Bufera dopo l’arresto di zambetti. L’incontro con Alfano e Maroni a Roma. «Il patto è uno solo». Salvini: «Veneto e Piemonte possono e vogliono gestirsi da soli, senza “padrini”». L’arresto di Zambetti, Le intercettazioni. Il boss all’assessore: «Dottore come sta? Il diabete se lo cura? E se lo deve guardare, bisogna fare attenzione».
MILANO – Il giorno più lungo di Roberto Formigoni è iniziato a Roma, nella sede del Pdl, dove il governatore lombardo ha incontrato il segretario Angelino Alfano e il segretario della Lega Roberto Maroni. Formigoni, arrivando al vertice, ha annunciato ai cronisti: «Farò gesti molto netti, molto forti e chiari di discontinuità». Ma sulle sue eventuali dimissioni ha aggiunto: «Io non ho fatto nessun errore. La mia Regione è l’unica che ha i conti in ordine». Uscendo, dopo mezzogiorno, ha ribadito: «Confermo la mia intenzione di fare gesti forti e di discontinuità. Con Alfano e Maroni abbiamo cominciato a parlare, ci rivediamo alle 15.30 per proseguire il dialogo».
LA LEGA – Le alternative a questo punto sono il voto o un rimpasto totale della giunta. Sui rapporti con la Lega, che ieri sera ha chiesto l’«azzeramento» della giunta lombarda e «un passo di fianco» di Formigoni, il governatore ha detto: «Chiederò ai responsabili del Carroccio se sono nella coalizione oppure no: percé se la Lega è nella coalizione parliamo insieme, se no, no». Formigoni ha spiegato che la sua giunta era nata sulla base di un accordo con la Lega che comprendeva anche Piemonte e Veneto: «Simul stabunt simul cadent», ha detto riferendosi al fatto che se cade la giunta lombarda potrebbero cadere anche quella piemontese e quella veneta.
IN CONSIGLIO – Intanto, dopo che il governatore ha ritirato le deleghe agli assessori leghisti in Lombardia, il Carroccio ha deciso di non partecipare ai lavori delle Commissioni del Consiglio regionale in attesa del chiarimento con gli alleati, bloccando di fatto i lavori. «Se la Lega conferma che si è tirata fuori, prenderò le mie decisioni». Così in mattinata Formigoni a «L’intervista», rispondendo a Maurizio Belpietro in merito alle sue possibili dimissioni. «I leghisti devono decidere: fanno parte di questa alleanza che è nata tre anni fa contemporaneamente in Lombardia, in Veneto e in Piemonte, o se ne sfilano?», ha spiegato Formigoni. «Se si sono sfilati si mettono in una posizione esterna e sarà Formigoni con il Pdl a decidere il da farsi, andremo ad elezioni con una Giunta guidata da Formigoni e assessori completamente nuovi e ovviamente tutto ciò avrà conseguenze anche in Veneto e Piemonte, perché le tre Giunte sono figlie dello stesso accordo politico».
«NON E’ UNA RIPICCA» – «Non è un ricatto o una ripicca – ha voluto sottolineare Formigoni -. Nel 2010 Lega e Pdl decisero di presentarsi in alleanza alle elezioni regionali designando due leghisti alla presidenza di Veneto e Piemonte e un pidiellino alla Regione Lombardia. Il patto è uno solo, se qualcuno lo rompe da una parte lo rompe dappertutto. Spetta a loro decidere se vogliono far cadere le tre Giunte oppure se vogliono continuare a discutere insieme su quello che si più opportuno fare. Se invece la Lega intende continuare a condividere questo patto politico decideremo insieme il da farsi e anche in questo caso e anche in questo caso la mia volontà è molto netta: o Giunta nuova o si va ad elezioni».
LE REAZIONI – Pronte le reazioni dei due governatori interessati. «Con tutto il rispetto per il presidente della Lombardia Roberto Formigoni, quel che accade in Piemonte lo decidono i piemontesi. Noi abbiamo un buon affiatamento e stiamo lavorando bene», ha commentato il presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota. «È giusto che i problemi della Lombardia se li risolvano i lombardi e non scarichino i loro problemi sulle altre amministrazioni. Noi non c’entriamo nulla con quei fatti», chiosa il presidente del Veneto, Luca Zaia.
