Finanziamenti per 130 miliardi. Ma il governo greco sarà sotto stretta sorveglianza. Dopo 12 ore di discussione i 17 ministri dell’eurogruppo hanno dato il via al secondo pacchetto di aiuti ad Atene. Lettera di Roma e Londra a Bruxelles con altri dieci leader. Fuori Berlino e Parigi
BRUXELLES – Ci sono volute 12 ore di discussione (e un’altra per scrivere il lungo e complesso comunicato finale) perchè i 17 ministri delle Finanze dell’Eurogruppo decidessero il varo del secondo pacchetto di aiuti internazionali per sostenere i conti pubblici di Atene. La conferenza stampa è cominciata poco dopo le cinque, con il presidente Jean Claude Juncker che ha augurato il «buongiorno» ai giornalisti, prima di annunciare una decisione che «garantisce il futuro nell’Euro della Grecia». Il nuovo programma prevede aiuti per 130 miliardi e, assieme alle ulteriori rinunce dei creditori privati per un totale di 107 miliardi, farà scendere il rapporto fra debito pubblico e Pil dall’attuale 160% a poco più del 120% nel 2020. I detentori privati di obbligazioni greche, con i quali il premier Lucas Papademos ha trattato «fino all’ultimo», come aveva anticipato prima della riunione il ministro delle Finanze greco Evangelos Venizelos, rinunciano al 53,5% del valore nominale dei loro titoli (oltre il 70% ai valori attuali), consentendo così una riduzione di circa 100 miliardi dell’ammontare complessivo del debito pubblico; mentre anche gli interessi sui prestiti del primo pacchetto di aiuti, 110 miliardi decisi nel 2010, saranno tagliati per agevolare le autorità greche e la Bce rinuncerà ai profitti sui titoli del debito greco acquistati negli ultimi due anni redistribuendoli alle banche centrali nazionali che li gireranno ai rispettivi governi perchè questi possano abbassare gli interessi del primo prestito.
SOTTO SORVEGLIANZA – Atene dovrà sottostare a una sorveglianza «rafforzata», che prevede la presenza permanente della troika e l’inserimento nella Costituzione di una norma sulla priorità dei pagamenti delle scadenze del debito. «È molto importante – ha commentato al termine della riunione il presidente della Bce Mario Draghi – che l’attuazione del programma da parte di Atene sia adeguatamente monitorata». Quanto al ruolo del Fondo monetario, il direttore generale Christine Lagarde ha spiegato nella conferenza stampa che «l’Eurogruppo si aspetta che sia significativo: lo decideremo alla prossima riunione del Consiglio di amministrazione nella seconda settimana di marzo». Lagarde ha ricordato i progressi compiuti durante la riunione di oggi: «alle 14,30 di oggi sembrava che con gli aiuti il rapporto debito/Pil al 2020 non potesse essere inferiore al 129% e siamo scesi al 120,5%, ieri sembrava che il pacchetto dovesse essere ben oltre 130 miliardi e invece siamo a 130».
MONTI: «L’EUROPA FUNZIONA» – «Un bel risultato», lo ha definito il presidente del Consiglio Mario Monti, secondo il quale la decisione della notte scorsa ha dimostrato che «l’Europa è anche in grado di funzionare». La troika, rappresentata nella riunione notturna ai più alti livelli con Draghi, Lagarde e il vicepresidente della Commissione Ue Olli Rehn, assieme ai partner dell’Euro e agli impegni di Atene hanno quindi scongiurato il rischio di fallimento in occasione della prossima scadenza del 20 marzo, quando la Grecia dovrà rimborsare 14,5 miliardi.
PAPADEMOS SODDISFATTO – Il premier greco Lucas Papademos si è detto «molto soddisfatto» del piano di aiuti da 237 miliardi concesso dai partner europei e dai creditori privati. «Siamo molto soddisfatti», ha detto Papademos al termine del lungo negoziato a Bruxelles. Il premier ha quindi ammesso che la piena attuazione dell’accordo raggiunto nella notte dipenderà dalla capacità di Atene di attuare il programma di risanamento economico concordato «per tempo e in maniera efficace». Quindi ha aggiunto: «Sono convinto che il governo che si insedierà dopo le elezioni (di aprile) sarà ugualmente impegnato a rispettare appieno il programma, perchè è nell’interesse del popolo greco».
