Spending review – i tagli del governo. Lo statale da garantito in tutto e per tutto diventerà un po’ più simile ad un lavoratore del privato. A casa il 10% dei ministeriali. Tagli per 5 miliardi nel biennio 2012-2014, ridotti 18mila posti letto. Verso una riorganizzazione della rete ospedaliera
ROMA – C’è una buona notizia per i dipendenti pubblici: non saranno più obbligati ad andare in vacanza nella settimana di Ferragosto e in quella tra Natale e Capodanno. Le «ferie coatte», previste nella prima bozza del decreto sulla spending review, sono state cancellate nell’ultima versione discussa giovedì sera. E c’è anche il sostanziale rinvio della riforma Fornero delle pensioni. Ma le buone notizie, per gli statali, finiscono qui. Quelle settanta pagine intaccano due principi finora inviolabili per i travet di casa nostra: il posto fisso e lo stipendio fisso. In modo parziale, certo. Ma la sostanza è che il ministeriale potrà essere messo in mobilità obbligatoria, prendere l’80% dello stipendio base (molto più basso di quello che porta a casa ogni mese) e anche essere licenziato. Da garantito in tutto e per tutto diventerà un po’ più simile ad un lavoratore del settore privato.
Cosa succederà esattamente? Entro la fine di ottobre sarà tagliata la pianta organica dei ministeri e degli enti pubblici non economici. La riduzione complessiva sarà del 20% per i dirigenti e del 10% per tutti gli altri dipendenti ma con livelli diversi a seconda delle singole amministrazioni. L’obiettivo è riequilibrare un esercito con troppi generali e pochi soldati semplici, e far scendere i 3 milioni e 250 mila dipendenti pubblici italiani sotto la soglia psicologica dei 3 milioni. Per rispettare il taglio della pianta organica ogni amministrazione avrà due strumenti a disposizione: i prepensionamenti e la mobilità. Per i prepensionamenti si partirà dai lavoratori che entro il 2014 matureranno i requisiti fissati prima della riforma Fornero. Così entro la fine di quest’anno dovrebbero andar via 6/7 mila persone. E forse anche di più visto che, tra freni al turn over e blocco dei concorsi, i dipendenti pubblici italiani sono piuttosto anziani: età media 48 anni, solo il 9% ne ha meno di 35.
Il secondo strumento è la mobilità, con un percorso simile allo stato di crisi per le aziende private. E qui il colpo è più duro. Prima di tutto perché arriva subito la riduzione dello stipendio, l’80% della busta paga base senza straordinari e indennità. È vero che un recente studio della Banca d’Italia ha dimostrato che i dipendenti pubblici guadagnano in media più di quelli privati: del 14% per le donne, del 4% per gli uomini. Ma il taglio della voce «netto a pagare» è per lo statale una novità assoluta. Non l’unica per chi andrà in mobilità visto che dopo due anni potrà arrivare anche il licenziamento. Ipotesi che potrà scattare solo se nel frattempo non avrà trovato un altro posto, è vero. Ma con il dimagrimento imposto al settore e il cattivo andamento generale dell’economia saranno in pochissimi a poter usare questo salvagente.
Il nodo della discussione in consiglio dei ministri ha riguardato l’estensione dei tagli delle piante organiche alle Regioni e agli enti locali. La proposta del ministro Filippo Patroni Griffi era di rendere questa riduzione facoltativa offrendo in cambio un incentivo non da poco, e cioè l’utilizzo dei prepensionamenti e della mobilità. Ma il ministero dell’Economia ha pensato un meccanismo diverso, che parte dal cosiddetto «parametro di virtuosità», un indicatore che tiene conto dalla media del personale rispetto alla popolazione. Gli enti locali che superano del 20% questa soglia avranno il blocco delle assunzioni. Quelli che la sforano del 40% dovranno applicare lo stesso taglio del 10 e del 20% previsto per i ministeri. Un obbligo imposto dall’alto che potrebbe portare a più di un ricorso da parte delle Regioni. Ma alla fine la soluzione scelta è stata proprio questa.