SALVINI SU FACEBOOK – Il segretario della Lega Lombarda, Matteo Salvini, ha affidato a Facebook la prima replica a caldo alle dichiarazioni del governatore: «Fossi Formigoni mi occuperei solo della nostra Lombardia, penso che Veneto e Piemonte possono e vogliono gestirsi da soli, senza “padrini”». «Si azzeri tutto e si riparta, con pochi uomini e pochi progetti concreti fino a elezioni», ha scritto ancora Salvini.
«ZAMBETTI TRADITORE» – Sull’arresto del suo assessore alla casa, Formigoni ha commentato: «Ci sono responsabilità anche da parte dei vertici del Pdl, che aveva giurato su Zambetti». «L’accusa che è stata sollevata contro Zambetti è di una gravità assoluta, ed è del tutto inaccettabile – ha aggiunto Formigoni – o è un abbaglio incredibile della magistratura, ma mi pare proprio di no, oppure Zambetti è uno spergiuro che ha tradito la fiducia di tutti noi. Io ho fatto giurare due volte tutti gli assessori di avere la coscienza pulita, quindi siamo in presenza di un politico che non solo ha tradito noi ma anche tradito il patto fatto con il proprio presidente ed il proprio partito».
LE DELEGHE DEI LEGHISTI – Preso atto delle dimissioni annunciate dalla Lega, Formigoni ha provveduto con decreto a ritirare le deleghe degli assessori leghisti e di prenderle in carico a sé. Dunque, in seguito dell’annuncio delle dimissioni degli esponenti leghisti del Pirellone, sono state ritirate le deleghe agli assessori: Andrea Gibelli (Industria e vicegovernatore), Daniele Belotti (Territorio), Giulio De Capitani (Agricoltura) e Luciana Ruffinelli (Sport e giovani). «Se la Lega conferma le sue dimissioni come primo atto dovrò attribuire le nuove deleghe, a partire dalla sanità. Provvederò subito ad assegnare le deleghe degli assessori leghisti dimissionari perché non si possono lasciare senza presidio assessorati importanti», ha ribadito Formigoni a Belpietro, aggiungendo che se la Lega conferma che si tira fuori dall’alleanza per Lombardia, Veneto e Piemonte «si andrà alle elezioni con giunta guidata da Formigoni».
ALFANO: AZZERARE TUTTO – «Penso che Formigoni debba azzerare tutto e ricominciare da capo, non perché i componenti della sua giunta siano tacciabili di qualcosa, ma perché occorre dare un segnale di cesura». Lo ha detto Angelino Alfano, segretario del Pdl, a Radio anch’io. «Ho già avuto modo di parlare di questo con Formigoni che vedrò nelle prossime ore. Vedrò anche Maroni», ha aggiunto Alfano. Il segretario Pdl ha sottolineato «il buon governo» della Lombardia, il motivo per cui l’attuale governatore non deve dimettersi.
PATTO POLITICO – Se cade la giunta della Lombardia cadranno anche quelle di Piemonte e Veneto? «Non è una minaccia ma un patto politico – ha confermato Alfano -. In Veneto non ricandidammo Galan uscente e vincente per rispettare un accordo con la Lega Nord. Ma lavoriamo perché non cada la Lombardia. Noi crediamo che Formigoni debba fare un gesto forte, molto forte. Crediamo davvero che il presidente Formigoni dirà e farà cose talmente forti per rimettere in marcia la Regione Lombardia. È qualcosa di più di una presa di distanza da Zambetti. Penso che debba azzerare tutto e debba ricominciare. Serve dare un segnale di censura». «Ho già avuto modo di parlare con Formigoni – ha aggiunto Alfano -. Io e Maroni, come ministri abbiamo fatto tantissimo per contrastare la ‘ndrangheta. Questa opera di azzeramento avverrà per opera e per mano dell’ex ministro dell’Interno e della Giustizia».
