LA TRAGEDIA DELLA COSTA CONCORDIA. L’evacuazione iniziata prima dell’ordine. A casa dal maître: soli 90 metri dalla nave
ISOLA DEL GIGLIO (Grosseto) – La finestra della sala da pranzo si affaccia sul mare. Quando c’è sole, la casa è inondata di luce. In tutto quell’azzurro bisogna sporgersi e guardare di sotto per vedere le uniche tre macchie scure. Sono gli scogli delle Scole. La Costa Concordia ha urtato l’ultimo, il più piccolo, ed è stato come l’iceberg per il Titanic.
A guardare da questa terrazza sembra tutto più chiaro, e non solo per l’orizzonte limpido. Appena un passo indietro e dalla mensola sopra la televisione un uomo in divisa dai capelli brizzolati sorride da una foto. «Eccolo il mio figliolo» dice la signora Mamigliana. Il sorriso in cornice è di Antonello Tievoli, il maitre della nave crociera. Questa è casa sua, della sua famiglia, un piccolo edificio in cima alla strada che porta alla spiaggia delle Cannelle, e i due anziani seduti a un tavolo apparecchiato in modo spartano, tovaglioli di carta e bicchieri di plastica, sono i suoi genitori. Spaventati, smarriti.
Non è un caso, non può esserlo. La casa del capo cameriere della Costa Concordia, l’unico gigliese a bordo, il destinatario dell’inchino, l’omaggio dell’avvicinamento della nave ai suoi cari per un saluto, è la più vicina a quegli scogli. Con la deviazione dalla rotta, la nave guidata del comandante Francesco Schettino era quasi sotto a quelle finestre. E anche il 6 gennaio, data del penultimo passaggio, non doveva essere poi così distante. «Sto facendo i segnali luminosi, chissà se mi vede» scrive su Facebook la sorella Patrizia, insegnante alla scuola elementare del Giglio.
Adesso anche lei è vittima di una reazione a catena che da un inchino non richiesto, non in quel modo, ha causato un disastro di proporzioni colossali. Poche parole, tanta rabbia. «Non è che se il comandante decide di fare una cosa per una persona la colpa è dell’altro. Lui non ha chiesto nulla, è solo un marittimo, mica uno dei capi della nave. Non si azzarderebbe mai».
La maestra Patrizia ha ragione, niente e nessuno potrà togliere al comandante Schettino la paternità di quella decisione che definire scellerata è poco, non solo perché dalla finestra sembra quasi che basti allungare una mano per toccare quelle rocce. Ieri i carabinieri del nucleo sommozzatori di Genova si sono immersi dal promontorio sotto casa Tievoli. Cercavano il punto preciso dell’impatto. Lo hanno trovato a 8 metri di profondità, nell’allargamento sottomarino della Scola piccola, lo scoglio esterno. C’erano anche due pezzi di lamiera della nave, prova definitiva della violenza dell’urto, di una nave fuori controllo. Hanno misurato la distanza dall’ultima propaggine del litorale, e il risultato è come una sentenza. Tra 92 e 96 metri, quella bestia da 114mila tonnellate era in zona balneabile.
Nave Costa, i pianti dei bimbi e l’urlo: “si inclina”
Ma in questa storia di inchini maldestri il vero incrocio di destini è quello tra l’allievo e il maestro. Il comandante Schettino è stato a lungo vice di Mario Palombo, il venerabile maestro con 43 anni di navigazione, 23 dei quali al comando delle navi passeggeri di Costa crociere, anche lui, come l’amico e compaesano Tievoli travolto da un evento sul quale non ha mai esercitato alcun controllo, convocato ieri in procura e sentito per oltre due ore dai magistrati, non solo sulla pratica dell’inchino, da lui sperimentata per primo, almeno nelle acque del Giglio. Tra i due il legame è ancora forte, al punto che venerdì sera, durante la navigazione, Schettino sente il bisogno di chiamare il vecchio comandante per dirgli che l’omaggio riguarda anche lui. Tra le 21.30 e le 21.40, questa la forbice temporale indicata da Palombo. «Già che passo dall’isola ti faccio un saluto con la sirena» avrebbe detto Schettino. Ma io sono a Grosseto, è la risposta.
Cade la linea. Comunicazione interrotta. L’unico privilegio del povero Palombo, come riporta il Corriere fiorentino, è quello di avere ascoltato l’urto in diretta. Il seguito delle telefonate apre il vero scenario dell’inchiesta. Perché Palombo chiama un suo amico al Giglio, che gli racconta quel che vede, la nave arenata, «troppo sotto la costa». Il comandante in quiescenza, reduce da un infarto, riprova per due volte a mettersi in contatto con Schettino. Niente. Allora telefona subito alla «sua» Costa crociere dalla sua casa di Grosseto, chiede lumi, è lui a dare l’allarme, seguito subito dalla Guardia di finanza. Il direttore del dipartimento marittimo della compagnia genovese chiama subito la nave – 22,05 e 22,07. Nella seconda telefonata, il comandante ammette di avere «problemi a bordo» ma non parla della collisione.
C’è una mezza verità, in quelle parole, perché di problemi a bordo ce ne sono parecchi, a cominciare da una sorta di ammutinamento da parte di alcuni ufficiali di seconda che prende corpo intorno alle 22.45. I membri dell’equipaggio prendono i passeggeri dalle cabine, preparano le scialuppe per lasciare la Concordia, tredici minuti prima della comunicazione di «abbandono nave» ricevuta dalla Guardia costiera. Se l’ammutinamento è una delle onte peggiori per un comandante, Schettino la subisce due volte in una notte, la seconda come parte attiva, disobbedendo all’ordine superiore della Capitaneria di risalire sulla nave per prendersi cura dei passeggeri.
Sembra un film, lo è quasi. I finanzieri arrivano in zona alle 22.35 e non si limitano ai soccorsi. Riprendono con le videocamera quel che sta accadendo, e solo alle 23.15 la Costa Concordia comincia a inclinarsi. Se Schettino avesse dato subito l’ordine di abbandonare la nave, magari ascoltando quegli ufficiali che lo imploravano di farlo, avrebbe avuto almeno un’ora e mezzo di tempo a disposizione per l’evacuazione, e forse adesso ci sarebbe da contare qualche morto in meno. A questo si arriva, partendo dalla casa della famiglia di un capocameriere, dalle sue finestre così vicine al mare, e agli scogli.