La legge «salva sallusti». Votate diverse modifiche dallo stop ai contributi per i condannati, a quelle su rettifiche e modifiche agli archivi
Ddl Diffamazione, tutto da rifare. L’Aula del Senato sconfessa l’accordo raggiunto mercoledì nella maggioranza sul ddl diffamazione. Approvate diverse modifiche al testo che era stato concordato dai partiti di maggioranza, Il Pdl infatti è riuscito a bloccare alcune correzioni volute dal Pd.
CONTRIBUTI – In caso di condanna i giornali dovranno restituire i contributi per l’editoria, così come prevede il comma 2 dell’articolo 9 del ddl sulla diffamazione per il quale era stata decisa la soppressione con parere favorevole di governo e relatori.
ARCHIVI DIGITALI – L’aula del Senato ha approvato l’emendamento Rutelli-Bruno (Api) che impone al gestore di un archivio digitale di una testata editoriale on line l’integrazione o l’aggiornamento, su richiesta dell’interessato, della notizia che lo riguarda alla luce di un’avvenuta rettifica. Il nuovo testo prevede che «in caso di rettifica a notizia pubblicata in un archivio digitale di un prodotto editoriale, accessibile dal pubblico tramite reti di comunicazione elettronica», l’interessato, «può chiedere l’integrazione o l’aggiornamento della notizia che lo riguarda. Il gestore dell’archivio è tenuto a predisporre un sistema idoneo a segnalare con evidenza e facilità a chi accede alla notizia originaria l’esistenza dell’integrazione o dell’aggiornamento».
RETTIFICA – Per quanto riguarda l’obbligo di rettifica questo diventa obbligatorio non solo per i giornali veri e propri, ma anche per i «prodotti editoriali diffusi per via telematica, con periodicità regolare e contraddistinti da una testata». In pratica, quindi, per tutte le testate web e non solo per le edizioni telematiche delle testate giornalistiche vere e proprie.
QUERELE INTIMIDATORIE – L’aula del Senato ha poi bocciato due emendamenti al ddl sulla riforma della diffamazione a mezzo stampa, a prima firma del senatore Felice Casson (Pd), che intendevano limitare la pratica delle richieste risarcitorie intimidatorie contro la stampa. Nelle norme proposte e bocciate, in caso di lite temeraria nella querela penale o di «mala fede o colpa grave» di chi agisce in sede civile nella richiesta di risarcimento, il giudice poteva stabilire un risarcimento a favore del giornalista che si è dimostrato non essere diffamatore. Il risarcimento che il giudice poteva assegnare al giornalista ingiustamente querelato sarebbe arrivato «fino a un decimo» della somma richiesta dal sedicente diffamato.