VENDOLA – Il governatore della Puglia Nichi Vendola, dopo essersi tolto la soddisfazione di vedere la Lega alle prese con la ‘ndrangheta al Nord («La dea della vendetta ha disvelato la realtà della ideologia leghista, secondo la quale il Sud è il luogo votato a ogni esercitazione del maligno»), ha annunciato non si dimetterà dalla Regione Puglia, in conseguenza dell’indagine che lo riguarda per abuso di ufficio, perché la sua posizione è «francamente incomparabile» a quella di Formigoni. Spero – ha aggiunto – che la mia venga definita nel giro di pochi giorni per ciò che è, e cioè una questione priva di fondamento». «Le mie- osserva- sono ipotesi di reato che rispetto a quelle che riguardano la Regione Lombardia vanno pesate per quello che sono realmente».
IL CASO ZAMBETTI – È il 15 marzo 2011 quando i carabinieri fotografano Eugenio Costantino, colletto bianco della cosca Mancuso, che entra nel Centro culturale milanese dell’assessore alla Casa della giunta Formigoni, incontra appunto il pdl Domenico Zambetti, esce con un pacchetto, entra in auto, conta il denaro e racconta ai complici (e al pm Giuseppe D’Amico, non sapendo che l’auto è diventata un enorme microfono) la storia dei 4.000 voti comprati alle elezioni regionali 2010, sottostante il pagamento da parte del politico della rata da 30.000 euro di cui si sente il fruscìo. «Cirù conta questi soldi, devono essere 30….togline 15…sono tutti da cento. Zambettino, Zambettino le corna sue… All’inizio si è fatto un po’ i cazzi suoi, adesso ha pagato, eh». «Quanto gli è costato a lui?», chiede il complice. «Togli questi 30.000… gli sarà costata 200.000 euro… Ma tu lo hai capito che gli hai dato 3.000/3.500 voti, nel mio piccolo io sinceramente li meritavo 100.000 euro, nel mio piccolo io nel Magentino gli ho fatto dare 700/800 voti, ma stiamo scherzando… Lui grazie a questi spiccioli è stato eletto, altrimenti chi lo eleggeva? Sai quanto prendeva lui? 6/7.000 voti. Invece ne ha presi 11.500, giusto i quasi 4.000 voti (di distacco dal primo dei non eletti, ndr) arrivatigli da questa gente».
Un voto 80 euro. Con appalti, 50
Le intercettazioni colgono gli uomini delle cosche in ragionamenti che combaciano a posteriori con l’esame dei flussi elettorali delle zone citate: «Il napoletano solo quello 1.500 voti li gestisce, hanno 10/12 grossi condomini a Milano che dirigono loro; poi c’è un altro napoletano, che hanno i locali a Milano, quelli 400/500 voti li portano solo loro, come glieli hanno dati i 2.500 voti a Milano l’altra volta a Zambetti… Vabbeh tanto ci ha messo le mani la famiglia Barbaro per i voti. Però la famiglia Barbaro i 500 voti non glieli hanno dati aMilano eh, ci sono gli altri dei paesi, ma quello che i voti a Milano li ha fatti prendere, 2.500 a Milano, è stato Ambrogio», cioè il sondaggista (fratello del più noto Luigi) di cui nei clan si parla con remore: «Quello è un bandito! L’altra sera mi ha chiamato ed era con Vallanzasca, “vieni che vi faccio salutare Vallanzasca” ». Istruttivo è anche il tariffario dei voti, con o senza sconto-appalti. «Ci vogliono 80 euro a voto, Eugè!», propone un complice a Costantino, che però lo corregge: «Su 2.000 voti sono 50 euro a voto». L’altro non è convinto: «Eh buono, di solito per lo meno al Sud costano 80 euro a voto». «Ma dato che vogliamo pure del lavoro, basta 50 euro a voto, stop», gli spiega Costantino, che poi aggiungerà: «Un acconto prima e la rimanenza te la danno dopo, funziona così eh!».
