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«Ora serve un’Europa più forte Italia, progressi sui conti pubblici»

Intervista a jens weidmann (bundesbank): a Roma avviate scelte importanti

FRANCOFORTE – Sufficienti i 100 miliardi per salvare la Spagna? «Per quanto sappiamo oggi, l’ammontare discusso sembra contenere un margine di sicurezza sufficiente», sostiene il presidente della Bundesbank Jens Weidmann, 44 anni, giudicando «importante, la decisione del governo spagnolo, perché riduce l’incertezza sulla solvibilità delle banche spagnole e contribuisce alla stabilizzazione dei mercati finanziari». Parlando con il Corriere (e con i quotidiani El País , Kathimerini e Público ), l’ex consigliere economico di Angel Merkel, il capo della potente banca centrale tedesca ha «fiducia» nelle valutazioni in corso da parte dei revisori esterni sulle banche iberiche. E inoltre, prosegue, «apprezzo il fatto che il governo spagnolo non speri più in un aiuto finanziario senza la necessaria politica di condizionalità. Perché quest’ultima dovrebbe essere un elemento chiave di ogni aiuto finanziario».

Alcuni economisti sostengono che dopo la Spagna c’è l’Italia e per questo c’è soddisfazione per la richiesta di aiuto di Madrid, perché bisognava fermare il contagio.
«Non credo nella teoria del prossimo in fila (fra i candidati al contagio, ndr ). Ogni Paese è diverso dagli altri e riguardo ai dati italiani, ci sono differenze molto significative, come per esempio il fatto che l’Italia è vicina all’avanzo primario di bilancio (prima di pagare gli interessi, ndr ). E sono scettico sul fatto di fissarsi sulle elezioni greche come fossero l’unica questione sul tappeto. Anche se determina il modo in cui l’Unione Europea si occupa di un Paese che non riesce ad accettare i suoi impegni».

È soddisfatto di come l’Italia sta attuando le riforme?
«Il premier Mario Monti negli ultimi mesi si è impegnato in riforme importanti. Ora si tratta di implementarle, ed è un processo che prende tempo prima che dia i suoi frutti».

Se la Grecia non rispettasse gli accordi, sarebbe obbligata a uscire dall’euro?
«Il mancato rispetto degli accordi conduce all’interruzione dei finanziamenti. E questo può avere ripercussioni sulle sue possibilità di rimanere nell’euro».

Ma non è a rischio tutto l’euro?
«È anche andata persa la fiducia nel funzionamento dell’unione monetaria. E questo ci riporta indietro nel dibattito se vogliamo rientrare nel quadro normativo di Maastricht, basato sulla responsabilità individuale di ogni Paese per la politica fiscale nazionale. Oppure se vogliamo compiere un “balzo in avanti” riguardo a una maggiore integrazione. Perché non possiamo dire, da un lato, che ci fondiamo sulle politiche fiscali nazionali, e, dall’altro lato, mettere progressivamente in comune i rischi senza controllo, minando con questo il quadro legale esistente. Alla fine è sempre una questione di equilibrio fra il debito comune e il controllo».

I problemi fra Germania e Francia mettono a rischio l’euro?
«Aspettiamo che si sia dissipato il “rumore” elettorale. E poi vedremo come funzionerà la collaborazione. Secondo me bisogna essere realistici riguardo alle soluzioni. E distoglie l’attenzione se si parla soltanto di eurobond (l’emissione di debito comune in Europa, ndr ) senza parlare anche di un controllo centralizzato. Il governo tedesco sta spingendo per un’unione fiscale, un sistema comune di politiche di bilancio, cercando di trovare una soluzione. E apprezzerei molto se il presidente Hollande aprisse il dibattito e discutesse sia del debito comune, sia di cessioni di sovranità e della via comune verso questa nuova unione politica. Ma chiedere soltanto gli eurobond non ci porta da nessuna parte».

E i tedeschi l’accetterebbero?
«Stando all’ultimo sondaggio, il 58% dei tedeschi sarebbe più propenso di altri Paesi ad adottare un’integrazione politica maggiore. In altri Paesi, questo giudizio è più negativo, specialmente in quelli che richiedono con maggiore forza una mutualizzazione dei rischi e del debito, come Francia, Italia, o Spagna».

