LE MISURE. Il ministro Cancellieri: il testo sarà approvato prima delle elezioni. Esclusi i condannati e chi ha patteggiato.
I TAGLI. Pronto il piano di risparmi sulla sicurezza. Il sistema costa 250 milioni di euro all’anno.
ROMA – L’appuntamento è già fissato per domani al Viminale, annuncia il prefetto Bruno Frattasi, capo dell’ufficio affari legislativi del ministero dell’Interno. È lui che «da un mese» lavora al testo del decreto delegato sull’incandidabilità dei condannati in vista delle elezioni politiche del 2013. E la bozza, «composta di una decina di articoli», così rivela il prefetto, è ormai pronta: lo ha confermato ieri lo stesso ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, a margine delle celebrazioni del 4 novembre. «Stiamo lavorandoci – ha detto la Cancellieri -. In settimana ci sarà un incontro con i ministri Severino e Patroni Griffi per chiudere le ultime maglie del documento».
Domani, dunque, il ministro dell’Interno incontrerà al Viminale i suoi colleghi Paola Severino (Giustizia) e Filippo Patroni Griffi (Pubblica amministrazione) per sciogliere i nodi che restano: l’obiettivo è quello di arrivare, al massimo entro 15 giorni, al varo del consiglio dei ministri. Poi il documento passerà al vaglio del Parlamento, ma in ogni caso il governo punta ad approvarlo in via definitiva in tempo per le prossime elezioni: «Questo è sicuro», ha chiosato ieri Cancellieri. Ma non solo: prima della fine della legislatura, il governo sarebbe intenzionato a emanare anche nuove norme sulla trasparenza e le incompatibilità degli incarichi dirigenziali.
Un esempio? Chi ha avuto ruoli nelle amministrazioni locali (prendiamo il caso di un assessore comunale) per un anno non potrà assumere incarichi dirigenziali nello stesso ente pubblico.
Sarà tuttavia una corsa contro il tempo, perché le nuove regole sull’incandidabilità dei condannati dovranno essere pronte con largo anticipo sulla data delle urne, visto che i partiti di solito presentano le liste anche più di 45 giorni prima del voto. «È pur vero però – commenta il prefetto Frattasi – che al di là della legge e dei principi di civiltà giuridica, i partiti politici possono sempre compiere un’attività di self-cleaning delle proprie liste, com’è giusto che sia… ». Self-cleaning , per chiarezza, vorrebbe dire far pulizia da soli… Il Parlamento sull’incandidabilità ha dato la delega al governo. La procedura prevede che dopo il varo del consiglio dei ministri il testo ripassi dal Parlamento, cioè sia sottoposto al vaglio delle commissioni per un parere obbligato (ma non vincolante). Parere che le commissioni di Camera e Senato possono dare in 60 giorni, ma anche in una settimana.
Comunque sia, visto l’appello recente del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che ha sollecitato una riscossa morale della politica dopo gli ultimi scandali, sarebbe imbarazzante un ritardo dell’iter (anche se al momento in Parlamento siedono 21 condannati definitivi e 125 indagati o condannati in primo e secondo grado).
I paletti della delega – messi dalle Camere e non dal governo nell’ultimo decreto anticorruzione – vietano la candidatura a chi ha condanne definitive superiori ai due anni per reati di grave allarme sociale e contro la pubblica amministrazione. Ma qualcosa può ancora cambiare: «Nel nostro schema di decreto il patteggiamento è paragonato alla condanna definitiva», spiega Bruno Frattasi. Resta da decidere, poi, la durata dell’incandidabilità. Cioè la sua temporaneità. Che vuol dire? È presto detto: se il giudice non ha inflitto al condannato l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, significa che il condannato prima o poi tornerà candidabile. Il decreto servirà appunto a chiarire quando. Non solo: anche i condannati riabilitati potranno essere candidati. Perfino – se riabilitati – quelli che in passato commisero reati gravi come il terrorismo. Ma c’è un ultimo nodo da sciogliere. La frode fiscale per ora non è tra i reati previsti per l’incandidabilità. La riunione di domani al Viminale potrebbe però portare «all’ampliamento del catalogo delle situazioni ostative e all’allargamento delle fattispecie», come dicono all’ufficio affari legislativi del ministero. Cioè, tradotto in parole semplici, potrebbero essere inseriti anche i reati fiscali tra quelli considerati di grave allarme sociale.
Ed ecco allora che la rosa dei politici non più candidabili alle prossime elezioni si allargherebbe in maniera considerevole. Domani si capirà meglio. Cancellieri ieri l’ha detto chiaramente: «Ci incontreremo con il ministro Severino e il ministro Patroni Griffi per chiudere le ultime maglie del documento». Le maglie della non candidabilità per ora in effetti sono piuttosto ampie.
