Gli interventi sulla spesa pubblica| L’esperto: eccessi di spesa tra 25 e 40%. Il superconsulente annuncia il «redde rationem». Spending review al Senato sì con la fiducia, lunedì il via definitivo. Salta il giro di vite sui farmaci «di marca» nelle ricette. Nel decreto approvato a Palazzo Madama gli interventi di risparmio dagli enti locali al pubblico impiego
Lo ha fatto capire il commissario straordinario per la spesa pubblica Enrico Bondi che martedì – in una audizione alla commissione bicamerale sul Federalismo – si è detto convinto che «il processo dei costi standard vada fortemente accelerato e a settembre ci sarà il redde rationem». Bondi ha spiegato che sui 60 miliardi di spesa censiti l’eccesso di spesa si colloca in una forbice tra il 25 e il 40% «ma agendo con prudenza perché il giocattolo non va mica rotto».
In attesa di vedere quali altri tagli saranno possibili – anche sostituendo la Consip con una «rete di centrali d’acquisto», ha detto Bondi – l’osservatorio sulla fiscalità locale della Uil ha calcolato che la norma che consente alle Regioni in forte deficit di anticipare al 2013 la possibilità di raddoppiare le addizionali Irpef potrà pesare mediamente per 138 euro su ogni residente in Piemonte, Lazio, Sicilia, Campania, Puglia, Calabria, Molise, Abruzzo. Una stangatina che si andrà ad aggiungere alle maggiori spese per gli studenti universitari fuori corsi e ai tagli al sistema sanitario. Mentre Farmindustria avverte che con la norma contro i «farmaci griffati» a rischio ci sono 15-20 mila posti di lavoro, la Cgil e la Uil hanno criticato il testo licenziato dal Senato definendolo «peggiore del precedente» e mettendo in luce il «passo indietro sulle municipalizzate».
Anche Confindustria evidenzia la sanità (tagli ai farmaci) e le società in house come i punti critici del decreto sul riordino della spesa pubblica ma in genere il giudizio è positivo e in una nota Viale Astronomia definisce il provvedimento «un passo avanti nel percorso di riforme avviato dal governo». Anzi, per il mondo delle imprese ci vorrebbe qualcosa di più forte, una «scossa», in grado di far uscire l’Italia e l’Europa dal tunnel della crisi. È questo uno dei passaggi contenuti in un nuovo appello al governo e ai partiti nel presentare un «Patto per l’Italia, l’Europa, l’euro» che verrà annunciato oggi pomeriggio dal «cartello» dei produttori formato da Confindustria, l’Abi, l’Ania, l’alleanza delle Cooperative e Rete imprese Italia.
Lo stesso che il 25 giugno aveva inviato al presidente europeo Manuel Barroso una lettera per invitarlo a fare di tutto per salvare l’euro. In particolare ora il mondo italiano delle imprese chiede un forte risanamento dei conti pubblici contando soprattutto sulla dismissione e valorizzazione di asset pubblici per circa 3 punti all’anno di Pil entro tre anni. E invita l’esecutivo guidato dal professor Monti a «non desistere dal portare avanti entro questa legislatura l’azione riformatrice».

PROVINCE
Parte il «riordino» per diminuire gli enti: il rebus dei tempi
Non si parla più di «soppressione a accorpamento» ma di «riordino». La sostanza, però, resta la stessa così come i requisiti fissati dal governo. Per sopravvivere anche nel 2013 una Provincia dovrà soddisfare due requisiti, avere almeno 350 mila abitanti e una superfice superiore ai 2.500 chilometri quadrati. Ne dovrebbero scomparire la metà, una cinquantina. E tra queste ci saranno anche Sondrio e Belluno, che nella prima formulazione erano salve perché «interamente montuose», formula saltata nel testo approvato alla fine dal Senato. In ogni regione sarà il consiglio delle autonomie a inviare, entro settanta giorni, un’ipotesi di riordino al governatore e alla giunta. La Regione stessa avrà altri 20 giorni di tempo per trasmettere il progetto al governo, dopo averlo eventualmente modificato. Solo a quel punto si procederà alla definizione delle nuove maxi Province con un’apposita legge. È lo stesso decreto a stabilire che si dovrà tener conto delle «eventuali iniziative comunali volte a modificare le circoscrizioni provinciali esistenti», cioè dei passaggi dei Comuni da una Provincia all’altra. Tra gli ultimi ritocchi un altro punto importante: nelle nuove Province frutto della fusione il ruolo di capoluogo toccherà al comune con più abitanti, anche se considerando l’intera provincia al primo posto c’è un’altra città. Alla fine non è passato il tentativo di salvare le piccole Terni, Isernia e Matera. L’emendamento che doveva salvare almeno due Province in ogni regione, studiato e caldeggiato da più parti, non è stato presentato.

