SCOSSA DI TERREMOTO AD AREZZO. Nessun danno secondo le prime stime. Il sisma con epicentro sotto il Pratomagno non sarebbe collegato a quello in Emilia. SCOSSE SISMICHE. In aumento dalle Alpi alla Calabria, al Gargano e al Belice le rilevazioni oltre il secondo grado della scala Richter

AREZZO – Il terremoto, una scossa di magnitudo 3.7 della scala Richter, stavolta ha colpito il centro Italia, il Casentino colline e montagne in provincia di Arezzo, uno dei paesaggi più belli della Toscana del Sud con moltissime testimonianze medievali, castelli e monasteri. La terra ha tremato lunedì’ alle 11,48 ma per fortuna la frattura si è registrata a una profondità di 70 chilometri (profondità intermedia) e dunque non ha avuto gravi conseguenze in superficie.
EPICENTRO – L’epicentro, secondo i dati dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, è stato localizzato nel massiccio montuoso del Pratomagno, in quella fascia dei comuni che abbraccia Poppi, Bibbiena, Stia e Pratovecchio.
NESSUN DANNO – Secondo le prime informazioni della sala operativa di protezione civile della Provincia di Firenze, non si registrerebbero danni o segnalazioni di particolari criticità. Sono in corso comunque accertamenti per verificare l’esatto impatto del sisma che, dicono gli esperti, non avrebbe nessun collegamento con i terremoti avvenuti in Emilia.
L’ITALIA CHE TREMA – La Penisola continua a tremare, un po’ dovunque e come sempre. Nel Bellunese ieri un sisma di 4.5 gradi della scala Richter ha destato solo paura e niente danni. Poche le repliche e di basso valore. «Come Ravenna nei giorni scorsi anche questo – nota Franco Mele dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia Ingv – non si può collegare con l’area emiliana, pur avendo alla base la stessa causa scatenante, cioè la compressione esercitata verso Nord della placca africana che ha la sua lingua superiore nell’Adriatico». Nel Bellunese si ricordano un paio di sismi del passato di analoga intensità. Nel 1936 (5.9 Richter) con epicentro nell’Altopiano del Cansiglio ad una ventina di chilometri dal punto attuale. I danni furono rilevanti nell’Alpago, quasi il 70% delle case diventarono inabitabili. Ancora più grave doveva essere stato quello del 1873 (magnitudo 6.3) il quale oltre a distruggere le case provocava pure delle vittime.
PIÙ AL NORD – «Solo nelle ultime 24 ore – ricorda Mele – abbiamo registrato un centinaio di terremoti, tenendo conto anche di quelli più deboli». Oltre la metà degli eventi si è manifestata nella Pianura Padana emiliana e lombarda che rimane sempre il focolaio più acceso. Tuttavia negli ultimi 2-3 giorni scosse oltre il secondo grado della scala Richter si sono fatte sentire un po’ dovunque, da Nord a Sud, con qualche epicentro più frequente di altri: tra questi c’è l’area calabra del Pollino intorno a Castrovillari. Qui dal 1708 al 1988 si sono verificati sei terremoti con una magnitudo intorno a cinque gradi. «Nella zona c’è una faglia – spiega Mele – che spesso fa emergere lunghe sequenze di relativa intensità». Parte della Calabria è priva di grandi terremoti storici e questo «gap sismico», come lo chiamano gli specialisti, inquieta e si infittiscono gli studi dedicati alla regione. I processi stanno accumulando energia, prima o poi la scaricherà?
L’elenco delle ultime località interessate è lungo. Dalla tristemente nota Valle del Belice alla Sila, dal Golfo di Noto, ad Ascoli Piceno, dal Sannio al Gran Sasso alle Isole Lipari e poi la costa abruzzese e calabra. «Dopo il terremoto dell’Aquila abbiamo ulteriormente intensificato la rete delle stazioni di rilevamento aggiungendone sugli Appennini e nell’Alta Val Tiberina – precisa Mele -. Complessivamente a livello nazionale arriviamo a cogliere 12 mila terremoti all’anno anche se quelli superiori ai due gradi della scala Richter sono soltanto circa seicento. Quest’anno saranno sicuramente di più».
IL RUOLO DEI COMUNI – La cognizione del rischio in Val Padana si è individuata diventando via via più consistente, a partire dagli anni Quaranta quando iniziarono le indagini per cercare i giacimenti di gas e petrolio. Ne uscirono profili del sottosuolo preziosi per capirne la natura ed anche il potenziale pericolo. «Furono ricerche importanti di cui conosciamo però soltanto una parte dei risultati – ricorda Mele – perché molte sono rimaste segrete e ancora chiuse nei cassetti dell’Eni». Una continuazione utile la aggiunsero negli anni Ottanta altri ricercatori dell’Ingv, come Gianluca Valensize. «Negli ultimi giorni si è richiamata più volte la necessità di aggiornare la mappa nazionale del pericolo sismico – conclude Franco Mele -, ma si dimentica che questa costituisce solo un riferimento di base avvalorato anche dai recenti sismi, e che poi sono le amministrazioni locali ad avere il compito di integrarla nei dettagli».