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Il giorno nero del Carroccio tra veleni e accuse. Bossi: «Vogliono sfasciarci». L’inchiesta, affari sugli immobili: «Le buste consegnate negli uffici regionali»

Nel partito Dichiarazioni di solidarietà, ma c’è anche chi parla di «sistema che verrà fuori». Il sindaco di Treviso Gobbo: dovrebbe dimettersi. Il ruolo dell’architetto mediatore. L’ipotesi di dazioni da un milione di euro

MILANO – La tentazione di «buttarla in politica», nel Carroccio, è quasi irresistibile. Anche se le dichiarazioni riguardo all’indagine che ha coinvolto il presidente del consiglio lombardo, il leghista Davide Boni, hanno gradazioni e colori diversi. Ma c’è anche chi, a mezza bocca, parla di un «sistema» che «un bel giorno dovrà venir fuori». Come dire: ancora non abbiamo visto tutto.

A dare la linea, in ogni caso, è stata una frase di Umberto Bossi che nella Lega si è diffusa di bocca in bocca come una scossa elettrica a partire dal pomeriggio. Una sorta di elettrochoc che non poco ha contribuito nel rianimare il corpo di un movimento che sembrava tramortito dalla sorpresa: «Vogliono distruggerci – avrebbe detto il capo padano -. Usano tutti i mezzi, ma non ci riusciranno. Anzi, la Lega prenderà ancora più voti. Chissenefrega dei giudici… ».

A fornire una versione più articolata (ma anche più limitata) del pensiero bossiano è il capogruppo alla Camera, Giampaolo Dozzo: «Non ci sorprende affatto il comportamento della magistratura. Visto che una settimana dopo la presentazione dell’emendamento sulla responsabilità civile dei magistrati è arrivato un avviso di garanzia al firmatario di quel testo (Gianluca Pini, ndr), non ci sorprende che i magistrati abbiano un occhio di riguardo nei nostri confronti». Insomma, il coinvolgimento padano sarebbe una sorta di ritorsione dei magistrati. Mentre per Bossi, l’azione contro il Carroccio sarebbe su un piano più alto: «Colpire chi è fuori dal coro». L’interpretazione, insomma, dell’eurodeputato Matteo Salvini: «Non sono un complottista, ma posso dire che è sicuramente una coincidenza strana che si stia montando tutto un sistema intorno alla Lega, che è rimasta l’unica forza politica d’opposizione, anche mediaticamente parlando».

Insomma, sarebbe l’accerchiamento di una Lega che darebbe fastidio nel suo ruolo di intransigente opposizione. Un’autoassoluzione che, tuttavia, non convince tutti, neppure all’interno del partito. C’è chi butta lì un «ce l’aspettavamo». C’è chi fa allusivamente notare le espressioni fatte filtrare da palazzo di giustizia su un presunto «sistema Lega» finalizzato a «rastrellare» profitti. In realtà, le «esigenze di partito» di cui parlano le fonti giudiziarie, non sarebbero attribuibile a via Bellerio, il quartier generale della Lega, che infatti ha smentito tramite il tesoriere Francesco Belsito, sia pure in una formulazione un po’ zoppicante: «Assicuro che siamo estranei a fatti dove si fa riferimento a ipotetici versamenti presso la cassa del partito e che si tratta quindi di insinuazioni infondate e lesive nei confronti del nostro Movimento». No, il «sistema» riguarderebbe soltanto alcuni dirigenti in grado di chiedere o addirittura imporre certi comportamenti. Con la garanzia dell’anonimato, c’è chi la racconta così: «L’essere indicati per certe posizioni, soprattutto di sottogoverno, prevede la gratitudine nei confronti di chi ha contribuito all’indicazione».