BRUXELLES – È un colpo di timone che parte da Roma, L’Aia, Londra. E trova il sostegno di altre 9 capitali. Non di Parigi e Berlino. Al culmine della crisi, in quello che senza giri di parole viene definito «un momento pericoloso, con la disoccupazione che sale», 12 leader europei si rivolgono a tutti gli altri: «chiediamo a voi e al Consiglio Europeo di rispondere all’appello dei nostri popoli per le riforme e di aiutare a ristabilire la loro fiducia nella capacità dell’Europa di assicurare una crescita forte e sostenibile». Crescita dunque, non più soltanto rigore finanziario, contro il letargo della recessione. E la crescita ha un nome: apertura dei mercati, un piano anti-crisi in 8 punti per il rafforzamento del mercato interno unico, dall’eliminazione delle «restrizioni anti-competitive» nei servizi, allo sfoltimento delle professioni regolamentate dagli ordini, alla riduzione delle «garanzie implicite per salvare sempre le banche, che distorcono il mercato unico». Perché «le banche, non i contribuenti, dovrebbero essere responsabili per il costo dei rischi che si assumono».
Fra le firme in calce all’appello ci sono quelle di governanti dell’Eurozona, e di altri che non ne fanno parte, di Paesi del Nord e del Sud, in un inedito schieramento trasversale: Italia, Gran Bretagna, Olanda, Estonia, Lettonia, Finlandia, Irlanda, Repubblica Ceca, Slovacchia, Spagna, Svezia e Polonia sono lì, nella lettera inviata al presidente stabile della Ue Herman Van Rompuy e al capo della Commissione Europea José Manuel Barroso, in previsione del vertice Ue fissato per il primo marzo. Poi, quelle vistose assenze: mancano, fra i grandi, Germania e Francia, che a dicembre inviarono una lettera ben diversa allo stesso Van Rompuy. Allora, si trattava di lanciare il fiscal compact , il patto di bilancio voluto da Angela Merkel e basato sulla ricetta dell’austerità: aderirono 26 Paesi su 27, restò fuori la Gran Bretagna. Adesso, la Gran Bretagna c’è: e sottoscrive proposte mai prima accettate, soprattutto sul mercato del lavoro. «Esistono alcuni precedenti di lettere franco-tedesche – avverte il ministro italiano degli Affari Europei Enzo Moavero Milanesi – ora abbiamo un altro gruppo di Paesi che hanno ambizione di contribuire a ispirare il Consiglio Europeo: è importante non viverla né considerarla come contrapposta o in competizione».
Forse ha tenuto lontane Parigi e Berlino l’accento forte sulle liberalizzazioni nei singoli Paesi, e il ruolo di controllore assegnato alla Commissione Europea. O ancora, la critica alle garanzie implicite per le banche, non ben accetta a Berlino. In ogni caso il tono della lettera, i temi trattati, e quell’inedito fronte di nazioni – le rigoriste Olanda e Finlandia, e la ricca Svezia, tutte con rating da “tripla A”, insieme con Spagna o Slovacchia – sembrano disegnare un profilo nuovo del continente.
Il documento nasce da un’iniziativa del britannico David Cameron, dell’italiano Mario Monti e dell’olandese Mark Rutte, in veste di promotori-mediatori, sulla scia di una lettera inviata da Monti al vertice Ue del 30 gennaio. Almeno in parte sembra ispirarsi poi al rapporto Monti sul mercato unico, della primavera 2010. «Insomma, il contributo italiano al testo è stato decisivo», spiega una fonte diplomatica qualificata.
La tesi di fondo: bisogna «modernizzare le nostre economie, costruire una maggiore competitività». Poi, i vari punti: l’apertura del mercato interno dei servizi; la creazione per il 2015 di un mercato unico digitale, e per il 2014 di quello dell’energia; il potenziamento di ricerca e innovazione, l’apertura a mercati globali come l’India; l’alleviamento delle regole Ue sulle piccole e medie imprese. E ancora: l’apertura dei mercati del lavoro a donne e giovani, la riduzione nel numero delle professioni regolamentate con un «nuovo duro test di proporzionalità» da introdurre nelle norme Ue. E la costruzione di un settore dei servizi finanziari «robusto e dinamico». Tutto questo, ancora una volta, perché «abbiamo bisogno di ristabilire fra i cittadini, le imprese e i mercati finanziari la fiducia nella capacità dell’Europa di crescere con forza e di mantenere la sua porzione di prosperità globale».