RTV NON CESSA LE TRASMISSIONI. Hijab «rimosso dall’incarico» ma è in Giordania con la famiglia. Il ministro delle Finanze prova a scappare: arrestato.
Perde i pezzi il governo siriano vicino al regime del presidente Bashar al-Assad. Il premier Riad Hijab «è stato rimosso dall’incarico» lunedì, secondo la tv di Stato iraniana Rtv, ma è fuggito in Giordania con la famiglia. Hijab, nominato lo scorso giugno, ha annunciato di essersi unito alla ribellione «a causa dei crimini di guerra e del genocidio» commessi dal regime. Anche il collega delle Finanze, Muhammad Jleilati, ha provato a disertare, ma è stato arrestato prima che potesse fuggire all’estero.
LE DISERZIONI – Altri tre funzionari dei servizi segreti siriani avrebbero disertato rifugiandosi in Giordania come Hijab: si tratta del colonnello Yasser Hajj Ali, del colonnello Yareb al-Shara – responsabile del Dipartimento informazioni dei servizi segreti a Damasco e membro del clan del vicepresidente siriano Faruk al-Shara – e del fratello Mohamamad. Anche Muhammed Faris, il primo astronauta siriano nello spazio, è fuggito. Secondo il Consiglio Nazionale Siriano, principale cartello delle forze di opposizione, la fuga all’estero dell’ormai ex premier Riyad Hijab rivela con estrema chiarezza come quest’ultimo si stia «disintegrando» e si avvii a crollare. «Diamo il benvenuto alla defezione di Riyad Hijab, e a quelle di tutti gli altri funzionari, civili e militari», è stato il commento di un portavoce dello stesso Cns, Abdel Basset Sayda. «Tale defezione dimostra che il regime si sta disintegrando», ha sottolineato. «È l’inizio della fine». Secondo Al Jazeera, salgono a 41 le defezioni di alte personalità del regime. Ventisei i disertori nelle file dei militari e degli uomini della sicurezza. Tre figure del gabinetto di Assad, quattro parlamentari e otto diplomatici. E sulla vicenda è intervenuto anche il ministro degli esteri italiani Giulio Terzi che ha così commentato: «la defezione del primo ministro siriano Riad Hijab dimostra il progressivo isolamento di Assad anche nei confronti della sua cerchia più ristretta. È un segnale chiaro di quanto la violenza verso il suo stesso popolo stia spingendo il regime su un percorso di inesorabile implosione».
L’ATTENTATO – Intanto non si ferma la violenza. Lunedì mattina un’esplosione ha scosso la sede della radiotelevisione di Stato a Damasco, provocando almeno tre feriti. La bomba è stata innescata al terzo piano. Nel palazzo c’era il ministro dell’Informazione siriano, Omran al-Zoabi, in sede: non è stato ferito. Subito dopo l’attentato ha sottolineato: «Continueremo la programmazione senza badare a che cosa fa chi ci vuole mettere a tacere. È stato un attacco codardo compiuto da terroristi che agiscono per destabilizzare il Paese».
AD ALEPPO E AD HAMA – Nel frattempo proseguono gli scontri tra le forze governative e gli insorti contro il regime del presidente Bashar al-Assad. In particolare la battaglia continua a riguardare la città di Aleppo, nel nord del paese, dove sono stati schierati almeno 20.000 soldati per fronteggiare, secondo le fonti di sicurezza di Damasco, tra i 6.000 e gli 8.000 uomini. I ribelli sostengono di avere il controllo di almeno metà della città. Per quanto riguarda Hama, il Consiglio nazionale siriano (Cns) ha accusato l’esercito di Assad di aver compiuto un «massacro» che ha provocato una quarantina di vittime. Un comunicato ha indicato che le truppe hanno inizialmente bombardato la località con il supporto di carri armati per oltre cinque ore, prima di sferrare un assalto: ci sono stati una quarantina di morti e circa 120 feriti, molti dei quali gravi.
L’IRAN E I PELLEGRINI– I ribelli siriani hanno affermato che tre ostaggi iraniani sono stati uccisi dai bombardamenti governativi nella provincia di Damasco. E hanno minacciato di uccidere entro un’ora gli altri iraniani fatti prigionieri sabato scorso se l’esercito non smetterà di bombardare. La tv di Stato iraniana ha annunciato che Teheran ha chiesto ufficialmente a Turchia e Qatar, che appoggiano i ribelli, di intercedere per ottenere la liberazione dei 48 pellegrini iraniani rapiti sabato scorso. Teheran ha anche precisato che i pellegrini non sono affatto Guardie della Rivoluzione ma civili. «Tutte quelle persone sono pellegrini che si erano recati a Damasco per visitarne i luoghi sacri. Questa operazione è stata pianificata per fare pressione sull’Iran affinché non appoggi più il popolo siriano», ha spiegato il ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian.
ASSALTO AL MONASTERO DI PADRE DALL’OGLIO – Uomini armati hanno assaltato il monastero di Mar Musa, a nord di Damasco, del IV secolo, senza causare vittime ma saccheggiandolo. Lo riferiscono all’ANSA fonti vicine al monastero, fino a poche settimane fa gestito dal gesuita italiano Padre Paolo Dall’Oglio, fondatore della comunità monastica. Né le suore né i monaci presenti nel monastero – 80 km a nord di Damasco nel deserto siriano a est dell’autostrada che collega la capitale con Homs – sono stati feriti o aggrediti ma che gli uomini armati hanno «rubato tutto quello che potevano rubare», compresi i trattori e gli altri strumenti per l’agricoltura e l’allevamento. Già a febbraio e ad aprile scorsi il monastero era stato obiettivo di uomini armati. Padre Paolo dall’Oglio, presente in Siria da oltre trent’anni, è stato costretto a lasciare il Paese a giugno dopo che le autorità non gli hanno rinnovato il permesso di soggiorno in seguito alle sue dichiarazioni per una «vera riconciliazione nazionale».