Dopo una giornata di stop causata dal movimento della nave incagliata davanti all’Isola del Giglio, ripartono le attività. Sono 11 le vittime accertate, 21 le persone che mancano all’appello. Ed è giallo sulla presenza in plancia di una donna moldava. La compagnia di navigazione avvisata un’ora prima dell’«abbandonate la nave»: esitò per evitare i rimborsi?
ISOLA DEL GIGLIO – Ripartono le ricerche dei dispersi sulla Costa Concordia, naufragata il 13 gennaio davanti all’Isola del Giglio, dopo l’interruzione di ieri, mercoledì 18 gennaio, a causa di un movimento della nave. Lo riferiscono i Vigili del fuoco. “Le condizioni consentono un grado di sicurezza accettabile per gli operatori, quindi riprendiamo le attività”, ha detto al telefono il portavoce dei Vigili del fuoco, Luca Cari. E ha spiegato: “Dobbiamo terminare l’ispezione del ponte 4 perché ci sono ancora da controllare dei punti fuori dall’acqua ma con un ostacolo al centro, una parte sommersa”.
Al lavoro squadre speleo-alpino-fluviali e sommozzatori. Nel corso della giornata, poi, i sub del Comsubin della Marina posizioneranno delle cariche esplosive per aprire altri varchi nello scafo e facilitare le operazioni di ricerca. Sono 11 i morti accertati nel naufragio, ancora 21 le persone che mancano all’appello. Il peggioramento del tempo, previsto per i prossimi giorni, potrebbe causare problemi alle ricerche dei dispersi e alle operazioni per tentare di evitare il disastro ambientale.
Mercoledì 18 gennaio il ministro dell’Ambiente Corrado Clini ha detto che la nave, attualmente in equilibrio precario su un fondale roccioso, rischia di inabissarsi. “C’è già un danno ambientale, molto contenuto” relativo “ai fondali dell’Isola del Giglio, ha detto il ministro.
Sul fronte delle indagini, invece, il procuratore capo Francesco Verusio ha annunciato che presenterà ricorso al tribunale del Riesame contro la decisione del gip di concedere gli arresti domiciliari a Francesco Schettino, il comandante della Costa Concordia. Per il gip Schettino sbagliò clamorosamente la rotta in eccessivo avvicinamento all’Isola del Giglio, si dimostrò totalmente incapace di gestire l’emergenza del naufragio e abbandonò la nave quando a bordo c’erano ancora circa 300 persone rifiutandosi di risalire e restando a guardare mentre affondava. Ma il gip non crede al pericolo di fuga.
GROSSETO — I misteri che segnano le fasi del naufragio della nave Concordia coinvolgono direttamente i vertici della Costa. Perché l’azienda fu avvisata ben 68 minuti prima della dichiarazione di evacuazione che c’era un problema a bordo, ma non risulta che il comandante Francesco Schettino sia stato sollecitato a dichiarare immediatamente lo stato di emergenza. Ci fu soltanto una sottovalutazione del problema causata dalle omissioni dello stesso Schettino a rivelare la gravità di quanto stava effettivamente accadendo? Oppure i responsabili della compagnia pensavano di poter evitare gravi conseguenze economiche e in questo modo si sono resi complici del comandante nel causare il disastro? Su questi interrogativi si concentrano le verifiche disposte dalla Procura di Grosseto, tenendo conto di un dettaglio emerso nelle ultime ore: ai crocieristi che hanno subito un trauma durante il viaggio, per esempio lo sbarco notturno su un’isola a bordo di scialuppe, la procedura marittima assegna un risarcimento di 10.000 euro a testa. Tenendo conto che a bordo c’erano circa 3.000 persone, vuol dire che l’indennizzo complessivo avrebbe potuto sfiorare i 30 milioni di euro.
Sono numerose le circostanze che appaiono tuttora inspiegabili. L’ultima riguarda la presenza in plancia di una ragazza moldava di 25 anni che non risulta inserita in alcuna lista. Era ospite del comandante? E perché non era stata registrata? Lavorava senza contratto? Di lei hanno parlato alcuni testimoni sostenendo che si chiama Domnika e il procuratore Francesco Verusio ha chiesto ai carabinieri di rintracciarla visto che compare anche in una fotografia scattata poco dopo la partenza da Civitavecchia. Bisogna verificare perché fosse a bordo e dove si trovasse al momento dell’impatto, visto che secondo alcuni si era sistemata nel salottino attiguo alla sala comandi. Ha visto o sentito dettagli utili a ricostruire quanto è accaduto? Possibile che sia rimasta lì anche nelle fasi concitate che sono seguite all’impatto con lo scoglio? Che la situazione fosse grave, Schettino lo aveva certamente intuito. Però le decisioni che prende in seguito appaiono inspiegabili e si rafforza il sospetto che non fossero completamente autonome ma concordate con la compagnia. E che anche adesso, nonostante le prese di distanza del presidente e amministratore delegato Pier Luigi Foschi, ci si muova di pari passo, prova ne sia che non risulta cambiata la decisione di «garantire assistenza legale a Schettino» come lo stesso Foschi ha confermato tre giorni fa quando ha denunciato «l’errore umano commesso dal comandante». Del resto venerdì sera c’erano le condizioni per riparare a quello sbaglio, ma i responsabili di Costa non diedero alcuna disposizione immediata di evacuazione che avrebbe consentito di salvare tutti i passeggeri visto che per quasi un’ora la nave è rimasta «in asse» e l’impiego delle imbarcazioni di salvataggio avrebbe scongiurato ogni rischio.
Invece si sono persi 68 minuti preziosi: esattamente il tempo trascorso dall’allarme dato alle 21.50 dall’ex comandante Mario Palombo proprio a uno dei manager della Costa alle 22.58 quando i sette fischi di emergenza decretano l’abbandono della nave. Finora è stato accertato che Schettino parla per tre volte al telefono con il responsabile dell’unità di crisi della compagnia Roberto Ferrarini. Ma gli elementi raccolti accreditano adesso l’ipotesi che le consultazioni di quei momenti abbiano coinvolto anche altre persone della compagnia. E soprattutto che ci siano stati contatti con altre persone che erano a bordo della Concordia. Non a caso i controlli delegati a carabinieri e Guardia di Finanza riguardano pure la divisione dei compiti assegnati a ufficiali e sottufficiali perché al momento risulta che alcuni possano aver svolto mansioni non adeguate al proprio ruolo. L’obiettivo è evidente: ricostruire la catena di comando e così scoprire quali «consigli» furono dati a Schettino, ma anche a chi ne aveva preso il posto dopo che lui aveva abbandonato la nave, dai responsabili di Costa. Soltanto quando il quadro delle verifiche sarà completato si chiederà conto a Ferrarini e agli altri responsabili della sicurezza di una serie di eventi che alla fine si sono rivelati scellerati e che — ormai questa appare la convinzione degli inquirenti— non possono essere addebitati soltanto al comandante di bordo.
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