Ma la vicenda, una volta di più, mette in luce l’esistenza di due leghe. C’è il Carroccio dei militanti, della base, che non si capacita di quanto è accaduto a «Davide», una figura a Milano assai conosciuta e anche assai stimata. E che appare tramortita dal fatto che per la prima volta a un esponente di tale livello sia affiancata la parola «tangenti»: sulla pagina Facebook dell’esponente leghista e sulle altre pagine vicine al movimento in poche ore sono fioccate centinaia e centinaia di adesioni.

Poi, ci sono i piani medi e alti del movimento. In cui la tentazione di utilizzare la vicenda nell’eterna battaglia tra «barbari sognanti» e bossiani. Difficile, per esempio, non notare che un bossiano di ferro come il sindaco di Treviso Gian Paolo Gobbo sia piuttosto tiepido nella sua difesa del compagno di partito: «Sarà lui a decidere cosa fare. Ma se io fossi in lui mi dimetterei da presidente oggi stesso, anche per essere più libero nella difesa». Né si possono ignorare la soddisfazione e le ironie di alcuni esponenti legati al «cerchio magico» bossiano sulla «Lega degli onesti». In realtà, nella geografia del partito, Davide Boni nasce come uomo di Roberto Calderoli, anche se in periodi più recenti era stato dato come in avvicinamento all’ex ministro dell’Interno. Ad ogni modo, Boni ha concluso la giornata con un tweet: «Vi ringrazio tutti, appena posso vi rispondo ad uno ad uno in posta, buona serata, io non mi arrendo have a nice evening…». E la Padania ? Il quotidiano del partito oggi in edicola dedica alla vicenda soltanto un breve articolo nelle pagine interne basato sull’autodifesa di Boni che asserisce la sua «totale estraneità» ai fatti contestati.

MILANO – Tra verbali segretati e interrogatori zeppi di omissis , l’unica cosa che al momento si capisce è che sarà un processo di parole a dire se abbiano ragione il procuratore aggiunto Alfredo Robledo e il pm Paolo Filippini a ritenere – come scrivono nel decreto di perquisizione – già «pieno il coinvolgimento degli indagati Davide Boni e Dario Ghezzi nella gestione degli affari illeciti e nella spartizione delle tangenti che Michele Ugliola e Gilberto Leuci hanno concordato con gli imprenditori, tra cui Francesco Monastero e Luigi Zunino, su alcune aree di Milano e di comuni limitrofi affinché gli amministratori locali, destinatari di parte degli illeciti profitti, favorissero con atti contrari ai doveri d’ufficio gli interessi immobiliari e commerciali degli imprenditori».

Del resto, che cosa al momento regga l’idea di «accordi corruttivi la cui esecuzione si ritiene tuttora in essere, stante l’attualità della realizzazione dei progetti immobiliari nonché la prosecuzione dei contatti tra alcuni degli indagati», e che cosa fondi la convinzione che Boni e il suo capo della segreteria Dario Ghezzi addirittura abbiano «utilizzato gli uffici pubblici della Regione Lombardia come luogo di incontro per concludere gli accordi corruttivi e per la consegna dei soldi richiesti agli imprenditori» (allo stato stimati in circa 300.000 euro in contanti), lo si intuisce già dal tipo di indizi che la Procura ieri ha indicato come motivo delle perquisizioni affidate alla Guardia di Finanza milanese: tre interrogatori nel 2011 dell’architetto Ugliola (arrestato l’anno scorso per tangenti urbanistiche a Cassano d’Adda), incrociati con quelli del cognato Leuci, degli ex sindaco e ex assessore di Cassano, Edoardo Sala e Marco Paoletti, e indirettamente riscontrati per i pm da tre intercettazioni di Paoletti e due dell’imprenditore veneto Monastero.

Proprio qui sta una particolarità che si riesce a scorgere già dalle perquisizioni di ieri. Infatti, accanto alle deposizioni di Ugliola-Leuci-Paoletti-Sala, rilevanza è attribuita ad alcune intercettazioni curiose, forse quasi quanto il contenuto ancora non noto, per la loro data: una dell’allora leghista consigliere provinciale Marco Paoletti l’1 ottobre 2010, all’indomani del suo interrogatorio del 30 settembre, e due il 21 ottobre, stesso giorno dell’altro suo interrogatorio.

