SILICON VALLEY. Da Tim Cook, passando per Jeff Bezos fino a Marissa Mayer, nessuno sembra all’altezza del genio di Cupertino.
Steve Jobs era morto da poche ore e c’era già chi pensava a trovare un erede degno del suo genio. Il primo a finire in nomination fu Thomas Suarez. A soli 12 anni di South Bay, in California, era già l’amministatore di una sua società di software e sviluppa diligentemente applicazioni per iPhone, iPad e iPod touch. Camicia azzurra e i tablet in mano il piccolo Tom incantò la folla del Ted conquistandosi il titolo di «mini Jobs». Peccato che passati un paio di mesi nessuno si sia più ricordato di Thomas.
QUESTIONE DI LOOK? – Il giochino «Chi è il nuovo Steve» andò avanti parecchio. Sempre senza risultati. Gli orfani di Steve avevano una sola consapevolezza: Tim Cook, il successore senza carisma (così venne subito definito), non è all’altezza di Jobs. E se con gran sollievo di tutti nei corridoi di Cupertino non rieccheggiano più le sue urla, fin da subito è apparso chiaro che Tim non abbia lo stesso approccio geniale quando si tratta di decisioni strategiche. Passa qualche tempo dalla morte di Jobs e complice la decisione di sbarcare in borsa, i media americani pensarono che l’erede fosse lui Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook. «Mark è come Steve», si diceva nella Silicon Valley. Stesso carattere scostante di Jobs, stesso vizio di vestirsi sempre con lo stesso modello di abiti, l’uno con i suoi dolcevita neri e le New Balance, l’altro con le magliettine grigie indossate in ogni occasione. Look e carattere a parte, alcuni commentatori predissero che Facebook avrebbe superato in borsa Apple. Ma niente di tutto ciò è avvenuto. Anzi, il dolcevita nero batte anche postumo le ciabatte di plastica di Mark e Apple diventa la prima azienda al mondo per capitalizzazione. Il tutto mentre il titolo di Menlo Park scivola in borsa.
I MILIARDI NON BASTANO – Poi Newsweek annuncia: «L’abbiamo trovato noi il nuovo Steve. È Jeff Bezos di Amazon». E il settimanale americano compila una classifica dei dieci leader più influenti della nostra era digitale. Al secondo posto c’è il Ceo di Google, Larry Page. I giornalisti spiegano così la loro scelta: «Mentre Google e Facebook sono monopolisti nei loro campi, Bezos con Amazon opera in un settore, l’e-commerce, dove la competizione è più serrata. E nonostante ciò Amazon rimane il modello di riferimento per chi vuole fare commercio elettronico. Ma non solo. «Zuckerberg e Page hanno fatto gran parte dello sforzo in origine con un’idea geniale. Bezos ha dovuto continuare a lottare per rimanere a galla». Già, peccato che Steve Jobs di idee geniali ne abbia avute di continuo, sia anche caduto, si sia rialzato più volte. E si sia permesso spesso di dire quello che pensava. Il tutto in una sola vita. Poi nella classifica di Newsweek spuntano anche Mark Pincus di Zynga (la società che produce Farmville), Bill Gates di Microsoft e John Donahoe di eBay. Ma nessuno soddisfa i requisiti. Nonostante i miliardi fatti da ciascuno di questi personaggi.
DIVERSIFICARE – Niente da fare dunque. Un secondo Leonardo della Silicon Valley non si trova. Qualche alternativa? Nessuno osa definirlo tale ma uno dei ragazzi più seguiti dalla stampa americana diventa Jack Dorsey, fondatore del sito Twitter e di Square. Il merito sarebbe quello di aver cambiato il modo di comunicare sul web e di muoversi su più fronti, dal microblogging al pagamento con i cellulari, una formula sicuramente rivoluzionaria, sperimentata però anche da Google. Differenze di stile a parte (la pettinatura e il ciuffo curato parlano già da sé), Dorsey non può nemmeno vantare i successi economici di Jobs. È vero che Jack è ancora giovane (ha 36 anni) ma alla sua età Jobs non aveva fondato solo la Apple. Ma aveva messo le mani anche sulla Pixar che negli anni gli sarebbe fruttata milioni di dollari.
TIPI DI DROGHE – Fatto fuori anche Dorsey, rimangono in lizza per il titolo personaggi simbolo della Silicon. Primo su tutti è Sean Parker. Proprio come Steve inizia la sua carriera di programmatore prestissimo. Suo padre gli insegna a programmare già all’età di sette anni, e quando ne ha sedici fu imputato da una community di hackeraggio. A soli 20 anni fonda Napster, il servizio di condivisione libera e gratuita di musica che ha completamente rivoluzionato il mondo delle case discografiche. E che ha costretto lo stesso Steve Jobs a cambiare direzione puntando sulla musica con iTunes e iPod. Peccato però che Sean mandi tutto all’aria. Nel 2004 Parker comincia a consigliare informalmente i creatori di Facebook e diventa presidente ricevendo il 7% delle azioni di Facebook. La via per il successo è garantita? Sean viene arrestato per possesso di cocaina e si fa prendere dalla paranoia, come spiega David Kirkpatrick in The facebook Effet. E se è vero che anche il fondatore di Apple non ha mai fatto mistero di fare uso di droghe, di sicuro non ne è mai diventato schiavo e non ha mai amato la cocaina, preferendo l’LSD (una volta disse che Bill Gates avrebbe avuto più fantasia se ne avesse fatto uso).
DONNE E RIBELLI – Non resta allora che cambiare del tutto strada. E se l’erede di Steve Jobs fosse una donna? Marissa Mayer di Yahoo! sarebbe la candidata migliore, essendo diventata Ceo incinta (ha partito da pochissimo). Ma non solo. Marissa è stata la prima ingegnere donna assunta da Google e una dei primi 20 impiegati della compagnia di cui fa parte dal giugno 1999 rappresentando la società in interviste ed eventi pubblici. Difficile però che anche lei riesca ad eguagliare il Jobs. Un gruppo di buddisti thailandesi è convinto che tutta questa ricerca sia inutile. Secondo questi monaci il fondatore dell’Apple rivive nel corpo di un filosofo capellone e se ne sta in un cubo di cristallo sopra Cupertino. Ma a ben vedere si potrebbe anche suggerire qualcuno di più ribelle dei nomi fatti finora, Steve Jobs infatti non era certo uno ligio alle regole. E allora fuori concorso potrebbero rientrare i fondatori di Pirate Bay (uno di loro recentemente è stato arrestato in Cambogia) o Kim Dotcom, I primi sono quattro ragazzi Gottfrid Svartholm, Peter Sunde, Fredrik Neij e Carl Lundström, che hanno dato vita a un sito, il 75esimo sito più visitato al mondo, che ospita magnet link e .torrent file, che permettono agli utenti di condividere file, inclusi quelli multimediali, i giochi per computer e il software, tramite BitTorrent. E il secondo – il suo vero nome è Kim Schmitz – è il fondatore di Megaupload, costretto dall’Fbi a chiudere la sua creatura.
IN CONCLUSIONE – A un anno di distanza dalla sua morte un erede di Steve Jobs dunque non si trova. E forse il motivo è semplice. Trovare qualcuno «disposto a vendere tutta la mia tecnologia pur di passare un pomeriggio con Socrate», come disse una volta il fondatore di Apple, non c’è.