Le norme e gli strumenti. Radar e scandagli per aiutare il capitano. «Ma la scelta finale è sua»
È come la plancia di Star Trek: una «U» rovesciata costellata da decine di luci e figure colorate, il linguaggio con cui parlano radar, ecoscandagli e Gps vari. Tutt’intorno, al di là delle vetrate che corrono per cent’ottanta gradi, l’abbraccio tra cielo e mare: perché, come dicono gli inglesi, quello umano è il primo occhio nella plancia di comando. E al centro lui, l’uomo che arriva dopo Dio, il comandante con i suoi ufficiali a cui è affidato il compito di leggere ogni segnale e condurre la nave sulla buona via.
Il codice della navigazione è chiaro: «Al comandante della nave, in modo esclusivo, spetta la direzione della manovra e della navigazione». E il suo equipaggio, gli deve obbedienza: ufficiali, marinai, team alberghiero. «Un esercito che sulle grandi navi da crociera si aggira intorno aimille e più uomini, ma ogni compagnia ha le sue tabelle di armamento. Dipende dalle dimensioni e dalle finalità», spiega Elda Turco Bulgherini, docente di diritto della navigazione all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata. Di questi sono poco meno di un centinaio quelli che fanno camminare la nave: dagli ufficiali ai macchinisti, fino ai manutentori.
Ecco la plancia di comando in coperta: «Il comandante non deve essere sempre lì fisicamente — fa da guida un esperto comandante di navi passeggeri— ma a lui fa capo ogni operazione ». La formazione base, durante la navigazione, prevede che ci siano: «Uno o due ufficiali di guardia (il primo ufficiale è responsabile anche della sicurezza e del team alberghiero). Un timoniere e un osservatore». Durante un’operazione di manovra: «Il comandante e il comandante in seconda, i due ufficiali di guardia (complessivamente ce ne sono sei), il timoniere (tre in tutto) e due osservatori». Completano il quadro, sempre in manovra, un ufficiale di prua, uno di poppa e il nostromo: il responsabile della manutenzione delle attrezzature in coperta.
La città galleggiante è in navigazione. La rotta è stata calcolata attraverso carte nautiche, coordinate elettroniche inserite in un plotter. Per evitare le collisioni le norme internazionali (il regolamento Colreg) prevedono anche diversi strumenti. Radar per segnalare ostacoli sopra il mare, ecoscandagli per leggere quello che sta sotto. L’incrocio di radar e cartografia elettronica dice quello che sta sulla rotta rispetto alla posizione. Ogni strumento poi è interfacciato con l’altro in modo da avere sempre un sistema ridondante di sicurezza. «Ma l’insieme degli strumenti così come la singola macchina non può fermare la mano dell’uomo cui spetta la scelta del gesto finale».
E la mano dell’uomo può anche sbagliare. Anche quella del comandante. «È il responsabile della spedizione e, come l’imprenditore, risponde penalmente dei suoi errori e di quelli altrui », afferma l’avvocato marittimista Antonio Oppicelli. I sottufficiali sono suddivisi per gerarchie e turni. Hanno diverse funzioni (dal coordinamento della navigazione alla manutenzione, fino all’intrattenimento dei passeggeri). «Ma la responsabilità di ogni gesto, 24 ore su 24, fa capo al comandante ». E se a sbagliare è lui? Un ufficiale può fermarlo? E se non lo fa: è lui stesso responsabile dell’errore? «Il primo problema è che l’ufficiale si accorga dell’errore — dice l’avvocato Oppicelli —: ci sono regole internazionali e interne. E il loro rispetto spesso è il risultato del lavoro di più persone e strumenti ». Prendiamo la norma che dice di non navigare in acque basse: «Il rispetto della regola è l’insieme del lavoro, al di là del comandante, dell’ufficiale di guardia, di un timoniere e di un responsabile all’ecoscandaglio. La comprensione dell’errore richiede un minimo di collaborazione tra due o tre soggetti ». Una volta riconosciuto lo sbaglio: «L’ufficiale ha il dovere di segnalarlo, anche perché nella marina commerciale la gerarchia non è rigida come quella militare». Ma se non lo segnala: «E viene individuato tra quei soggetti che non potevano non sapere, è riconosciuto a sua volta responsabile ». Anche perché sono le norme della navigazione a prevedere che il comandante si consulti con i suoi ufficiali di coperta. «L’articolo 303 prevede che lo si faccia in caso di abbandono nave. Una decisione molto impegnativa per le conseguenze, anche economiche», ricorda la professoressa Turco Bulgherini che cita: «Il comandante non può ordinare l’abbandono della nave in pericolo se non dopo esperimento senza risultato dei mezzi suggeriti dall’arte nautica per salvarla, sentito il parere degli ufficiali di coperta».
L’abbandono nave è sempre preceduto da un may day (dal francese «venez m’aider!»). È il messaggio internazionale con cui una nave, rappresentata da un comandante che risponde a un armatore (non sempre il proprietario), dice «siamo davvero nei guai» e chiede un immediato aiuto ad altri: all’autorità marittima, la Guardia Costiera, ma anche alle imbarcazioni che si trovano nelle acque più vicine. «Per loro c’è l’obbligo di prestare soccorso — dice Oppicelli —. La regola aveva più senso al tempo del Titanic quando non c’erano mezzi di comunicazione e soccorso di oggi». Ora forse ha un senso per un naufragio nel Mare di Barents. «Ma per esigenze di tutela anche ambientale nell’89 è stata stipulata la Convezione di Londra», afferma Elda Turco Bulgherini. Convenzione che all’articolo 12 dice: «Le operazioni di assistenza portate a termine con successo danno diritto a un compenso». Una regoletta che sta alla base di molte scene da comica, se non fosse che di mezzo c’è la sicurezza in mare, in cui si vede un diportista nei guai rilanciare una cima a un soccorritore per non doverlo ricompensare della cortesia. «Una cosa — dice la docente — che succede anche quando di mezzo ci sono grandi navi: si preferisce minimizzare, magari in attesa di un soccorso già contrattato». Forse. «Un comandante però—continua Oppicelli — non può rifiutare gli ordini legittimi dell’autorità marittima, che però attengono solo alle operazioni di salvataggio». Resta un fatto: «Che può prendersi il tempo che serve per valutare l’emergenza senza creare panico: il responsabile è lui». Fino all’abbandono della nave, in senso tecnico ma non giuridico. «Perché un comandante può coordinare i soccorsi anche da una scialuppa. Deve essere l’ultimo ad abbandonare la nave ma non nel senso che deve starci con i piedi sopra». Quando però la nave è abbandonata a tutti gli effetti diventa di nessuno e dopo Dio, a quel punto, c’è solo l’autorità marittima.