PRIMARIE DEL CENTROSINISTRA – I due sfidanti al ballottaggio entrambi a Milano. Invito del sindaco di Firenze alla distensione: «Se vince il segretario, nessuno griderà ai brogli».
«Caro @pbersani, siamo entrambi a Milano. Ci prendiamo un caffè insieme e facciamo un appello alla serenità per domani? #Adesso #PB2013».
Inizia così, con un tweet di @matteorenzi (Matteo Renzi) a @pbersani (Pier Luigi Bersani) l’ultima giornata prima del ballottaggio delle primarie del centrosinistra.
Una giornata improntata alla distensione, dopo gli ultimi giorni di polemiche e tensioni sulle regole del voto.
Qualche ora dopo, arriva la risposta (conciliante) del segretario del Partito democratico. «Anche un pranzo quando c’è l’occasione. Siamo tutti una grande squadra» dice Bersani. Pur spiegando che per un «problema logistico» bere il caffè insieme oggi non è possibile: «Come si vede siamo tutti in tournée». Quindi torna sullo spinoso tema delle regole: «Matteo ha opinioni diverse. Ma sono sicuro che in queste ore maturerà l’intenzione di rispettarle». Infine, chiude: «A Renzi dico: in bocca al lupo».
RENZI – Nella mattinata Renzi parla al centro sociale Barrio’s di Milano. Anche in questo discorso, trasmesso in diretta su Corriere Tv, sceglie la lingua della distensione: «Abbiamo fatto un bellissimo percorso, non permettiamo di rovinarlo all’ultimo miglio» dice il sindaco di Firenze. «In queste ultime ore non voglio litigare – prosegue -. È il momento del sorriso e della tranquillità. Abbiamo avuto stile per tutta la campagna, non siamo i Giamburrasca che vogliono rovinare tutto» aggiunge, pur ribadendo a gran voce che «Noi le regole le abbiamo rispettate». E precisando che «siamo arrivati al punto di dire “facciamo un appello condiviso”, se qualcuno non ha voglia di accoglierlo se ne assume tutte le responsabilità».
Quindi le promesse per il dopo: «Saremo leali, nessuna guerra. Se vince Bersani nessuno griderà ai brogli», anche se Renzi esclude comunque l’idea di un ticket se il vincitore sarà il segretario. Poi l’appello finale agli elettori: «Votate noi se volete un cambiamento radicale. Il rischio vero infatti è di non cambiare».
«VENTI MOTIVI DI DIFFERENZA» – Nonostante lo spirito di distensione, Renzi non risparmia comunque un ultimo affondo su Facebook. Intorno alle 10.30 posta: «Venti motivi di differenza tra noi e loro», usando ancora una volta quei due pronomi – «noi» e «loro» – che poco piacciono al segretario del Pd Bersani.
Si parte con gli stessi colpi che Renzi aveva messo a segno nel dibattito televisivo. Da «Noi vogliamo abolire il finanziamento pubblico ai partiti. Loro no» alla rievocazione del fantasma dell’Unione del 2008: «Noi abbiamo la vocazione maggioritaria. Loro hanno la vocazione minoritaria. E allora va bene chiunque, da Diliberto fino a Casini. Però poi non si governa. E la triste fine dell’Unione lo dimostra». Quindi, ancora, la questione delle regole: «Noi le abbiamo rispettate tutte. E le pagine a pagamento comprate non erano per Renzi, ma per invitare al ballottaggio». E ancora: «Noi siamo considerati i berlusconini, loro però si sono dimenticati del conflitto di interessi», «Noi vogliamo un codice del lavoro con pochi articoli chiari, traducibili in inglese, con il contratto unico a tutele progressive e una sicurezza flessibile. Loro difendono le norme del passato perché devono mediare tra troppe anime diverse per avere un’idea di futuro».
Fino alla conclusione: «Noi se perdiamo saremo leali fino alla fine della campagna elettorale. Loro – dice D’Alema – diranno che è finito il centrosinistra».
BERSANI – Anche Bersani tiene un comizio a Milano, in cui spazia dalla destra («loro»), alla politica estera.
«Nei 20 anni che abbiamo alle spalle c’è stata un’egemonia culturale delle destre. In questi 20 anni ci hanno rubato parole carissime: libertà, merito, opportunità. Come hanno fatto? Le hanno staccate dalla parola uguaglianza. Se tu prendi quelle bellissime parole da sole possono diventare il luogo in cui il più forte vince e dice al più debole che non è capace».
Poi parla del voto Onu sulla Palestina: «L’Italia ha ripreso, dopo anni, dignità e profilo. Si è tornati a parlare di politica estera dopo che per 10 anni ci siamo fatti deridere da tutto il mondo».