, la verde viene 1,43. Per un pieno sono quasi 20 euro di meno.