ROMA – Sulla parte più impopolare, con l’impatto maggiore in termini di costi sociali, del decreto sulla spending review, l’esito è stato un compromesso. «Nessun taglio obbligato da Roma dei piccoli ospedali», ha spiegato il ministro della Salute, Renato Balduzzi, al termine del consiglio dei ministri che ha varato il provvedimento, ma «le Regione sono obbligate a razionalizzare la rete ospedaliera e verificare la funzionalità delle piccole strutture».
IPOTESI – Durante la riunione fiume del governo è prevalsa la linea del titolare della Salute di cassare dal testo del decreto la chiusura dei mini-ospedali sotto i 120 posti (in questo caso circa 230, andando a guardare nella banca dati della Sanità) o sotto gli 80 (quindi circa 150), che è stata compensata da un ulteriore taglio alla spesa per i dispositivi medici (il tetto scende dal 5,2% attuale al 4,8% della spesa sanitaria). Al ministero si riteneva che questa misura portasse risparmi per soli 200 milioni, a fronte di costi troppo alti per gli utenti, e rischia tra l’altro profili di incostituzionalità, intervenendo su una materia di competenza regionale. Per il Tesoro, invece, tagliare i piccoli ospedali era invece opportuno.
REGIONI – In ogni caso le Regioni dovranno riorganizzare la propria rete ospedaliera. Anche perché verrebbe introdotto il target di 3,7 posti letto ogni 1.000 abitanti comprensivi di 0,7 posti letto per mille abitanti per la riabilitazione e la lungodegenza, a fronte degli attuali 4. Quindi a fare i conti, un taglio di almeno 18mila posti per i ricoveri. Tra le chiusure, i posti letto in meno, il risparmio sulla spesa farmaceutica e su quelle per beni e servizi, la revisione sarà di 5 miliardi da qui al 2013. Secondo i governatori, che ieri hanno incontrato nuovamente il ministro Balduzzi, questi tagli sono «insopportabili» e mettono a rischio la natura stessa del servizio sanitario, e per questo si appelleranno al Quirinale.
SFORBICIATA – I conti li fa il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi: «Sommando tutti i tagli (quelle delle manovre precedenti, ndr), la sforbiciata in un anno a regime, il 2014, ammonta a 10,5 miliardi», un sforbiciata simile avviene a fronte dei «110 miliardi di spesa sanitaria complessiva»: si tratta dunque del 10%. Per arrivare alla cifra di 5 miliardi, uno per il 2012, e due per il 2013 e il 2014, così come confermato dallo stesso ministro, vengono anche rideterminati i tetti della spesa farmaceutica. Quella territoriale, ossia per i farmaci rimborsabili di «fascia A», passerebbe quest’anno dall’attuale 13,3% al 13,1% della spesa sanitaria e all’11,5% a partire dal prossimo anno. Mentre quella per i farmaci ospedalieri è innalzata dal 2,4% al 3,2% dal 2013. Sarà a carico delle aziende farmaceutiche il 50% dell’eventuale scostamento. L’altra metà sarà coperta «dalle sole Regioni nelle quali è superato il tetto di spesa regionale, in proporzione ai rispettivi disavanzi».
AZIENDE – Inutile dire che pure le aziende sono sul piede di guerra, anche perché sullo stesso fronte è previsto anche l’incremento permanente dello sconto a carico dei farmacisti dall’1,82% al 3,65% e, solo per l’anno 2012, per l’industria farmaceutica dall’1,83% al 6,5%. C’è poi la riduzione, sia negli importi che nei numeri, dell’1% per il 2012 e del 2% dal 2013 sulle prestazioni mediche svolte in strutture private in convenzione. I tagli studiati dal supercommissario Enrico Bondi, sempre per quanto riguarda le forniture, prevedono anche la «riduzione del 5% dei contratti in essere per la fornitura di beni e servizi», a tal proposito nei giorni passati Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici (Avcp) aveva pubblicato sul proprio sito i costi standard delle forniture sanitarie, rilevando differenze di spesa abissali sul territorio. Infine, le Asl avranno «l’obbligo di rinegoziazione dei contratti in caso di superamento significativo (20%) del prezzo di riferimento individuato dall’Osservatorio per i contratti pubblici».