L’olimpionico: «Comprai l’Epo in Turchia per 1.500 euro». Il marciatore in lacrime: «Avevo la nausea di questo sport. Mi facevo le iniezioni mentre Carolina s allenava». Ferrari è inibito dalla procura antidoping ma frequentato da tanti atleti.
BOLZANO – A tratti è un pianto incontrollato, senza freni. La testa tra le mani. Un filo di voce. «Ora mi sento liberato, avevo la nausea di questo sport, della fatica: non sono come la mia fidanzata Carolina Kostner che ha passione per il pattinaggio, non ce la facevo più con la marcia, lo vivevo come un dovere, 35 ore di allenamenti alla settimana, bastava una birra per farmi sentire in colpa. Sapeste quante volte in famiglia ho detto ”basta, non ce la faccio più”, ma mi rispondevano che sarebbe stato un delitto sprecare tanto talento…».
Più che una conferenza stampa, una via di mezzo tra una seduta psicanalitica e una confessione in tribunale. Alex Schwazer, passato dall’oro olimpico del 2008 all’Epo pre-olimpico dell’altro giorno, è un uomo di 27 anni che si è rovinato carriera e reputazione, ha reso un pessimo servizio al suo Paese e ora racconta con voce impastata dalla vergogna di «quelle iniezioni fatte in bagno mentre Carolina era ad allenarsi» o di «quelle alzatacce alle 2-3 del mattino, sapendo con terrore che dopo le 6 ogni minuto era buono per l’arrivo degli ispettori della Wada (l’agenzia internazionale antidoping, ndr )». Eppure, nonostante le colpe, il volto scavato e lo sguardo perso, questo ragazzo che oggi restituirà all’Arma dei carabinieri «pistola e tesserino» (e rischia l’espulsione), pare sollevato: come se inconsciamente avesse delegato all’antidoping il compito di tirarlo fuori da una realtà vissuta come una prigione. Qualcuno glielo dice anche: «Tutto ciò ricorda un suicidio sportivo». E lui: «Forse cercavo questo…».
Parla per quasi due ore Alex nella saletta dell’hotel Sheraton. Dice di «aver fatto tutto da solo». Di essersi recato nel settembre 2011 in Turchia, ad Antalya, «perché sapevo da Internet che lì si poteva acquistare l’Epo in farmacia senza ricetta: ho messo sul bancone 1.500 euro e l’ho presa». Per mesi la roba è rimasta in frigorifero: «E a Carolina dicevo che era vitamina B12». Poi, a luglio le iniezioni: «L’ultimo controllo antidoping è stato il 13 luglio e dopo ho cominciato a doparmi, fino al 29».
Il 30 sono arrivati gli ispettori: «Quella mattina avrei potuto dire a mia madre di non aprire, ma non ho avuto la forza, volevo solo che tutto finisse». Ammette i suoi contatti con il discusso medico Michele Ferrari: «L’ho incontrato 5-6 volte, ma da lui non ho mai preso farmaci: mi preparava le tabelle di allenamento».
Fin qui la verità di Schwazer. Tutta da verificare. Le zone d’ombra riguardano la presenza di complici, eventuali coperture da parte di medici compiacenti e un giro di affari più ampio di come racconta l’atleta. Almeno tre le Procure che hanno acceso i riflettori. Bolzano ha aperto un’indagine nei confronti di Alex con l’ipotesi di frode sportiva per l’assunzione di sostanze dopanti sia in Italia (nella casa a Calice) che in Germania (ad Oberstdorf), non escludendo l’aiuto di terzi. Poi c’è la Procura militare in quanto carabiniere. E infine Padova, una delle centrali investigative del filone doping: dall’ufficio del pm Benedetto Roberti sono partite le segnalazioni alle autorità sportive sulle frequentazioni tra Schwazer e Ferrari, di cui gli inquirenti avrebbero foto e riscontri. Ieri Alex ha ammesso un incontro con il medico nel maggio 2010 in autostrada a Verona: «Avevo la Coppa del mondo in Messico e abbiamo parlato di allenamenti: io non copro nessuno». Ma che il ragazzo abbia fatto tutto da solo, non convince gli inquirenti. Non solo perché non è facile trovare l’Epo su Internet (c’è il rischio di incappare in farmaci non sicuri), ma la stessa somministrazione richiede un’infiltrazione sottocutanea tutt’altro che semplice.
«Volevo tutto, ho perso tutto», è la sconsolata conclusione di un esausto Schwazer. Non tutto. Gli resta uno sponsor, la Despar Nordest: «Il ragazzo ha sbagliato, ma non lo abbandoniamo».
