TRATTATIVE STATO-MAFIA – il senatore del pdl: non ho mai ricattato nessuno. L’ex presidente del Consiglio richiesto come teste su una presunta estorsione da parte di Marcello Dell’Utri
La Procura della Repubblica di Palermo aveva convocato Silvio Berlusconi per lunedì 16 luglio, ma l’ex presidente del Consiglio si è negato adducendo come scusa una riunione con un gruppo di economisti. Secondo quanto si è appreso, anche la figlia Marina sarebbe stata convocata dai pm palermitani per il 25 o il 26 luglio prossimi, anche se non si conoscono date e motivi. Anche la presidente della Fininvest, comunque, risulta convocata come teste.
Scopo della convocazione del leader del Pdl: interrogarlo come persona informata dei fatti, in pratica come testimone, nell’ambito dell’inchiesta sulle trattative Stato-Mafia che si sarebbero svolte all’inizio degli anni’90 per porre fine alle stragi organizzate da Cosa Nostra.
LA PRESUNTA ESTORSIONE – Marcello Dell’Utri è indagato nell’inchiesta perché sospettato di essere stato nel 1994 il portavoce delle minacce mafiose nei confronti di Berlusconi in quel momento per la prima volta alla guida del governo. Nell’ambito di queste indagini sono emersi anche presunti prestiti infruttiferi fatti quest’anno da Silvio Berlusconi a Dell’Utri, per i quali il senatore è indagato dalla Procura di Palermo anche per estorsione nei confronti dell’ex premier. Proprio nell’ambito di questo ulteriore filone dell’inchiesta Berlusconi è stato convocato sia come testimone sia come eventuale parte offesa.
Più in dettaglio, il nuovo fascicolo è stato aperto dopo la scoperta di una serie di passaggi di denaro tra Berlusconi e Dell’Utri a ridosso dell’udienza della Cassazione del 9 marzo 2012 sul processo per mafia nei confronti del senatore. In quello stesso arco di tempo, fu venduta per 20 milioni di euro una villa di Dell’Utri sul lago di Como. I magistrati hanno dubbi sulla congruità del prezzo, considerato che una perizia del 2004 aveva stimato il valore dell’immobile in nove milioni e trecentomila euro. L’ipotesi che la Procura intende verificare è che Dell’Utri abbia fatto pressioni su Berlusconi minacciandolo di riferire quanto sapeva sui rapporti con Cosa Nostra.
LEGITTIMO IMPEDIMENTO – Sempre secondo quanto si è appreso, Berlusconi non si sarebbe presentato a Palermo invocando come «legittimo impedimento» una riunione con alcuni economisti e politici durante la quale si è discusso di euro, di crisi e di Europa. L’incontro a porte chiuse, promosso dall’ex ministro Antonio Martino, si è effettivamente svolto a villa Gernetto, una dimora settecentesca situata a Lesmo, in Brianza, ed è durato circa 8 ore.
GHEDINI – Dura la reazione dell’avvocato Niccolò Ghedini, legale di Silvio e Marina Berlusconi: «Trovo assolutamente impensabile che la citazione di testimoni, peraltro non ancora sentiti, arrivi alla stampa prima ancora che i testi stessi siano comparsi davanti ai magistrati».
DELL’UTRI – «La convocazione di Berlusconi dai pm di Palermo? Non ne so niente… non leggo i giornali. Ho solo intravisto la notizia sfogliando questa mattina (mercoledì, ndr) l’iPad» commenta Dell’Utri, arrivando al Palazzo di Giustizia di Palermo dove si celebra la prima udienza del nuovo processo di appello per concorso esterno in associazione mafiosa.
«Questi magistrati sono malati, sono morbosi. Non lo vedete che ogni giorno ce ne è una? – prosegue il senatore del Pdl -. È un processo politico, non l’avete capito?». Quindi precisa: «Non ho mai ricattato nessuno, men che meno il mio amico Silvio ». Ed entra più in dettaglio: «Dicono che tra le prove dell’estorsione – aggiunge – c’è il fatto che Berlusconi ha comprato la mia villa sul Lago di Como ad una cifra superiore al suo valore. Sono tutte fesserie: la casa, che era in vendita da due anni, è stata stimata per 30 milioni di euro mentre lui l’ha pagata venti. Quindi ci ho rimesso».
L’INCHIESTA – L’inchiesta sulle trattative Stato-Mafia parte dal presupposto che Cosa Nostra a partire dal 1992, con l’ omicidio dell’ esponente democristiano Salvo Lima, si mise a fare pressioni sui vertici dello Stato per ottenere concessioni di varia natura. Secondo i pm di Palermo tali pressioni non trovarono rifiuti, tutt’altro: ci furono contatti tra il 1992 e il 1994. con «pubblici ufficiali ed esponenti politici di primo piano» disposti a concessioni pur di allentare la pressione della criminalità organizzata. In questo quadro andrebbero inseriti, sempre secondo l’ipotesi di accusa, l’attentato di via D’Amelio in cui furono uccisi Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta e le stragi dinamitarde di Firenze (maggio 1993, 5 morti) Roma (luglio 1993) e Milano (luglio 1993, 5 morti). Queste bombe furono proprio la feroce risposta dei corleonesi di Totò Riina all’inasprimento del carcere per i boss e alla trattativa che non andava avanti. Gli indagati, al termine dell’inchiesta durata 4 anni, sono 12, tra boss mafiosi, politici e rappresentanti delle istituzioni. E’ nell’ambito di questa inchiesta che è scoppiato il clamoroso dissidio tra il Quirinale e la Procura di Palermo sulle intercettazioni del Capo dello Stato, per le quali Giorgio Napolitano ha chiesto alla Corte Costituzionale un parere sul conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.