USA, LE PRIMARIE REPUBBLICANE. Finisce 6 a 3 con Santorum. Vittoria all’ultimo voto nel decisivo Ohio. Gingrich conquista la Georgia
BOSTON (Massachusetts) – Puntava a un successo netto e invece, pur avendo conquistato dopo un testa a testa incertissimo, l’Ohio, la preda più ambita, si è dovuto accontentare di una mezza vittoria. Nella notte del Supermartedì delle primarie repubblicane, Mitt Romney ha conquistato Massachusetts, Vermont, Virginia e Idaho, oltre all’Ohio, mentre a Rick Santorum sono andati Tennessee, Oklahoma e North Dakota. Nell’ultimo dei dieci stati in cui si votava, l’Alaska, ha avuto la meglio sempre Romney. Paradossalmente, vittoria in Ohio a parte, per Romney la notizia più positiva è venuta dalla Georgia dove ha vinto con ampio margine Newt Gingrich: questo significa che l’ex speaker della Camera resterà in gara, pur non avendo più alcuna possibilità di ottenere la “nomination”. In questo modo continuerà a sottrarre a Santorum una parte del voto della destra religiosa, quella che fin qui si è rispecchiata nei due leader conservatori e che non ama per nulla l’esponente mormone.
L’altro dato positivo, per l’ex governatore del Massachusetts, viene dalla contabilità dei delegati, che lo vede, sempre più, in netto vantaggio sugli altri contendenti alla “nomination” repubblicana. Ma qui siamo ancora lontanissimi dalla meta. Anche dopo il “Supertuesday”, sono stati assegnati appena un terzo dei delegati: gli Stati più grossi – California, Texas, New York – voteranno, infatti, solo a primavera inoltrata. Romney chiude la prima fase delle primarie – quella nella quale hanno votato quasi la metà degli Stati, 23 per l’esattezza – con circa 350 delegati contro i circa 130 di Santorum, mentre Gingrich è intorno a quota 110 e Ron Paul a 64. Tutti lontanissimi dai 1144 necessari per assicurarsi la “nomination” alla convezione repubblicana di Tampa, a fine agosto. Ma mentre Romney, adottando una strategia che è più da contabile che da leader politico, può ancora centrare quota 1144, quell’obiettivo sembra ormai fuori dalla portata di Santorum. Eppure ieri sera il raduno dei sostenitori di Romney a Copley Plaza, a Boston, non ha avuto certo i toni di una festa della vittoria. L’ex governatore è parso sollevato più dal fatto di essere finalmente tornato a casa dopo due mesi, che dall’esito della contesa elettorale. «Stasera abbiamo sentito un grande discorso di Romney, un intervento molto energico», ha commentato subito dopo con sarcasmo lo stratega repubblicano Alex Castellanos. Solo che a pronunciarlo non è stato Mitt ma Ann (la moglie che ha parlato prima del leader, ndr). Santorum, invece, ha celebrato con enorme orgoglio i suoi successi: ha vinto in tre Stati e ha tenuto testa a Romney anche negli altri, pur avendo speso per la pubblicità e l’organizzazione della campagna elettorale un decimo di Romney. Che nel voto popolare ha visto emergere nuovi segni di “fatica”: in Virginia ha vinto perché Santorum e Gingrich hanno sbagliato le procedure d’iscrizione e sono rimasti fuori dalla contesa. Ma il 42 per cento conquistato dall’unico avversario rimasto, il libertario Ron Paul, ha tutto il sapore di un voto di protesta di una parte dell’elettorato repubblicano nei confronti di un battistrada che continua a piacere poco.
Bruciante la sconfitta di Romney anche in Tennessee: uno Stato conservatore che, però, con città moderne come Memphis e Nashville, non appartiene alla “Buble belt” del profondo Sud e che, quindi, non era per definizione una riserva di caccia della destra cristiana. Oltretutto, in attesa del voto dei grandi Stati della costa atlantica e di quella del Pacifico che arriverà solo a partire da fine aprile, nelle prossime settimane andranno alle urne altri Stati del Sud relativamente piccoli: dall’Alabama al Mississippi, passando per Louisiana e Kansas (quest’ultimo al centro dell’America): territori nei quali Romney non è di certo il candidato più popolare. Ma per lui è venuto il momento della fredda aritmetica elettorale: primaria dopo primaria i suoi strateghi devono puntare a mettere insieme pacchetti di delegati significativi anche negli Stati più ostici, pur accettando la sconfitta. Voti congressuali per arrivare al “quorum” dei 1144 rappresentanti alla “convention”, quando verranno assegnate le centinaia di delegati degli Stati più avanzati – dalla California a New York – che presumibilmente andranno in blocco a Romney. Un sano utilitarismo che, però, rischia di aggiungere ulteriore freddezza all’immagine di un candidato che già non riesce a “scaldare i cuori”. Altro fieno in cascina per Barack Obama.
Massimo Gaggi