La sfida impossibile. I tedeschi cercano la semifinale sotto gli occhi della Cancelliera in un incrocio di calcio, economia e politica. La Germania multiculturale strafavorita. Löw: «Avremo l’istinto dei killer» Progetto arcobaleno Dopo il fallimento a Euro 2004, avviato un processo di rinnovamento e integrazione razziale
GERMANIA-GRECIA 4-2
39′ Lahm (Ge), 55′ Samaras (Gr), 61′ Khedira (e), 68′ Klose (Ge), 74′ Reus (Ge), 89′ rig Salpingidis (Gr)
DANZICA – Germania-Grecia, il calcio fa gli scherzi e propone questo incrocio tra le due nazioni più distanti d’Europa, almeno economicamente parlando. Una che dice sì e/o no (più no) e che determina i destini di molti Paesi (tra cui il nostro) con i suoi diktat, anche quello di sveltire il vertice di Roma perché oggi l’arbitro fischierà sotto la pioggia alle 20.45 e frau Merkel non può mancare. L’altra che mantiene un precario equilibrio sull’abisso, i conti in rosso, con il nuovo premier Antonis Samaras che non sa se venire fin quassù a beccarsi la sua razione d’acqua baltica. Siccome la Grecia non ha mai battuto i tedeschi, potrebbe diventare il primo a benedire l’impresa, il che gli gioverebbe, o l’ultimo (in ordine di tempo) a timbrare una tradizione negativa e questo non gli servirebbe. In questi tempi così farraginosi, meglio il coraggio o la distanza?
In ogni caso tutti sono convinti, i tedeschi innanzitutto, che sarà una partita sulle orme della storia, come le differenze calcistiche tra le due scuole impongono. Tedeschi all’attacco, greci al catenaccio. Tutte le questioni vertono su questo, sul gol da trovare, sui rigori da evitare.
Come liberarci di questi difensivisti a oltranza e proseguire il nostro cammino? È la domanda a cui Joachim Löw, allenatore con uno stile inimitabile (indossa un maglioncino delizioso, color carta da zucchero), risponde sperando che i suoi giocatori «abbiano l’istinto del killer», perché i greci «hanno giocato bene fino a questo momento. Sono molto motivati e quindi sarà una partita difficile, loro si difenderanno e partiranno al contrattacco. Sono artisti nell’arte di sopravvivere. Bisogna adattarsi e non sottostimarli. È un errore che non faremo».
La Germania offre sempre quest’idea di spietatezza, soprattutto con chi tedesco non è. E in questo Angela Merkel ha contribuito molto con le sue prese di posizione, più o meno recenti. Nell’ottobre del 2010, alla giornata dei giovani del suo partito, annunciò il fallimento del «multiculturalismo»: «La Germania non ha mano d’opera qualificata e non può fare a meno degli immigrati, ma questi si devono integrare e devono adottare la cultura e i valori tedeschi».
Le hanno dedicato un film («Almanya-La mia famiglia va in Germania» di Yasemin Samdere) per smentirla, ma soprattutto a scrivere la storia al contrario è proprio il calcio. Dopo il fallimento degli Europei del 2004 (fuori al primo turno), è stato avviato il progetto «calcio-arcobaleno» che si è manifestato in tutta la sua prepotenza in Sudafrica, nel 2010, con una squadra giovane e brillante, dove i giocatori provenienti da diverse culture, e percorrendo vie di integrazione diverse, contribuirono a un’avventura inattesa. Sul suo cammino, con un gioco spesso esplosivo, la Germania liquidò l’Inghilterra di Capello (4-1) e l’Argentina di Maradona (4-0), arrivando terza.
Del gruppo storico ritroviamo i polacchi Lukas Podolski e Miro Klose, il turco Mesut Özil, il tunisino (per parte di padre) Sami Khedira, il ghanese (per parte di padre) Jerome Boateng. A loro si è aggiunto Ilkay Gundogan, 21 anni, turco di Gelsenkirchen come Özil, pilastro del Borussia Dortmund di Jürgen Klopp, da tenere a mente per il futuro. Insomma il multiculturalismo, nel calcio tedesco, ha fatto la differenza. E oggi cerca l’ennesima conferma.