RIVALE DI COPPI E BARTALI. Il «terzo uomo» del ciclismo italiano degli anni d’oro vinse tre Giri d’Italia. Stava per compiere 92 anni
Fiorenzo Magni: «Bartali non aveva mai fame, sete o freddo. La borraccia? Fu lui a passarla a Coppi Un orgoglio correre con loro». Il «Leone delle Fiandre» Fiorenzo Magni è morto all’età di 91 anni. Il rivale di Fausto Coppi e Gino Bartali, il «terzo uomo» del grande ciclismo italiano, fu un passista, e discesista, professionista tra il 1940 e il 1956. Dell’epopea degli altri due azzurri vide quasi tutto, compreso il famoso episodio della borraccia: «Ai miei nipoti dico sempre: nella vita non ti regala niente nessuno, devi lottare tutti i giorni e cercare di migliorare, un operaio deve sempre aspirare a diventare capofficina, se no non lo assumo…». Magni finisce di correre (non di pedalare, però) nel ’56, ma già da anni ha avviato le sue concessionarie d’auto a Monza («la mattina mi allenavo, il pomeriggio andavo in officina»). Da allora vive senza rimpianti: è sposato da 63 anni con Liliana, «siamo sempre sposini dal ’47 e non ho mai sfiorato un’altra donna». Le fa una carezza. Vive con molti ricordi, alcuni dei quali sono appesi alle pareti della sala: «Coppi lo chiamavo Zittone, non parlava mai. Ricordo un viaggio a Parigi con lui, d’inverno in una cuccetta, appena saliti, dopo 30 secondi, mi fa: dormiamo? Bartali era l’opposto: quando cominciava a chiacchierare nessuno lo fermava. Erano grandi campioni, non era facile mettergli la ruota davanti e il ricordo mi inorgoglisce». Sulla fotografia più celebre della storia del ciclismo ha un’interpretazione attendibile. Tra Coppi e Bartali, chi fu a passare la borraccia all’altro? «Bartali non aveva mai né sete né fame, né caldo né freddo. Per me la borraccia l’ha passata lui».
Eppure Bartali una volta gli ha tirato un brutto scherzo: «Il Tour del ’50 non dico che l’avrei vinto, però… A Saint-Gaudens, dopo la tappa più dura, con cinque colli sui Pirenei, ero in maglia gialla. La pioggia e il caldo erano la mia benzina, e quel giorno era venuta giù tanta di quell’acqua!». Insomma, le cronache narrano che Bartali, aggredito da un tifoso sul Col d’Aspin, costrinse la Federazione italiana al ritiro e Magni dovette ingoiare amaro: «È vero che i francesi ce l’avevano con noi: “macaronì”, “succhiaruote!” All’arrivo, Gino mi dice: io domani non corro». Neanche Binda, che era il ct, riuscì a fargli cambiare idea. «Pazienza, ho perso quando dovevo vincere e ho vinto quando dovevo perdere». Ha perso anche la guerra, Magni. C’è un periodo oscuro, dopo l’8 settembre, di cui non parla volentieri, anche se non nasconde le simpatie repubblichine di allora. Fu processato per aver partecipato a uno scontro a fuoco contro una pattuglia di resistenti a Valibona. Al processo intervenne il suo amico, partigiano, Alfredo Martini: «Io sono un uomo di destra e non me ne vergogno – dice – e Alfredo è di sinistra, ma è mio fratello. Certe volte gli dico: ti ricordi, Alfredo? E lui: com’eravamo grulli… Se penso che anche Russia e l’America ormai son diventate amiche! Invece, noi, che crudeltà: ancora oggi si scatenano gli odi… Il mondo è un imbroglio. Dopo la guerra ho dovuto rendere conto delle mie idee e Alfredo è stato il primo ad aiutarmi». Pentimenti? «Non ne ho, l’importante è non vergognarsi delle proprie idee ma rispettare quelle degli altri». Dopo la guerra fu sospeso dalle corse? «No, non ho corso per un anno, nel ’46, non per squalifica ma per non tesseramento…». Tutto il resto è noto. Compreso il creatore del Museo del Ghisallo, il grande museo del ciclismo di Magreglio (Como). Ma prima ancora, c’è il ct della Nazionale, l’inventore dello sponsor nel ciclismo, il padrino di Eddy Merckx («era uno spilungone magro magro e sconosciuto quando l’ho portato in Italia, alla Faema»), il presidente dei corridori e poi della Lega: «Sono un lavoratore con la mente e con le braccia e non sono mai andato davvero in pensione, ma la mia gioia più grande è la famiglia, e la fede». Gli anni che passano? «Sa che alla morte non ci ho mai pensato? Spero solo di andare in Purgatorio, e dopo un po’, scontati i miei reati, passare in Paradiso». C’è una storica fuga da raccontare. Giro del ’55, Nencini in maglia rosa, penultima tappa Trento-San Pellegrino: «Studiando il percorso ho visto che dopo 50 chilometri c’era una discesa ghiaiosa e tagliente. La sera prima dico ad Alfredo: qui scappo. Alfredo mi dice: tu sei matto». Il risultato è che appena scollinato, Magni se ne va: «Son rimasto solo per un po’, poi mi volto e vedo Fausto e Nencini, che però fora. Coppi mi arriva a ruota, ma fora anche lui e io lo aspetto. Tiro da solo per 80 chilometri e dopo il rifornimento mi sposto. Penso: se tira lui, ho vinto il Giro». Detto fatto. «All’arrivo Fausto mi batte sulla spalla e mi fa: Fiorenzo, mi hai fatto morire. Non sono mai andato così forte». Ci sono altre puntate eroiche nella vita di Magni. Per esempio nel Giro ’56, quando cade a Volterra, a 70 chilometri dall’arrivo, si frattura la clavicola e riprende a pedalare: «A Grosseto volevano ingessarmi ma il giorno dopo c’era la Livorno-Lucca». Arriva a Lucca con dolori lancinanti. E non si ferma: Lucca-Bologna. «Alla Madonna del Santuario non ce la facevo più, allora il mio meccanico, Colnago, taglia una camera d’aria, la lega al manubrio e tenendola tra i denti arrivo a Bologna». Il giorno dopo prende una buca, si rompe l’omero e con due fratture chiude il Giro secondo alle spalle di Gaul.
LA CARRIERA – Toscano di Vaiano (Prato), si guadagnò il suo soprannome trionfando tre volte consecutive nel Giro delle Fiandre (1949-1951), ma vinse anche tre Giri d’Italia (1948, 1951 e 1955) e arrivò secondo nell’anno del ritiro. Magni tra le altre affermazioni contava anche tre Giri del Piemonte, tre Trofei Baracchi e tre Campionati assoluti, oltre a un secondo posto ai Campionati del mondo del 1951 (preceduto dallo svizzero Ferdi Kubler).
DOPO LE CORSE – Fu Commissario tecnico della Nazionale (e nel 1954 creò il sistema di sponsorizzazioni della squadra azzurra), poi presidente dell’Associazione corridori ed infine presidente della Lega del Professionismo. Era presidente della Fondazione del Museo del ciclismo del Ghisallo. Nel 2004 è stato insignito del Collare d’Oro al Merito Sportivo. Personaggio anche fuori dal mondo del ciclismo, non nascose mai le sue simpatie fasciste (aderì alla repubblica di Salò). Fu anche processato, e assolto per amnistia, per una presunta partecipazione alla strage di Valibona nel ’44 in cui vennero uccisi alcuni partigiani. Magni avrebbe compito 92 anni il prossimo 7 dicembre.