I tedeschi preferirebbero tornare al marco?
«No, la popolazione sostiene chiaramente una moneta comune stabile».

Come valuta l’enfasi del presidente Obama per spronare la crescita in Europa?
«Dobbiamo riconoscere che la recessione attuale in molti Paesi è il risultato di una mancanza di fiducia nelle finanze pubbliche, unita a un’erosione della loro competitività. Non c’è un’uscita facile, a meno che non si combatta le cause di questi problemi. E senz’altro la soluzione non consiste nell’aumentare il debito pubblico attraverso nuovi stimoli fiscali».

Tuttavia le previsioni stanno peggiorando.
«Stiamo già cominciando a vedere alcuni effetti delle riforme attuate – in costi unitari del lavoro, in competitività, in aumento delle esportazioni. Non metterei in pericolo tutto ciò, deviando ora da questa strada e mettendo a rischio la fiducia nella svolta politico-economica necessaria da tempo».

Ma da più parti si chiede l’intervento della Bce. Perché non può diventare il prestatore di ultima istanza ai Paesi?
«La Bce ha fatto molto per prevenire un peggioramento della situazione. Ha tagliato i tassi di interesse. Continua a dare liquidità quasi illimitata a condizioni molto generose e ha deciso diverse misure straordinarie. Così facendo ha esteso il suo mandato in modo considerevole. Se agisse da prestatore di ultima istanza per i governi, ridistribuirebbe i rischi di solvibilità fra i contribuenti nazionali – senza avere una legittimazione democratica – cosa severamente proibita dai trattati della Ue».

Accetterebbe, se necessario, di spezzare un tabù, tagliando i tassi di interesse sotto l’1%?
«Avete visto che abbiamo pochissimi tabù nell’eurosistema. Ma, di nuovo, non ci impegniamo in anticipo. L’instabilità dei mercati finanziari deriva dall’incertezza politica sull’esecuzione dei programmi (di riforma) in Grecia, sul futuro dell’unione monetaria in senso più generale. E non si può risolvere tutto ciò con un taglio dei tassi».

A proposito di unione bancaria: è soddisfatto della proposta della Commissione sulle ristrutturazioni bancarie?
«Apprezzo la proposta sulle ristrutturazioni bancarie della Commissione, la quale tuttavia ha ancora bisogno di un ampio dibattito, perché è molto tecnica e complicata. Ma a parte questo, ci sono sul tappeto i temi di una regolamentazione e di una vigilanza comune. E ci sono due elementi che implicano debiti in comune: uno schema di garanzia dei depositi e un fondo comune di ristrutturazione delle banche. Sono aree nelle quali attualmente vige una responsabilità di bilancio nazionale. Se metteremo in comune i debiti in queste aree, affronteremo le stesse questioni relative al debito e al controllo nell’unione fiscale».

Ma anche i banchieri centrali sostengono una vigilanza comune.
«Sono d’accordo sul fatto che i legami fra i governi e le banche dovrebbero essere spezzati con un’unione bancaria. Tuttavia non è una questione che si risolva in fretta, poiché richiede notevoli modifiche legali simili a quelle di un’unione fiscale, perché si assumono considerevoli passività congiunte. E questo interferirebbe notevolmente con la sovranità nazionale e i diritti dei parlamenti nazionali. Nessuno garantirebbe depositi per 11 mila miliardi di euro senza essere sicuro che c’è un controllo centrale efficace».

Ma la Germania non può essere isolata dal resto dell’eurozona.
«Ci accolliamo l’onere maggiore dei pacchetti di salvataggio, che beneficiano del rating di tripla A della Germania. Quest’ultima è l’ancora di stabilità senza la quale non funzionerebbero. E si presume anche che sia responsabilità di Berlino continuare a sostenerli. Quindi è troppo facile dire che la Germania dice sempre di “no”; ed è ingiusto sostenere che non ha un ruolo costruttivo».

Marika de Feo

«Ora serve un’Europa più forte Italia, progressi sui conti pubblici»ultima modifica: 2012-06-15T15:54:03+02:00da
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