IL PRESIDENTE AVEVA DIFESO LA LINEA PRODUTTIVA DELLA FABBRICA. Nuovo decreto del giudice: «Manifesta incompatibilità». Vertice straordinario a Milano. «Scelta che aumenta la tensione». «Se non produco come faccio a pagare 12 mila persone? Io ho sempre rispettato la magistratura. Ma in questo caso credo che il provvedimento non sia per nulla ragionevole».

TARANTO – Il gip del tribunale di Taranto, Patrizia Todisco, ha revocato Bruno Ferrante (nella foto), presidente del Cda dell’Ilva Spa dall’incarico di curatore amministrativo dello stabilimento. Il decreto che di fatto toglie ogni controllo del gruppo sulla gestione degli impianti sotto sequestro, è stato notificato iri sera dai carabinieri del Noe di Lecce.
LA DIFESA DELLA PRODUZIONE – La decisione del gip è scaturita dopo l’annunciato ricorso dell’Ilva al secondo decreto di sequestro degli impianti senza l’uso ai fini della produzione. «Tale circostanza – scrive il gip in questo suo terzo decreto – rende manifesta l’incompatibilità del presidente del Consiglio di amministrazione e legale rappresentante pro tempore dello stabilimento Ilva s.p.a. di Taranto con l’ufficio pubblico di custode ed amministratore delle aree e degli impianti dello stesso stabilimento sottoposti a sequestro preventivo, stante il palese conflitto tra gli interessi di cui il dottor Ferrante nella citata veste di amministratore e legale rappresentante dell’azienda è portatore e gli obblighi gravanti sui custodi ed amministratori dei beni in sequestro, in ragione dei quali sono state impartite le disposizioni ai medesimi notificate il 10.08.2012» Al posto di Ferrante il gip ha nominato Mario Tagarelli, iscritto all’albo dei commercialisti di Taranto, quale custode ed amministratore degli stessi beni, in aggiunta ai già nominati ingegneri Barbara Valenzano, Emanuela Laterza e Claudio Lofrumento.
BERSANI: INTERVENGA IL GOVERNO – Bersani è tra i primi leader politici ad intervenire sulla vicenda: «È indispensabile che il governo con tutti gli strumenti formali e informali che ha, faccia chiarezza sulla situazione dell’Ilva di Taranto. Bisogna essere consapevoli che la confusione attorno al più grande stabilimento siderurgico d’Europa farà presto il giro del mondo».

Blu jeans, camicia casual, giacca sulla spalla e le carte del giudice fra le mani. Un Bruno Ferrante informale si presenta nella sede Ilva di Milano alle quattro di un pomeriggio deserto. Il presidente dell’acciaieria più grande d’Europa ha convocato al volo un consiglio d’amministrazione straordinario. Spegne il telefonino e si infila dritto nella sala consiliare.
Un paio d’ore dopo, faccia stanca e fogli d’appunti sotto braccio, si avvia verso la sua Smart con l’aria sconsolata. «Non ce l’aspettavamo, assolutamente. Per noi è una doccia fredda» dice. Preoccupati? «Beh, a questo punto direi che è chiaro che una parte dei nostri interlocutori vuole chiudere l’Ilva. Siamo preoccupati, sì, sorpresi e molto preoccupati. Ma arresi mai. Andremo avanti fino alla fine di questa strada, faremo tutto ciò che serve per far valere le nostre ragioni». L’ex prefetto di Milano, l’uomo delle istituzioni scelto alla guida del gigante d’acciaio per la sua capacità di tessere relazioni e dialoghi con istituzioni e magistratura, adesso si sente sott’attacco. «Se la mia persona serve a rendere più forte le ragioni di quel dialogo è un bene. Però provvedimenti così drastici aumentano la tensione e rendono tutto più difficile. Comunque anche qui: niente resa. Sono convinto che un punto d’incontro sia ancora possibile».
La domanda del futuro è: se lo stabilimento non può produrre si può immaginare la cosiddetta «messa in libertà» per i lavoratori. Esiste il rischio del «tutti a casa»? Ferrante premette che «è prematuro parlare di qualunque cosa» ma aggiunge che di «tutti a casa» non vuole nemmeno sentirne parlare. E poi: «Io so soltanto che dire no all’attività produttiva vuol dire togliere la linfa vitale all’azienda. Viene meno la ragione stessa dell’esistenza dell’Ilva. E poi, banalmente: se non produco come faccio a pagare 12 mila persone?».
È sincero, l’ex prefetto, quando descrive la «sua» Ilva che «è vero, si è difesa male in sede processuale nel corso del tempo. Ha avuto un atteggiamento che poteva sapere un po’ di arroganza e presunzione. C’è stato un difetto di comunicazione e un eccesso di conflittualità perché impugnava qualsiasi provvedimento». Ma adesso, almeno da quando è arrivato lui, le carte in tavola sono cambiate, «quell’atteggiamento è sparito» valuta lui. Possibile che nessuno ne tenga conto? Questo sembra chiedersi il presidente del gruppo siderurgico da 20 mila operai quando dice che «registro in tutti quelli con cui ho parlato un enorme sentimento di sorpresa. Dal ministro Clini al presidente della Regione Vendola ai sindacati… C’è stupore, specialmente dopo la decisione del Riesame che apriva la via di un risanamento possibile e dopo l’intesa che l’Ilva ha raggiunto con le istituzioni sulle cose da fare. Alcune di quelle cose le abbiamo proposte noi senza che ci sia nessun obbligo di legge».
C’è amarezza, nelle parole di Ferrante. Che proprio non si capacita di questa «grande differenza», come la definisce, fra la sentenza del Riesame e la nuova decisione del giudice Patrizia Todisco. «Il Riesame ci diceva “usate gli impianti al fine di risanare” e c’era in sottofondo anche la minaccia reale: “Se non risanate sappiate che chiuderete”. Adesso il gip ribalta tutto. La sua logica è: “Non dovete produrre, dovete terminare l’attività”. La chiusura è il suo obiettivo e non una possibilità alla quale si arriva se si è inadempienti».
Nel provvedimento del giudice c’è anche una riduzione degli incarichi che l’ex prefetto aveva avuto dal tribunale del Riesame. Non più custode e amministratore delle aree e degli impianti sotto sequestro ma responsabile delle questioni amministrative legate al personale. Un passaggio che Ferrante non vuole leggere come una dichiarazione di guerra. «Gli scenari di questa storia cambiano così velocemente che aggiorniamo le agende di ora in ora» dice. «Il mio compito, quello vero, è cercare di trovare una soluzione ragionevole per salvare l’azienda. Io ho sempre rispettato la magistratura, come credo che tutti possano riconoscermi. Ma in questo caso credo che fermare la produzione non sia per nulla ragionevole. Faremo ricorso e intanto aspetteremo le motivazioni del Riesame, come pensavamo che avrebbero fatto i nostri interlocutori della giustizia».
Fa un caldo moderato, all’ombra della sede milanese dell’Ilva. Il presidente guarda il telefonino che si illumina ogni dieci quindici secondi. Lo chiamano in mille. «Tutto lavoro per le prossime ore» sorride. Sale in macchina e torna a casa. «Vorrei riposare un po’». Oggi sarà un’altra giornata in salita. Per non parlare di domani: destinazione Taranto.