Michele Ferrari (Ansa/Benvenuti) |
Il Mito resiste. Nonostante tutto e (per adesso) fino a prova contraria. Perché Michele Ferrari, come ha detto, anche Schwazer ieri, è «un grande allenatore». Come del resto Francesco Conconi, maestro dello stesso Ferrari, ampiamente frequentato per le sue consulenze dallo stesso marciatore azzurro e da tanti altri atleti italiani di vertice.
Perché certe cose si fanno, tutti le sanno, ma non si possono dire? Anche il ciclista Filippo Pozzato, che ha perso l’Olimpiade di Londra per la frequentazione di Ferrari (deferimento con richiesta di squalifica di 12 mesi), non ha avuto alcun problema a riconoscere che «andavo da lui perché è di gran lunga il migliore di tutti». Ma per la Procura antidoping da Ferrari non si può andare, sulla base di una vecchia inibizione pubblicata nel 2002 dall’organo ufficiale della Federciclo, ma di cui non c’è traccia nelle liste dei medici attualmente «non frequentabili».
La questione da questo punto di vista è ancora aperta (il giudizio su Pozzato è atteso per metà settembre: se sarà condannato, in tanti ciclisti da Scarponi a Visconti fino a Schwazer rischiano la stessa pena) le tabelle e i metodi di allenamento per ciclismo, atletica e sci di fondo, sono le più valide (e tra le più costose, fino a 30 mila euro l’anno) e tanti altri preparatori le copiano. Si può anche richiedere al dottore una consulenza specifica sul suo sito 53×12. E tutto questo ha poco a che fare con il doping.
Però al di là della scarsissima trasparenza in cui da oltre 20 anni Ferrari opera, ci sono le inchieste antidoping, quelle vecchie e soprattutto quelle nuove, che allungano le ombre sul suo lavoro e autorizzano i sospetti. Ferrari nel ’94 (medico della Gewiss Ballan della storica tripletta alla Freccia Vallone Argentin-Furlan-Berzin) fa scalpore per le sue dichiarazioni sull’Epo: «Prenderla non fa male, fanno peggio dieci bicchieri d’aranciata». E soprattutto «è doping solo quello che si becca ai controlli», frase manifesto di un’intera epoca, considerato che il test per trovare l’Epo nelle urine venne introdotto solo nel 2000.
In quegli anni caldi, Ferrari e Conconi furono imputati a Ferrara. Il processo (1998-2004) è terminato di fatto con un’assoluzione per entrambi, perché la legge 376 sul doping non esisteva ancora. Le accuse dell’epoca? Somministrazione di medicinali pericolosi per la salute, commercio di sostanze alimentari nocive, esercizio abusivo della professione di farmacista, frode sportiva, fino (per Conconi, quello che «io l’etica non l’ho mai considerata») all’associazione per delinquere. La «scuola di Ferrara» ha segnato nel bene e nel male lo sport italiano di vertice degli anni Ottanta e Novanta, tra medaglie, collaborazioni ufficiali e documentazioni inquietanti sul trattamento medico a cui erano sottoposti decine di atleti di ciclismo, sci, atletica.
Tre anni fa la rivista Cycling Pro era riuscita a parlare con i due medici, tra omissioni e lamentele per il fatto di dover lavorare dietro le quinte senza poterci mettere la faccia. Però qualcuno la faccia rischia di perderla anche rimanendo nell’ombra: nel 2007 Vinokourov (diventato a Londra campione olimpico) ammise di essere seguito da Ferrari e poco dopo fu beccato positivo al Tour per una trasfusione sanguigna da donatore compatibile. Anche il tedesco Sinkewitz (testosterone nello stesso Tour) si affidava al Mito, che per oltre dieci anni è stato il referente unico di Lance Armstrong: ora Ferrari e il texano, assieme ad altri quattro membri dello staff, sono sotto inchiesta per doping negli Stati Uniti. Pesantemente sotto accusa c’è l’intero sistema utilizzato per vincere sette Tour de France (e riprovarci fino al 2010), a colpi di Epo, ormone della crescita, testosterone e insulina. A tirare le fila di tutto ci sta pensando il pm di Padova, Benedetto Roberti, in collaborazione con altre procure straniere, con la Wada e l’Interpol. Nell’inchiesta su Ferrari, avvistato in tanti posti strategici con il suo camper di assistenza-mobile ci sono un centinaio di atleti (non tutti indagati almeno per ora) e c’è anche Schwazer. Ci sono intercettazioni compromettenti sul doping e guai fiscali, con «pacchetti completi» proposti agli atleti di vertice. Perché sarà anche bravo, Michele Ferrari. Ma a fare cosa (e con il silenzio-assenso di chi), questo è il problema.