IL PERSONAGGIO. La disponibilità del Comune, l’affetto dei cittadini.

LIVORNO – «Se i parenti sono favorevoli il Comune metterà a disposizione la divisa dei vigili urbani per la sepoltura. Anche il comandante della polizia municipale è d’accordo», ha detto il sindaco di Livorno, Alessandro Cosimi, dopo le centinaia di richieste di cittadini e consiglieri comunali. E martedì mattina due ufficiali dei vigili urbani hanno portato l’uniforme alla camera mortuaria. Giampaolo Cardosi, 69 anni, il vigile capellone diventato clochard dopo una sfida infinita contro ingiustizia e persecuzione, aveva sempre detto di essere fiero di portare quella divisa. «L’ho indossata a testa alta, me l’hanno scippata ingiustamente e in questi lunghi anni l’ho sempre desiderata», aveva detto più di una volta agli amici. Ma adesso sarà una sorella dell’uomo (è figlia del padre dell’ex vigile) a decidere se questa sorte di riconoscimento post mortem è in linea con lo spirito e la battaglia di Giampaolo o se invece è arrivato troppo tardivamente. I funerali si svolgeranno martedì alle 15.30.
IL PRETE DI STRADA – Il feretro partirà dall’obitorio di via Vittorio Alfieri e arriverà alla chiesa di Sant’Andrea, nel centro storico e popolare di Livorno, vicino all’arcivescovado. A celebrare la messa don Edoardo Medori, un sacerdote amatissimo dalla «rossa Livorno», un prete di base che ha sempre combattuto, Vangelo alla mano, a fianco dei poveri, non lesinando critiche al potere. La tumulazione al cimitero comunale dei Lupi. Giampaolo Cardosi è, morto venerdì cadendo dalla bicicletta su un viadotto alla periferia della città era stato vittima di un clamoroso errore giudiziario e al centro di una persecuzione amministrativa.
ANNI ’70 – La sua colpa principale era stata quella, negli anni Settanta, quelli della contestazione, di allungare barba e capelli. I vertici della polizia municipale non potevano sopportare quel comportamento giudicato quasi un affronto. E iniziarono i guai. Cardosi venne denunciato per un furto (inesistente) di duemila lire (un euro) sottratto a una multa. Poi per aver preso quattro vecchie sedie e un tavolo abbandonate in un bosco. Lo licenziarono in tronco, con ignominia. E Giampalolo diventò una figura ricurva e dolente che si muoveva in città con una sgangherata e amatissima bicicletta. Perse la casa e la mamma, morta di crepacuore. Ma, dopo essere stato assolto da tutte le accuse, la sua via crucis non finì. Il Comune gli offrì 300 mila euro come riparazione dell’ingiusto licenziamento, lui rifiutò il denaro sdegnosamente: «Non voglio elemosine, voglio la mia divisa».
L’AFFETTO DEI CITTADINI – Qualcosa però era cambiato, radicalmente. Dopo decenni di sofferenza e la completa riabilitazione, i livornesi non guardavano più Giampaolo con pietà, ma con compiacenza. Sì, certo, era un personaggio bizzarro, un don Chisciotte metropolitano in bicicletta, però rispecchiava in parte il carattere di questa città solare, anarcoide e allergica al Potere. E poi sembrava che l’anima di quel povero cristo fosse finalmente risorta. E per ricordare l’Unità d’Italia c’è chi l’aveva trasformato in Garibaldi, con tanti manifesti affissi e accolti con ironia ma anche sorrisi compiaciuti dai suoi concittadini. Neppure l’ultima avventura giudiziaria (era stato accusato di aver imbrattato i muri di Equitalia) aveva scalfito quella visione ideale.
L’onore della divisa al «vigile capellone» è il minimo che si poteva fare. «Una brutta storia per la nostra città – ha detto al Corriere Fiorentino Lamberto Giannini, capogruppo consiliare di Sel -. Tutti abbiamo poco ascoltato Giampaolo quando ancora si poteva salvare un’esistenza». Don Paolo Razzauti, già vescovo vicario: «Chiediamoci, singoli e istituzioni, se abbiamo fatto ciò che era necessario per lui». Alla camera ardente dell’obitorio è iniziata la processione dei cittadini. Tanti, tantissimi. Molti hanno portato fiori, altri hanno preferito ricordarlo con centinaia di messaggi sul web.