FARMACI
Salta il giro di vite sui farmaci «di marca» nelle ricette
È stato il nodo più difficile da sciogliere, con una trattativa andata avanti fino all’ultimo minuto: farmaco generico oppure griffato, cioè di marca? Il ministero dell’Economia ha smentito ufficialmente che la soluzione indicata nel maxi emendamento sia una «marcia indietro». Ma il giorno dopo tutti continuano a protestare e questo dimostra come l’approdo finale sia un compromesso che in sostanza mette la decisione nelle mani del medico. Viene confermata la regola generale inserita nel testo approvato dalla commissione Bilancio del Senato: il medico che ha per la prima volta in cura un paziente cronico o con una nuova patologia non cronica per la quale sono in commercio più farmaci equivalenti deve indicare sulla ricetta soltanto il principio attivo. Lo stesso medico, però, ha la «facoltà» di indicare il nome del farmaco di marca. E la sua indicazione diventa vincolante per il farmacista se accompagnata con una «sintetica motivazione» della cosiddetta «clausola di non sostituibilità» del prodotto prescritto. Il medico decide per una strada o per l’altra, insomma, e il farmacista esegue. L’emendamento originario —che vincolava maggiormente il medico a prescrivere il generico e che aveva scatenato la protesta delle aziende del settore—porta la firma dell’udc Claudio Gustavino, ginecologo genovese. Il senatore conferma che quella proposta era stata «sostanzialmente concordata» con il ministro della Salute Renato Balduzzi. La stessa norma era stata studiata per il primo decreto del governo Monti, il decreto salva Italia del dicembre scorso. Ma poi cancellata nella versione approvata in Consiglio dei ministri.

UNIVERSITA’
Tasse in aumento per (quasi) tutti.Stangata sui fuoricorso
I fondi in arrivo dallo Stato sono in calo da anni. E alla fine, per non chiudere bottega, le università potranno aumentare le tasse agli studenti. Il rincaro non riguarderà solo i fuori corso, come previsto dal testo uscito dalla commissione Bilancio del Senato. Certo, su di loro si dovrebbero concentrare gli interventi più forti, con la possibilità di un raddoppio per i pochissimi che hanno un reddito familiare Isee superiore ai 150 mila euro. Ma l’ultima modifica voluta dal governo estende gli aumenti anche agli studenti in regola con gli esami. Si salveranno, fino al 2016, solo quelli che hanno un reddito familiare al di sotto dei 40 mila euro l’anno. Un intervento del genere era nell’aria da tempo. Questa soluzione era stata già studiata dal precedente governo Berlusconi che però aveva deciso di archiviare il dossier perché il mondo della scuola e dell’università era già in guerra con l’allora ministro Gelmini e non era il caso di cercare lo scontro. Adesso ci risiamo, senza troppe proteste forse perché nel frattempo la crisi è precipitata e ci siamo quasi abituati a tasse e tagli. Nello stesso decreto c’è una norma che aiuta a restare in sella i rettori che si sono visti prorogare il loro mandato. L’ultima riforma dell’università ha messo un limite di sei anni alla durata del loro incarico che prima era in teoria illimitato e diceva che avrebbero dovuto lasciare la poltrona nell’anno successivo all’adozione del nuovo statuto. Il decreto sulla spending review stabilisce che per adozione va intesa non quella da parte dell’ateneo ma quella, successiva, fatta dal ministero. Molti rettori guadagneranno un anno e potranno restare fino al 2013.

PUBBLICO IMPIEGO
Prepensionamenti e mobilità, dipendenti da ridurre
Sulla scia di quanto fatto all’inizio di giugno da Palazzo Chigi e dal ministero dell’Economia anche il resto della Pubblica amministrazione dovrà dare una sforbiciata alla propria pianta organica. Il taglio dovrà essere del 20% per i dirigenti e del 10% per tutti gli altri dipendenti, anche se questi dovranno essere i risultati finali dell’operazione e saranno possibili compensazioni tra i diversi ministeri. Gli strumenti a disposizione sono due: i prepensionamenti e la mobilità, con il rischio di finire per due anni all’80% dello stipendio base, che in molti casi rappresenta la metà di quello che uno statale è abituato a portare a casa ogni mese. Dopo il muro conto muro dei primi giorni i sindacati sono stati coinvolti e avranno voce in capitolo sulle procedure di mobilità. Ma contro l’intero pacchetto Cgil e Uil hanno già proclamato uno sciopero per il 28 settembre, mentre la Cisl ha detto di no a questo tipo di protesta. Per gli statali ci sono altre cattive notizie: un tetto di sette euro per i buoni pasto, il divieto di «vendere» le ferie non godute anche se non è passata la norma che li obbligava a non lavorare nella settimana di Natale e in quella di Ferragosto. Rinviato di due anni, dal 2013 al 2015, il taglio del 15% per l’affitto degli immobili in uso alla Pubblica amministrazione. Passo indietro sulle società pubbliche: i tagli alle società controllate (come la riduzione dei componenti del cda) riguarderanno solo quelle che nel 2011 hanno coperto oltre il 90% del fatturato con forniture alla Pubblica amministrazione.