La rete. Dopo la sperimentazione, arriva oggi il nuovo protocollo Ipv6. Si passa al «web degli oggetti»

LOS ANGELES — Alle 2 e un minuto, mentre dormivamo, Internet ha risolto il proprio dilemma esistenziale, non molto dissimile da quello degli uomini: più spazio. E, dunque, più vita. Dopo le sperimentazioni e gli allarmi di un anno fa, oggi i principali Internet provider e gli Over the top come Google, Youtube, Facebook, Bing e Yahoo, hanno acceso ufficialmente l’Ipv6, il nuovo protocollo che prenderà il posto di quello attuale, l’Ipv4. Primo messaggio: nessun timore. Ci sarà tempo per preoccuparsene prima di diventare digitalmente obsoleti. Semplificando un po’, il necessario, potremmo dire che i vecchi siti continueranno a girare sul protocollo che accompagna la rete fin dai primi esperimenti dei due padri fondatori: Vincent Cerf e Robert Khan. Tra il 1973 e il ’78 i due inventori di quella che oggi è entrata nella nostra vita fino a diventare una commodity per una parte del mondo, e motivo di ritardo per l’altra, pensarono l’Ip, l’esperanto della comunicazione digitale. I 4,3 miliardi di indirizzi sembravano allora impossibili da occupare integralmente. Ma nell’era delle moltiplicazioni delle connessioni — guidate dalla diffusione di sempre più device mobili che stanno aumentando il nostro percepito del reale anche lontani da una scrivania — quel numero è stato sostanzialmente raggiunto.
L’Ipv6, studiato da una task force di cui fa parte lo stesso Cerf, oggi chief evangelist di Google, permette di avere trilioni di combinazioni. Per l’esattezza sono 340 seguito da 36 zeri. Lo ha spiegato in parole semplici lo stesso Cerf in un hangout in Rete: come i vecchi telefoni richiedono un numero da comporre per ricevere la chiamata anche i device hanno bisogno di un numero di riconoscimento per collegarsi al network globale. Già oggi esistono circa 4 miliardi di device che condividono l’Ip e, dunque, è stato sostanzialmente raggiunto il limite massimo. «Non potremo più aggiungere online una nuova persona» aveva lanciato l’allarme Cerf durante una campagna di sensibilizzazione nel 2010 partita dalla Casa Bianca.
In realtà, persone online a parte (gli Internet users nel 2016 dovrebbero essere 5 miliardi secondo le stime), la disponibilità di un numero infinito di Ip apre le porte al sempre meno futuribile Internet degli oggetti. Oggi è un po’ la loro vittoria: l’Ipv6 permetterà di dare un numero di collegamento al network mondiale agli oggetti che usciranno dalle fabbriche con la capacità di connettersi. Computer e tablet, certo, ma anche lavatrici, frullatori, automobili, occhiali per la realtà aumentata e qualunque altro prodotto che così avrà un po’ di vita. Il passaggio sarà molto graduale: l’obiettivo per giugno è trascinare l’1% della rete sul nuovo Internet. Nel frattempo, una provvidenziale idea chiamata dual stack ci salverà: i sistemi dovrebbero poter funzionare in parallelo sui due protocolli.