ROMA – Le personalità che lasciano gli incarichi istituzionali potranno avere soltanto una «tutela», a meno che non ci siano motivi gravi tali da giustificare il mantenimento della scorta. I «dispositivi» attualmente in vigore dovranno essere sottoposti a monitoraggio in modo da poter intervenire con eventuali abbassamenti di livello e i controlli dovranno diventare periodici e costanti. La commissione del Viminale incaricata di revisionare il sistema di protezione consegna la proposta di nuove regole al ministro dell’Interno. E si concentra in maniera particolare su tutti quegli «sprechi» legati ai viaggi compiuti al seguito delle persone che vengono scortate. Per questo suggerisce che ci siano avvicendamenti tra le varie province in modo da evitare costosi spostamenti di mezzi e personale. È una rivoluzione «pesante» che – come sempre avvenuto in passato – certamente incontrerà le resistenze di chi vive la presenza degli agenti al seguito come uno «status symbol» più che una necessità. Ma rappresenta una modifica ritenuta necessaria dal ministro Anna Maria Cancellieri per centrare quell’obiettivo di risparmio che si era prefissa all’inizio del suo mandato. Non a caso lei stessa aveva annunciato: «Quando lascerò questo incarico, ricomincerò ad andare in giro da sola».
Livello minimo alle istituzioni
Attualmente è previsto che ci siano 16 «autorità» che devono mantenere per un anno la scorta di massimo livello (7 di queste hanno la scorta per legge). Mentre per il presidente della Repubblica è previsto un sistema personalizzato, nell’elenco sono compresi i presidenti delle Camere, il capo del governo, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, i ministri di Interno, Difesa e Giustizia, il primo presidente e il procuratore generale della Corte di Cassazione, il vicepresidente del Csm, il presidente della Corte Costituzionale. Vuol dire che tutti hanno diritto a usufruire di tre macchine blindate, ognuna con tre agenti a bordo. Un impiego straordinario che la commissione propone adesso di ridurre drasticamente.
Lo studio, coordinato dal prefetto Bruno Frattasi d’intesa con i vertici dell’Ucis (l’ufficio costituito dopo gli omicidi siglati dalle nuove Brigate Rosse che si occupa esclusivamente dei dispositivi di protezione personale), fissa la regola che ogni personalità al termine del proprio mandato possa conservare semplicemente la «tutela» di un solo agente. Una soluzione che certamente consentirebbe un notevole risparmio, tenendo anche conto che gli uomini impiegati per le scorte devono coprire vari «turni» e dunque il loro numero è superiore ai nove previsti nelle tre auto. Anche perché non si esclude che in alcuni casi il periodo possa essere pure ridotto rispetto ai dodici mesi previsti.
Quattromila auto e oltre 2.000 uomini
Gli ultimi dati fotografano un sistema che muove migliaia di uomini e mezzi ogni giorno, tenendo conto che ci sono 585 dispositivi attivi di cui: 82 personalità con scorta di secondo livello (2 auto blindate e 3 agenti per auto), 312 personalità con scorta di terzo livello (un’auto blindata e 2 agenti), 174 personalità con scorta di quarto livello (un’auto blindata e 1/2 agenti). Un sistema molto costoso che adesso si cerca di ridimensionare anche per quanto riguarda le cosiddette «spese di missione».
Attualmente quando la personalità scortata si sposta da una città all’altra in aereo gli agenti volano al seguito. La commissione propone che venga invece accompagnata sino a bordo e presa in carico da altri agenti nel luogo di arrivo. Un modo per evitare di pagare il viaggio e il soggiorno all’intera scorta, soprattutto quando si deve prevedere che ci siano diversi turni da coprire. La filosofia della proposta appare chiara: evitare che il dispositivo di protezione si trasformi in un benefit personale, ma che venga legato esclusivamente alle esigenze di tutela della personalità e all’attualità del pericolo. Non a caso si raccomanda anche che la «personalità» tenga conto della presenza degli agenti quando deve decidere in merito a festività e vacanze, anche per evitare polemiche come quelle che hanno coinvolto la scorsa estate il presidente della Camera Gianfranco Fini.
Il monitoraggio nelle città
In tutta Italia è già stato avviato un monitoraggio che consentirà di verificare se i dispositivi in vigore siano ancora necessari o se – come è stato segnalato da numerosi comitati provinciali – è possibile ridimensionare il livello di alcune scorte ed eliminarne altre. Anche perché bisogna tenere conto che le ultime minacce arrivate dagli anarco-insurrezionalisti contro i funzionari di Equitalia e di altre società legate al settore della riscossione, così come quelle contro i vertici di alcune aziende di Finmeccanica, hanno comportato uno sforzo straordinario nell’impiego di uomini e mezzi.
Più volte i sindacati di polizia hanno segnalato la necessità di intervenire in maniera drastica eliminando «un servizio che spesso costringe gli agenti a svolgere funzioni di autista visto che il pericolo è attenuato o addirittura cessato». «Scorte soltanto se strettamente necessarie – è sempre stata la posizione di Claudio Giardullo del Silp-Cgil – ma il vero investimento deve essere fatto nell’attività di prevenzione e indagini». «L’intero sistema – ricorda il segretario del Sap Nicola Tanzi – costa ogni anno 250 milioni di euro, compresi mille collaboratori di giustizia e 4 mila loro familiari. Soldi che possono essere risparmiati con un intervento reale che tenga conto dell’attualità della minaccia». Secondo gli ultimi calcoli ci sono 44 deputati e 26 senatori, oltre a 30 ex componenti del governo precedente che continuerebbero a godere di un beneficio non indispensabile.