Le promesse sull’Expo 2015
Alle cosche interessano il cash ma ancor più gli appalti, come programmano con realismo: «Lui — cioè l’assessore Mimmo Zambetti —ha detto “se voi trovate un lavoro, segnalatemelo…”. Non ha parlato male, “voi me lo segnalate, io cerco di farvelo dare…”, quindi adesso ti faccio un esempio…noi gli diciamo “Mimmo, guarda che c’è quel lavoro, c’è che ce lo devi far dare, adesso tu sai che c’è l’Expo”, lui ci può aiutare… lui farà di tutto per farcelo avere…più di così, d’altronde, non è che… Anche perché le imprese ce le abbiamo, le cooperative ci sono…».
«L’idiota dice no e perde milioni»
È perciò incomprensibile, per i clan, che ci sia qualche politico che rifiuti l’offerta del loro pacchetto di voti in vendita, come fa nel 2011 il capolista civica della Lega Nord, Marco Tizzoni, che rifiuta gli «apparentamenti strani» stimati 500 voti e perde le elezioni nel Comune dove si terrà l’Expo 2015: «Che schifo di partito — è furibondo l’ndranghetista —, ma tu l’hai capito che quell’idiota della Lega per 10.000 euro che non mi hanno voluto dare hanno perso l’elezione, io gli avevo trovato 500 voti ed hanno perso per 400… Avete perso un paese con l’Expo perché uno non ha voluto cacciare 10.000 euro, c’erano 500 voti pronti e poi ci dovevano dare lavoro. Vaff… io non ho guadagnato 5.000 euro ma loro hanno perso milioni di euro per 400 voti…».
Il «rimpasto» degli accordi
Per convincere l’assessore regionale Zambetti a rispettare i patti («Con noi non vuole più avere a che fare?— ironizza Pino D’Agostino dalla Calabria —. Se no salgo io e ci parlo io, che così ci capiamo… sennò c’è il rimpasto degli accordi…»), i clan graduano la pressione intimidatoria. «A Zambetti ce l’abbiamo in pugno», gongola Costantino, perché «noi avevamo fatto una cosa per incastrarlo… quando abbiamo fatto la festa a Magenta, noi a Zambetti l’abbiamo fotografato con Pino… giusto per avere una prova, e io ce l’ho, dove si vede bello Pino con lui che si stringono la mano». E «quella stretta di mano vuol dire tante cose… e lui è rovinato… Adesso noi non diciamo niente, e poi lui c’ha garantito che ci dà del lavoro in questi 5 anni».
«Per paura si mise a piangere»
In altri momenti la pressione si fa più obliqua: «Hai visto quel “pisciaturu” di Zambetti come ha pagato, eh, lo facevamo saltare in aria… Ciru’, tu l’avevi letta la lettera che gli hanno mandato?». «Il pizzino!», annuisce Ciro. «Gli abbiamo mandato una lettera, Ciru’, talmente scritta bene… cioè si vede che avevano gente laureata nel gruppo, gli hanno fatto la cronistoria di come sono iniziate le cose, di come erano i patti e di come andava a finire…». Al punto che l’assessore «si è messo a piangere davanti a me e a zio Pino, e piangeva… se l’è fatta sotto completo… Ogni tanto solo così possiamo prenderci qualche soddisfazione… ». E nel bel mezzo dell’incontro tra l’emissario presentabile delle cosche e il politico che a loro avviso sta ritardando sia il saldo di una delle ultime rate (da 30.000 euro) del pattuito pagamento di quei 4.000 voti con 200.000 euro, sia la sistemazione all’ente case popolari della figlia di Costantino, dalla Calabria si scomoda D’Agostino con un’arma più intimidatoria di tante pistole: le pause di una telefonata con Zambetti. «Dottore buonasera, come sta? Diabete (pausa) se lo cura?». «È alto… alto», risponde intimorito il politico, di fronte al complice dell’ndranghetista al telefono. «E se lo deve guardare—rincara l’uomo delle cosche di Africo — bisogna fare attenzione con (lunga pausa) il mangiare… Volevo solo salutarvi… eh mi permetto solo di ricordarle la faccenda della figlia del nostro amico». «Ok, tranquillo che lo farò », assicura Zambetti, congedato dal referente dei boss con un poco promettente «Tante tante buone cose lei e la famiglia… stia tranquillissimo su tutto». Subito l’assessore versa i soldi. E piazza la figlia di Costantino, con un contratto interinale poi rinnovato, all’ente case Aler.