Tutta l’inchiesta sconta peraltro una zavorra di fondo, e cioè il fatto di essersi dovuta svolgere forzatamente sotto gli occhi dei potenziali indagati. Già l’estate scorsa, infatti, il tam tam della politica regionale accreditava che Ugliola – arrestato nella primavera 2011 per una tangente urbanistica di 500.000 euro nel Comune di Cassano d’Adda insieme all’ex sindaco Edoardo Sala – stesse orientandosi a focalizzare, con le proprie dichiarazioni coperte allora come oggi da segretazione, il ruolo di Boni e Ghezzi. Poi i rumors in Regione si erano via via fatti più forti, al punto che poche settimane fa Boni aveva presentato in Procura (come la legge consente a chiunque) una formale richiesta per sapere se fosse iscritto nel registro degli indagati. I termini per la risposta scadevano in Procura in queste ore, e così si spiega la definitiva emersione dell’indagine ieri.

Altro elemento di complicazione è la controversa figura del protagonista di questa vicenda, e cioè del mediatore di tangenti Michele Ugliola. L’architetto era stato già indagato nel 1996 quando aveva patteggiato 1 anno di pena per una tangente a un allora assessore all’Urbanistica di Bresso divenuto poi consigliere comunale a Milano: il politico, Giovanni Terzi, fu però in parte prescritto e in parte assolto in Appello (per la stessa tangente ammessa da Ugliola) da una sentenza che giudicò «vago, generico e per nulla circostanziato» il contributo di Ugliola, e giunse a ironizzare, «con riferimento al suo modo di esprimersi», sull’«ugliolese, neologismo sintomatico di particolare ambiguità espressiva». Arrestato l’anno scorso per tangenti a Cassano d’Adda, Ugliola è stato indagato a Milano nei mesi scorsi anche per l’ipotesi di false fatturazioni con lo scomparso industriale delle bonifiche ambientali Giuseppe Grossi e con l’immobiliarista Luigi Zunino in relazione all’ex area Falck a Sesto San Giovanni (non a caso alcuni atti milanesi sono stati inviati alla Procura di Monza).

Dai pochi atti, tuttavia, si comprende anche che la Procura, seppure ritenga molto attendibile Ugliola anche nella parte in cui si descrive come un terminale della Lega per i rapporti con un certo giro di imprenditori nel settore dei centri commerciali e dell’urbanistica, non si basa solo sulle sue dichiarazioni, ma valorizza (oltre al riscontro di alcuni incontri e pranzi tra i vari protagonisti) anche le parole di un leghista. O, più precisamente, di un ex leghista, espulso di recente a causa del suo coinvolgimento nell’inchiesta di Cassano d’Adda: l’ex assessore comunale al Bilancio e poi consigliere della Provincia di Milano (oggi appunto fuoriuscito nel gruppo misto) Marco Paoletti. Il quale avrebbe dato conferme alle parole di Ugliola sia su singoli episodi specifici, come i 20.000 euro che ha ammesso di aver ricevuto dall’architetto nella spartizione a più tasche di una tangente edilizia a Cassano; sia sul contesto generale del ruolo di Ugliola, il quale – a nome dei suoi referenti politici leghisti o millantandoli, secondo le due possibili interpretazioni – avrebbe finito con lo stringere a parole accordi con i vari imprenditori per oltre un milione di futuribili tangenti.

L. Fer. , G. Gua. e Marco Cremonesi

Il giorno nero del Carroccio tra veleni e accuse. Bossi: «Vogliono sfasciarci». L’inchiesta, affari sugli immobili: «Le buste consegnate negli uffici regionali»ultima modifica: 2012-03-07T11:40:15+01:00da
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