Fisco. Dallo skipper che ospitò la Kidman al direttore delle carceri
ROMA – Non sono rubagalline che lucrano sulle piante di fagioli seminati. Ma «professionisti» del crimine capaci di vendere «pacchetti chiavi in mano»: progetti, piani di investimenti, formazione del personale, macchinari. Tutto falso. Eccolo il profilo dei ladri di fondi comunitari e non solo. Quelli che non soltanto evadono le tasse, ma prendono contributi e scappano. E assieme ai soldi rubano lo sviluppo e il futuro a territori disagiati. È dura la lotta della Guardia di Finanza per bloccare questa emorragia di denaro. Ma i risultati, emersi dal bilancio degli ultimi anni, sono sempre più incoraggianti.
Il trend dei successi cresce. La differenza tra l’ammontare delle frodi scoperte e i sequestri eseguiti è passata dal 21% del 2007 al 40% degli ultimi due anni. Solo nel 2011 sono stati 1.063 gli interventi, 860 le persone denunciate, 1.446 quelle «verbalizzate». Dei 252 milioni di euro indebitamente percepiti, 100 sono stati sequestrati. Dati che rappresentano una buona fetta della lotta contro gli sprechi: quasi 700 milioni di euro di finanziamenti comunitari e nazionali bloccati. Scoperti 17.966 truffatori di pubblico denaro. Danni erariali per 2 miliardi di euro accertati, 4.300 finti poveri smascherati, 277 milioni di euro di truffe al servizio sanitario nazionale individuate.
Una guerra. Combattuta non dietro una scrivania sulla base di banche dati, ma con intercettazioni, pedinamenti e indagini complesse, spesso dalla trama internazionale. Lo spiega il generale Bruno Buratti, capo del 3° reparto operativo: «Puntiamo molto sulla collaborazione dei soggetti istituzionali che erogano i contributi. Da loro arriva sempre più spesso la segnalazione delle aree di rischio che possiamo controllare per bloccare i fondi non dovuti prima dell’erogazione. Aggredire i patrimoni illeciti è la cosa principale. Gli strumenti ce li abbiamo». Certo la norma sull’autoriciclaggio da tutti invocata aiuterebbe.
Lo sanno bene i finanzieri che indagando su un call center di Lamezia Terme si sono imbattuti in un imprenditore torinese al di sopra di ogni sospetto. Figlio di un esponente della Confindustria piemontese, velista, proprietario di uno yacht noto per aver ospitato Nicole Kidman nel film Ore 10: calma piatta . Nelle intercettazioni, però, mostrava un volto molto meno glamour. Aveva ottenuto un finanziamento da 20 milioni di euro per un software «patacca» di gestione del call center. Lo aveva comprato in India, sottoprezzo, ben sapendo che non funzionava (come gli ricordava in una mail l’azienda che glielo aveva venduto). In più svuotava le casse con consulenze fittizie e portava i soldi in Lussemburgo, Delaware, Svizzera e Singapore.
Come? Facile. Basta rivolgersi a chi lo sa fare. «Ce ne sono molti – spiegano al comando generale Gdf -, sempre gli stessi. Una vera regia criminale. Figure che gestiscono decine di società e risolvono ogni problema. Tutto passa attraverso fatture false. Con il nostro approccio investigativo trasversale riusciamo a vedere cosa c’è dietro».
Come nell’operazione «Sparkling» (significa frizzante), dallo champagne con cui si brindava ai finanziamenti illeciti ottenuti. Tutto partiva da uno studio di Cosenza dove un commercialista si avvaleva di legali, funzionari di banche compiacenti e consulenti infedeli. Al cliente veniva venduto il progetto e l’iter fino all’approvazione. Avvalendosi del supporto delle banche, cui venivano presentati documenti anche falsi, e dei consulenti del ministero co-finanziatore che avrebbero dovuto controllare, ma facevano passare tutto. Nelle intercettazioni, in occasione dei collaudi, emergevano le mazzette, gli orologi e i viaggi avuti in cambio. Un migliaio le pratiche andate a buon fine. Non solo sovrafatturazioni. Ma anche imprese fantasma fatte di capannoni vuoti. O truffe alla Totò: un vecchio macchinario per riparare gomme di auto riverniciato e camuffato da quell’apparecchiatura per pannelli solari finanziata. Tra le faccende sbrogliate c’è come portare all’estero i soldi. Ci sono società svizzere che si occupano di questo. Ci si è rivolto un imprenditore calabrese che attraverso una triangolazione aveva trovato una società olandese che gonfiava le fatture di lavori e arredi per il suo hotel molto più modesto di quanto risultasse nelle carte del finanziamento. C’è chi osa di più. Il responsabile dell’area educativa del carcere di Porto Azzurro costringeva i detenuti a lavorare in nero e faceva figurare corsi di formazione mai tenuti: ora rischia di passare dall’altra parte delle sbarre.